Carlo Mele, la pandemia non ha fermato le Caritas diocesane

Carlo Mele, la pandemia non ha fermato le Caritas diocesane

14 Aprile 2021 0 Di Anna Mozzi e Pasquale Maria Sansone

Coronavirus: in Italia aumentano i nuovi poveri, passano dal 31 al 45%. Quasi una persona su due che si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. Aumenta, in particolare, il peso delle famiglie con minori.

Povertà, allarme Unimpresa: “Dieci milioni di italiani a rischio”.

Perso un milione di posti di lavoro nell’anno della pandemia. L’emorragia si stabilizza a febbraio. Sono titoli molto preoccupanti. Si confida nella sensibilità della nostra classe dirigente, in condizioni socioeconomiche più che tranquille, molto lontane da chi soffre. Intanto le Caritas Diocesane provano a sopperire a queste deficienze dello stato sociale.

Sentiamo a tal proposito Carlo Mele, Delegato Regionale Caritas Campania.

Il 30/11/2012 è stato nominato dall’Amministrazione Provinciale di Avellino “Garante dei diritti delle persone private della libertà personale della provincia di Avellino”.

Il 24/06/2014 è nominato Direttore della Caritas Diocesana di Avellino e, secondo quanto previsto dallo Statuto della Fondazione Opus, ricopre l’incarico di Vicepresidente della stessa.

Il 23/10/2015 è nominato Delegato Regionale Caritas Campania.

Come ha vissuto e vive Carlo Mele la paura della pandemia ed il disagio per le inevitabili, indispensabili misure restrittive?

La pandemia non ha cambiato l’impegno mio e di tutti i direttori delle 23 Caritas diocesane, dei volontari/operatori impegnati, in particolare nell’assicurare i servizi necessari e di prima emergenza a tutti coloro che ne hanno avuto bisogno. Le Caritas, con i suoi dormitori, le mense e i centri di ascolto, non hanno mai smesso di funzionare, tutti i giorni, anche h24. Certamente, sono cambiate alcune modalità di risposte: le mense si sono convertite da pranzo a tavola a pranzo da asporto; i dormitori hanno assicurato sempre un’accoglienza ai S.F.D. chiedendo agli ospiti il sacrificio di non uscire nei periodi di zona rossa, non solo, ma anche di provvedere alla pulizia dei locali e a tenere in ordine le strutture; i Centri di Ascolto hanno mantenuto le relazioni con tutte le persone in difficoltà assicurando il servizio con reperibilità telefonica (numeri verdi) con lo spirito di assicurare “Nessuno resti solo”. Ai volontari, le persone di una certa età o con malattie, è stato chiesto di stare a casa per tutelarne la salute. Le strutture sono state sottoposte periodicamente a sanificazione e i volontari / operatori in servizio a controlli con il tampone. È stata nostra premura rassicurare gli ospiti e la comunità che tutto fosse sotto controllo e, quindi, tranquillizzare per quello che era possibile. Non sempre è stato facile, chi più e chi meno, è stato colpito dal Covid 19 ed ha dovuto mettere in quarantena sia gli ospiti che i volontari. Questa situazione ha fatto emergere la decisione di scrivere al Governatore della Campania – De Luca nella quale si richiamava una maggiore attenzione al mondo degli “invisibili”, ai poveri più emarginati. Gente che già prima non era considerata dalle politiche locali, e che in questa emergenza sono state letteralmente dimenticate.

Come affronta la Caritas Diocesana Campana le richieste legate all’esponenziale crescita delle persone in difficoltà?

Siamo stati sempre in frontiera e ci siamo rimasti; forse gli unici capisaldi disponibili ed attivi sul territorio, anche in presenza, ad offrire un aiuto alle tante persone colpite da povertà materiali, non solo, da povertà morali e di relazione. Ogni persona che abbiamo incontrato ha un volto, un nome e una storia che abbiamo condiviso. Ogni Caritas diocesana è organizzata con i Centri di Ascolto diocesani, zonali, parrocchiali. Alla persona viene assicurato un “Ascolto” un’attenzione fraterna che ci caratterizza; un “Osservazione” un percorso di accompagnamento che ha come fine di liberarla dalla povertà; un “Discernimento” un progetto che la coinvolga e che tracci il cammino da fare. Tutto viene raccolto in una scheda informatizzata, che ne conserva le tappe con gli interventi fatti; insieme alle altre tante storie, ci fa realizzare il Rapporto annuale sulle povertà: a livello nazionale, a livello regionale, a livello diocesano. Il Dossier aiuta le nostre comunità ecclesiali a rispondere al meglio alle povertà presenti sui territori: così sono nate le tante mense, i dormitori, i centri diurni, e tanti altri servizi; allo stesso modo è di stimolo alle istituzioni pubbliche nel comprendere le povertà emergenti e, di conseguenza, ad impegnare al meglio le risorse economiche disponibili. Tutta questa attività ha una prevalente funzione “Pedagogica”, cioè quella di costruire un progetto nel quale coinvolgere le comunità ecclesiali e civili in una logica di servizio gratuito verso i nostri fratelli, così come ci ha insegnato Gesù “Vi ho dato l’esempio. Come ho fatto io, così fate voi”! (Testimonianza). Tutto ciò per costruire il “Bene comune”.

Numerosi bambini si trovano e si troveranno in condizioni di povertà a causa della crisi. Qual è il Suo pensiero a riguardo per la proiezione futura?

Saper vedere i cambiamenti della storia e saperli interpretare diventa per noi urgente. Già prima della pandemia sanitaria dovuta al Covid 19, la nostra preoccupazione è stata sempre quella di “leggere le nuove povertà nelle forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista della promozione umana, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione alle povertà emergenti”. (statuto) La pandemia, difatti, ha paralizzato la nostra vita “normale” e ci ha precluso molte libertà. Ci è stato chiesto di restare a casa e di evitare le nostre relazioni giornaliere. Sono proprio le relazioni che ci aiutano a crescere e a forgiare i nostri caratteri. Tutti noi abbiamo dovuto cambiare stile di vita; ma i ragazzi, i bambini hanno vissuto un anno drammatico di isolamento formativo e di divertimento. Quasi sempre, oltre la famiglia, le loro relazioni sono avvenute dietro uno schermo dal quale si vedevano piccole faccine che cercavano di apprendere dall’insegnante; dopo la scuola, quello stesso schermo, diventava il loro conforto ricreativo (se non quello, il telefonino). Certamente, la crisi sanitaria ha aumentato le povertà, più che economicamente, ci presenterà povertà complesse: salute mentale, violenza, solitudine, abbandono, ecc.. Se vogliamo focalizzare una povertà che colpirà i giovani e i bambini, immagino uno scenario di fragilità, di difficoltà nell’affrontare la vita di tutti i giorni, anche nelle cose più semplici. Già la lettura degli ultimi anni ci ha posto di fronte un’emergenza giovanile, con una situazione familiare preoccupante, spesso monogenitoriale. Dopo la pandemia, la politica sarà chiamata ad un impegno non solo di ricostruire un “benessere sociale” che richiede investimento di grosse risorse economiche, ma a ricostruire la nuova generazione, e ciò non sarà facile. Ciò che si è perso in questo anno, è andato perduto!