Riccardo Molina, la forza di volontà è la base da cui partire

Riccardo Molina, la forza di volontà è la base da cui partire

13 Luglio 2022 0 Di Marco Magliulo & Pasquale Maria Sansone

“Il calcio si gioca con la testa. Se non hai la testa, le gambe da sole non bastano”. (Johan Cruyff)

Oggi parliamo di Covid, sport e salute con un maestro di questo gioco: Riccardo Molina.

La fase pandemica più acuta sembra essere alle spalle. Come vive e ha vissuto la situazione? Come l’ha affrontata? Come ha gestito la paura del contagio e il disagio legato alle misure restrittive?

Diciamo che i 2 diversi lockdown causa Covid19 li ho vissuti in maniera differente. Il primo riguardante la stagione 2019/20 con interruzione della stagione a fine febbraio è stato più traumatico, lo sviluppo della pandemia ha spaventato tutti, non si conosceva quasi niente se non i gravi danni alle persone. Personalmente ho fatto tutto ciò che ci è stato detto di fare, azzerando praticamente contatti, uscite ecc…

Al tempo era il mio penultimo anno da calciatore, giocavo in eccellenza, sperando in un’eventuale ripresa, ho cercato di mantenere la forma nel migliore dei modi, ho la fortuna di abitare in campagna, isolato da tutti e di avere anche a disposizione una home gym, quindi da un punto di vista strettamente fisico non ho subito il contraccolpo dell’inattività. La seconda ondata invece era prevedibile, la paura e l’incertezza erano decisamente affievolite, anche le restrizione decisamente più morbide così come la speranza di riprendere il campionato che puntualmente è avvenuta verso aprile.

Insieme alle restrizioni, i tentennamenti della politica hanno causato molti disagi al mondo dello sport, specie quello minore. Cosa è successo alla sua socialità?

Ovviamente le società hanno sospeso i pagamenti ai calciatori ma si sono adoperate affinché sport e salute versasse a coloro i quali non avevano altre entrate un rimborso spese mensile fisso. Credo sia stato un gran gesto per non creare enormi disagi.

Chi è stato tra gli amici o in famiglia a spingerla verso l’attività agonistica? Oppure si è trattato di una sua folgorazione, magari guardando ai modelli dei grandi campioni?

 

Iniziai a 6 anni nella squadra del mio paese, il Dehon di Spinetta Marengo in provincia di Alessandria. Non ricordo chi mi spinse, fu per farmi socializzare credo, ero un bambino un po’ introverso. Andai per qualche mese, poi a 7 anni grazie ad un mio compagno di scuola elementare iniziai ad andare alla Don Bosco, fucina di talenti,  dove nacque calcisticamente Gianni Rivera. Ricordo che si faceva la partita la domenica mattina, eravamo tantissimi, serviva per selezionare i 16 migliori che avrebbero affrontato il campionato l’anno seguente. Fu mia mamma a caricarsi la responsabilità di portarmi a provare, ma l’amore per il gioco mi è sicuramente stata trasmessa da mio padre, a detta di tutti un’ottima promessa dell’Alessandria, uno che nel settore giovanile stava bruciando le tappe, a 15 anni era già nella squadra con ragazzi di 2 anni più grandi, tutto faceva pensare che sarebbe diventato un giocatore vero, ma erano gli anni 60 e per una famiglia modesta di campagna era più importante il lavoro che coltivare i propri sogni, fu così che mio nonno, suo padre, si oppose al prosieguo della sua carriera. 

Ancora oggi quando ne parla si vede un velo di tristezza nei suoi occhi, chissà cosa sarebbe stato.

Al di là delle doti personali e delle attitudini, quanto conta la forza di volontà nel raggiungimento degli obiettivi?

Io faccio della cultura del lavoro il mio mantra, ancora oggi, mi alleno dalle 5 alle 7 volte settimanali nonostante sia un allenatore. Le doti naturali contano ma la forza di volontà è fondamentale, è la base da cui partire, se manca quella puoi cambiare mestiere.

Se dovesse dare qualche consiglio utile ai ragazzi che si avvicinano alla specialità, cosa suggerirebbe?

Il primo consiglio lo darei ai genitori dei ragazzi. Appoggiarli, aiutarli, sempre con il sorriso e la semplicità, senza eccessive pressioni e aspettative. Non devono sostituirsi al mister, devono solo dare tranquillità al ragazzo. Ai ragazzi invece direi di divertirsi, fare tutto con passione, fidarsi di chi è lì per farli crescere e cercare di imparare qualcosa di nuovo ogni giorno senza pensare a cosa sarà il futuro.  L’augurio però più grande che farei ad ognuno di loro è quello di incontrare le persone giuste, troppo spesso soggetti inadeguati o con secondi fini contribuiscono ad intralciarne la crescita.