Renato Dell’Oro: “Bisogna conoscere i propri limiti e fare sport per stare bene”

Renato Dell’Oro: “Bisogna conoscere i propri limiti e fare sport per stare bene”

20 Luglio 2022 0 Di Marco Magliulo & Pasquale Maria Sansone

Oggi parliamo di Covid, sport e salute con uno sportivo a 360°: Renato Dell’Oro.

“Nato a Lecco 46 anni fa, vivo a Pusiano da 15 anni e faccio sport da circa 40. Da buon italiano medio: calcio (a livello infimo) fino ai trent’anni. Finito col calcio ho riscoperto la Mountain Bike e ho partecipato a diverse marathon e Granfondo senza particolari risultati, ma con molto divertimento.
A 35 anni ho deciso che era ora di imparare a nuotare perché da un po’ mi stuzzicava l’idea di fare triathlon. Non ho ancora imparato a nuotare bene ma l’idea di buttarmi in acqua ha cambiato la mia vita, non solo sportiva! Appena sono stato in grado di fare qualche vasca mi sono lanciato nelle mie prime gare di triathlon (soprattutto olimpico). Dopo una vita sportiva monotematica, fare triathlon mi ha aperto un mondo nuovo: se sai nuotare, pedalare e correre puoi fare un’infinità di cose! E così al triathlon si è aggiunta la corsa in montagna, ho migliorato la corsa su strada (ho corso 2 volte la maratona sotto le 3h) e ho iniziato ad allungare le distanze. Ho completato 4 triathlon lunghi, 7 triathlon Xtreme di cui uno in completa autonomia. 3º posto allo Stonebrixiaman 2017.
Da 6 stagioni pratico lo Swimrun di cui sono probabilmente, assieme al mio compagno di squadra Paolo Carminati, l’atleta italiano con più gare all’attivo. Come coppia, Team Envol Italia, siamo campioni italiani di coppia in carica (titolo che proveremo a difendere il 24 luglio allo Swimrun Bologna); abbiamo partecipato a 2 Mondiali Ötillö (unica coppia italiana) di cui deteniamo il record italiano di percorrenza. A settembre saremo al via del Mondiale con l’obiettivo di migliorare il nostro record e stare sotto le 10h. Nel 2021 abbiamo vinto Ötillö Cannes Sprint ( prima coppia italiana sul gradino più alto di un podio Ötillö). Sono guida locale di Swimrun per l’associazione Envol (Svezia)”.

La fase pandemica più acuta sembra essere alle spalle. Come vive e ha vissuto la situazione? Come l’ha affrontata? Come ha gestito la paura del contagio e il disagio legato alle misure restrittive?

La pandemia ha influito in maniera importante sulla mia attività sportiva e posso facilmente dividere la mia esperienza tra periodo di lockdown e post lockdown.

Paradossalmente mi è stato più semplice restare attivo durante il quasi 3 mesi chiuso in casa. In quel periodo lo sport mi ha aiutato ad impostare una routine quotidiana che mi ha fatto in qualche modo passare quei giorni assurdi. Chiaramente non potevo fare le mie solite attività (lunghi giri in bici, corse nei boschi o in pista coi compagni di squadra e nuotate in piscina) però facevo ogni giorno una pedalata virtuale di almeno un’ora e un’oretta di esercizio a corpo libero oppure di corsa, sfruttando tutti i metri disponibili nella viuzza privata fuori casa. Finite le restrizioni più dure, ho riassaporato il piacere delle lunghe pedalate e delle corse oltre i 400 metri da casa, ma ho un po’ perso la costanza. Faccio pur sempre oltre le 10h di attività a settimana, però in maniera più disordinata, senza il metodo che avevo prima e che mi ha salvato durante il lockdown.

Insieme alle restrizioni, i tentennamenti della politica hanno causato molti disagi al mondo dello sport, specie quello minore. Cosa è successo alla sua socialità?

Facendo Triathlon e Swimrun ho ampia scelta su come impegnare il tempo libero.

Eppure le restrizioni mi sono sembrate davvero assurde. In un mondo in cui una delle principali cause di morte sono i problemi cardiovascolari, si è andati a limitare la possibilità di fare attività sportive. Credo sia inutile fare polemica e contestare scelte apparentemente assurde, però qualche domanda al presidente del CONI qualcuno avrebbe anche potuto farla. Io da atleta master, posso anche arrangiarmi ma i ragazzini che per 2 anni hanno svolto attività fisica a singhiozzo, come recuperano? Se tra i 10 e i 12 anni una ragazzina non può praticare il proprio sport perde un periodo fondamentale della formazione del proprio bagaglio tecnico.

Poi arrivano le medaglie alle olimpiadi e sento parlare di “programmazione” e addirittura “sistema sportivo italiano”.

Chi è stato tra gli amici o in famiglia a spingerla verso l’attività agonistica? Oppure si è trattato di una sua folgorazione, magari guardando ai modelli dei grandi campioni?

Credo che la responsabilità sia da dividere equamente tra mio padre e me. Mio padre mi ha “obbligato” ad avere costanza quando da ragazzino giocavo a calcio e certi anni, magari a metà stagione, avrei voluto piantare lì. Mi ha sempre detto che “avevo preso un impegno e dovevo portarlo fino in fondo” e l stagione seguente ero di nuovo lì, che non vedevo l’ora di ricominciare a giocare. Giocare a calcio è diventata un’abitudine fino ai trent’anni. Quando ho smesso di giocare ho continuato ad andare in montagna, cosa che facevo anche prima, e ho iniziato un po’ a correre e a fare un po’ di Mountain bike. Ho poi iniziato a fare le prime gare in MTB, non tanto per spirito competitivo ma per scoprire qualche nuovo percorso e per mettermi alla prova. A 36 anni ho imparato più o meno a nuotare e, a quel punto, è partita la febbre per il triathlon. Grazie al supporto della mia Squadra, 3 Life, ho avuto la possibilità di condividere i miei primi passi da triatleta seguendo i consigli di compagni con molta esperienza e da allora, è ormai quasi 10 anni che mi diverto facendo più sport e cercando di essere sempre “un po’ meno peggio” nel nuoto.

Al di là delle doti personali e delle attitudini, quanto conta la forza di volontà nel raggiungimento degli obiettivi?

Non so quantificare, ma di sicuro la forza di volontà è una componente fondamentale. Il suo peso dipende dall’obiettivo. Non possiamo raccontarci storie e dire che impegnandosi si può raggiungere qualsiasi risultato: se manca il “motore” o la tecnica, possiamo metterci tutta la voglia che abbiamo, che non diventeremo mai dei campioni. Per eccellere ci vuole un’ottima base genetica e poi bisogna lavorare duro. Se invece, come la maggior parte degli amatori, si è consapevoli dei propri limiti, ma si fa attività sportiva per stare bene a livello psicofisico e per migliorarsi, allora la forza di volontà è tutto. È quello che ci fa andare in piscina alle 6 del mattino, è quello che ci fa trovare bello correre quando piove e che ci emoziona quando saliamo in sella ad una bici e al primo giro di pedale abbiamo dimenticato i casini che ci circondano. Poi scendiamo dalla bici e i casini sono ancora lì, ma noi siamo un po’ più sereni e li affrontiamo meglio.

Se dovesse dare qualche consiglio utile ai ragazzi che si avvicinano alla specialità, cosa suggerirebbe?

Sinceramente faccio fatica! Io pratico sport di Endurance e secondo me non si adatta ad un/a ragazzino/a. Quando vedo dei bambini o poco più che fanno triathlon, spesso mi chiedo se lo vogliano fare loro o se si tratta di una scelta dei genitori. Per me lo sport è fondamentale nello sviluppo di una persona, ma deve essere anche e soprattutto gioco. Ho due figlie: una fa atletica e l’altra nuoto sincronizzato. Ecco, io non ho mai capito come possano piacere sport così faticosi a dei bambini! Io sono del secolo scorso: da ragazzini si gioca a calcio, pallavolo o basket. Forse perché io ero allergico alla fatica, ma faccio fatica a trovare delle motivazioni per spingere un ragazzino a fare triathlon! Credo sia utile avere la possibilità di provare più sport e magari di cambiarli e, in questo, il sistema sportivo scolastico dovrebbe giocare un ruolo molto più importante. La scuola dovrebbe promuovere la multidisciplinarità sportiva ma stiamo parlando ancora di quel Paese che per una pandemia ha fermato lo sport…