Simone Passero, il Covid porta via le emozioni

Simone Passero, il Covid porta via le emozioni

1 Gennaio 2021 0 Di Anna Mozzi e Pasquale Maria Sansone

 

La chiusura temporanea dei teatri, cinema, l’annullamento degli appuntamenti con i concerti di musica classica e leggera hanno indotto numerosi artisti a rivolgersi al loro pubblico in modalità virtuale. Giorgio Panariello su Instagram ha lanciato #Acasaconvoi: tre appuntamenti settimanali per condividere e compartecipare… a distanza. Gli attori Lino Guanciale ed Alessandro Gassmann hanno organizzato “incontri” sui loro profili social: il primo si è dedicato ad Italo Calvino ed il secondo alla poesia da Dante ad Alda Merini.

I nostri artisti hanno raggiunto i loro fan attraverso queste modalità, concordando tutti sul fatto che, in presenza, è un’emozione garantita. Di questo e d’altro parliamo con Simone Passero. Si è formato studiando dizione e recitazione presso il Centro Teatro Attivo di Milano, avendo avuto come insegnante l’attrice Nicoletta Ramorino, Direttrice della scuola stessa. Successivamente approfondisce la recitazione cinematografica, avendo come Maestri Insegnanti: Giancarlo Giannini, l’Attrice Premio David di Donatello Barbara Enrichi, Lella Telloli Heins, membro del Playwrights and Directors Unit dell’Actors Studio di New York e l’Actor Coach Alberto Viola. Di grande importanza, tra le sue esperienze professionali, si rivela essere lo spot pubblicitario Nespresso con gli attori hollywoodiani George Clooney e Jack Black. A teatro fa parte della compagnia teatrale Gruppo Teatro Sonia Bonacina, diretta dal regista Giorgio Como. È attivo anche nel campo del doppiaggio e collabora con la RAI. Lavora anche nella moda come modello – indossatore.

Per il cinema ha girato il film lungometraggio “OCCULTUS” per la regia di Joe Pastore, in qualità di co-protagonista, nel ruolo del giornalista Luigi Barzini insieme con l’attrice protagonista Paola Rixa ed il film lungometraggio “TRACCE DI FOLLIA” per la regia di Michele Di Rienzo, in qualità di co-protagonista, nel ruolo del medico psichiatra Kevin Bryant insieme con l’attore protagonista Daniele Marcheggiani.

Come ha affrontato ed affronta Simone Passero la paura della pandemia ed i disagi legati alle indispensabili restrizioni?

Certamente non è stato facile e non è tuttora facile convivere con tali restrizioni perché hanno, di fatto, provocato uno stravolgimento totale delle nostre abitudini giornaliere e dei nostri stili di vita. La paura che nasce da questa pandemia è assolutamente giustificabile se si pensa con dolore a quante persone ci hanno ingiustamente lasciato a causa di questo virus. Io cerco semplicemente di rispettare le regole, indossando sempre la mascherina in luogo pubblico (chiuso o aperto che sia), lavandomi frequentemente le mani (principio che, effettivamente, dovrebbe già esistere nella mente di una persona civile), per proteggere la mia salute ma soprattutto per proteggere la salute delle persone che stanno intorno a me. Mi ritengo una persona ottimista e forse questa pandemia, se da un lato ha prodotto sofferenza, dolore e morte, dall’altro ha riavvicinato molte persone tra loro, facendo riscoprire il significato della condivisione e della vicinanza, soprattutto famigliare. In un’epoca come la nostra in cui un cellulare è il nostro migliore amico, l’aver riscoperto il calore umano, che può infonderti solo e soltanto un essere umano – animali a parte – è certamente uno dei traguardi più belli che si siano raggiunti fino ad ora.

Ad un artista eclettico, come Te, quanto manca il pubblico in presenza?

Innanzitutto Vi ringrazio molto per il complimento. Direi che il pubblico in presenza manca moltissimo: non poterne percepire le diverse emozioni, sentire e vedere gli applausi e scambiare due parole a fine spettacolo, è decisamente avvilente, una triste sbiaditura. Credo che questo sia strettamente legato alla scuola: un’insegnante che si vede privato di una classe composta di studenti in carne ed ossa che lo guardano ed ascoltano mentre spiega la propria materia, difficilmente riuscirebbe ad esprimere al meglio la sua arte. Manca il coinvolgimento fisico, l’empatia, la socialità. Manca praticamente tutto. La stessa cosa avviene per l’attore: vedere il proprio pubblico attraverso uno schermo, fa certamente piacere, ma rimane un contesto piuttosto freddo. Un attore non lavora mai per se stesso, lavora sempre per il pubblico e deve tutto a quest’ultimo: se lavora ed esercita ancora quella professione, lo deve al pubblico che lo vuole vedere, ha piacere di vederlo e, soprattutto, apprezza ciò che fa.

La ripresa delle attività teatrali è ancora lenta e difficile. Quale orizzonte lavorativo si prospetta per un giovane attore impegnato come Te?

Di sicuro il teatro è stato uno dei settori maggiormente colpiti insieme al cinema, con la chiusura totale delle sale. E ad essere stati colpiti non sono solamente gli attori ma anche le maestranze che lavorano dietro uno spettacolo o un film: gli attori non rappresentano altro che la punta dell’iceberg perché, insieme a loro, lavora un esercito di persone. Fortunatamente ho modo di operare in diversi ambiti dello spettacolo che mi permettono di essere sempre in attività. Ho due film che aspettano di uscire nelle sale quando riapriranno. Ci sono diversi progetti all’orizzonte che aspettano solo di essere confermati. In questo periodo faccio parte, virtualmente, del progetto ‘Vaccini per l’anima’, insieme alla conduttrice Eva Musci e al professore di Storia della Filosofia Antica, Giuseppe Girgenti: un ciclo di incontri culturali nei quali vengono riproposte letture su epidemie e pestilenze passate, dialogando, anche con l’intervento di ospiti quali scrittori, storici e filosofi, su quali siano stati i mezzi e gli strumenti adatti a superare le difficoltà del tempo e riprendere così la normalità della vita. Di sicuro ciò che non deve mai mancare è l’impegno, la costanza, la tenacia e, soprattutto, la passione. Bisogna guardare con speranza e fiducia nel futuro. Siamo noi gli artefici del nostro destino.

Quale lezione ci lascia in eredità, per il futuro, l’esperienza della pandemia del Covid-19?

Il Covid-19 ci ha mostrato quanto siamo importanti come comunità, collettività; se non ci fossero stati medici ed infermieri a curare senza sosta gli ammalati negli ospedali, i deceduti sarebbero stati molti di più; se non ci fossero stati i commessi dei supermercati non avremmo potuto rifornirci di cibo durante il blocco totale nazionale; se non ci fossero stati gli operatori sanitari a prendersi cura delle persone più anziane, sarebbero rimaste da sole, abbandonate a loro stesse e via dicendo. Ognuno di noi è importante per la società e dobbiamo continuare ad aiutarci a vicenda, non solo durante una pandemia. Ciò che facciamo, lo facciamo sempre per il prossimo.

Probabilmente quando questa terribile esperienza finirà, avremo compreso quanto sia importante la cosa che diamo maggiormente per scontata ma che, in realtà, rappresenta tutto: l’aprire gli occhi il giorno seguente.