La musica di Ciro Formisano

La musica di Ciro Formisano

20 Settembre 2020 0 Di Anna Mozzi e Pasquale Maria Sansone

 

“La musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori”. Johan Sebastian Bach diceva questo di un’arte meravigliosa che, talvolta, specialmente, grazie alle sue note, è diventata un efficace strumento terapeutico.

Quanto è stata fondamentale durante la terribile clausura cui ci ha sottoposto il Covid-19 ce lo hanno dimostrato i flash-mob organizzati sui balconi a scopo catartico.

Per affrontare l’argomento ci siamo rivolti ad un rappresentante di quella musica colta che arricchisce spiritualmente, soprattutto nei momenti di crisi.

Ciro Formisano, violinista napoletano, ha studiato nel prestigioso Conservatorio napoletano “San Pietro a Majella”. Ha conseguito la Laurea di secondo livello in Violino percorso solistico e si è abilitato all’insegnamento dello strumento.

Ama le contaminazioni tra i generi, alterna l’esercizio di musica, teatro e poesia. Nel 2007 compone la sonata per Violino e Pianoforte “Preludium”. Ha inciso per diverse etichette discografiche. Nel 2015 ha ricevuto per la sua attività musicale ed artistica il riconoscimento “Napoli è cultura 2015”. Coniuga la sua attività concertistica con la cattedra di strumento musicale nella Scuola media di Primo Grado.

Ha pubblicato nel luglio 2020 il libro di poesie “D’immenso incanto mi emoziono” edito da Compagnia dei Trovatori di Napoli con la prefazione di Nino Daniele e Postfazione di Concetta Coccia.

In che maniera Ciro Formisano ha vissuto la lunga clausura imposta dal pericolo Coronavirus e quanto la musica ha contribuito a renderla più tollerabile?

La musica, la poesia,la lettura, i diversi autori come rifugio in un momento dove, dalla radio alla tv, non si parlava d’altro mi hanno permesso di non ascoltare l’assordante silenzio nell’assenza di suoni. Devo ammettere che, in un primo momento, si vive quasi con entusiasmo il possesso del tempo nel silenzio, ma l’essere umano é per natura un “essere sociale”, come sosteneva Aristotele. Ho cercato di impiegare il tempo ritornando a studiare brani musicali non finalizzati ad un appuntamento musicale, ma bensì al mio arricchimento personale nella ricerca di autori meno noti, e, naturalmente la mia eterna passione: le poesie, la letteratura e l’arte, quest’ultima insieme alla musica trasmessa da mio zio: Raffaele Formisano, violoncellista del Teatro S. Carlo, nonché Direttore dell’omonima Galleria S. Carlo, che ricordo ospitò nel ‘61 le opere grafiche di Matisse, Picasso e Chagall. A mio zio devo tanto in quanto lo considero colui che mi ha “iniziato” all’arte! Devo anche, però, ammettere che non è stato facile, specialmente nell’ultimo periodo, considerando il fatto che io vivo completamente da solo, comunque andiamo avanti sempre. 

Quali le difficoltà per l’insegnamento di uno strumento musicale a distanza?

Insegnare a distanza ( DaD ) è stata una esperienza nuova dove la scuola si è subito messa all’opera per trovare soluzioni nel difficile momento storico, ma trovarsi di colpo per i ragazzi e docenti, senza alcun interazione sociale è stata, in tutta onestà, un’esperienza che definirei “fredda”. Penso che forse più della didattica stessa, che non è mai mancata addirittura incrementando lo smart working persino con lezioni il sabato ho voluto fortemente mandare un messaggio ai miei alunni che é stato “l’esserci”, senza se e senza ma. Fare lezione, accordare il violino online con estrema difficoltà (qualche volta si è anche spezzata una corda), non cambiare orari, anzi incrementando e facendo sentire sempre la mia costante presenza. Posso confermare, visti anche gli innumerevoli messaggi di ringraziamento, che siamo riusciti tutti ad affrontare questa nuova esperienza: i ragazzi e la famiglia, anello fondamentale, trait d’union, come sempre, nel rapporto con i ragazzi.

Verba non sunt Flatus Vocis, sed Res Ipsa!! Le Parole, i Versi che compongono le Poesie di Ciro Formisano sono lacrime, sangue, sudore, carne, la sua corporeità vissuta ed esperita, intimamente, nell’Unità Olistica, come le sue note negli accordi del violino. Coniuga, salda, intreccia il Poeta & il Violinista nell’Impeto, nell’iperinvestimento libidico. Distingue il Fileo, l’Erao, l’Agape, ma dov’è il Pathos? Quali sono le Ombre e le Angosce? Quali le domande e gl’interrogativi inquietanti?

Come in molte composizioni del ‘600 e ‘700 prendo, ad esempio, le Sonate per violino solo di J.S.Bach, i colori del forte, del piano, del crescendo, venivano scritti raramente, perché la “dinamica” delle note già recava in sè, al suo interno, quel naturale colore, che non presentava alcun bisogno di essere scritto. Nelle note vi é già tutto per permettere all’ esecutore l’esecuzione del brano. Similmente le mie poesie, credo, riescano a suscitare una completa emozione sul piano estetico e affettivo, il Pathos, elemento che di per sè già esiste nella scrittura, nella sofferenza, mi riferisco a “Caramelle” a “La dormiente”, condizione empatica nella quale la scrittura si crea e si reinventa in una partecipazione del lettore. Le ombre, le angosce e gli interrogativi sono parte dell’essere umano e, naturalmente, suscitano in me sempre diversi interrogativi sull’hybris del desiderio, di quel delirio di onnipotenza che ogni giorno assistiamo. Mi pongo spesso degli interrogatIvi, cercando di dare delle risposte attraverso la filosofia, la psicoanalisi, come ad esempio la mancanza di tolleranza, la xenofobia, la mancanza di Amore verso tutto e tutti nel localizzare, nel diverso, le parti più oscure di noi stessi, che altro non é che il più prossimo, colui che abita in noi stessi prima di incarnarsi nell’altro, non riusciamo ad accettare l’ambivalenza intrisa in noi stessi, nei nostri nemici in una società utilitaristica come definisce il Prof. Nuccio Ordine: “Un martello vale più di una sinfonia, un coltello più di una poesia, una chiave inglese più di un quadro, é facile capire l’efficacia di un utensile, mentre é sempre più difficile comprendere a cosa possano servire la musica, la letteratura o l’arte”. Credo che la desertificazione delle emozioni, la velocità del nostro tempo dove la poesia, l’arte e persino l’insegnamento vengono sempre più contrapposte ad una felicità e conoscenza effimera, Smart, povera ma accessibile, dove tutto é connesso e veloce e dove non vi é lo spazio e la possibilità della poesia, dell’amore del “tempo“ per fiorire, dove il pensiero libero non deve subire quello che Pasolini descriveva “una mutazione antropologica” ossia dove gli oggetti di consumo (e non i sentimenti, l’amore ed il pensiero) definiscono sempre più l’essenziale della vita e dove la libertà, senza vincoli, offerta dal politeismo della società dei consumi è, in realtà, una forma di schiavitú. 

Ciro Formisano celebra, onora, consacra l’Elan Vital, la Joie de Vivre, ma ricerca disperatamente una radice di appartenenza, un riparo, un rifugio, un ubi consistam, un Abbraccio, un contatto oculare perché “Esse est Percipi”. In questo momento storico contingente di Distanza Ciro Formisano quale assenza l’ha travagliato, quale mancanza, quale horror vacui, quale cenere, polvere, brandelli, reliquie e relitti, di quale certezza è stato orfano? Nel suo Sturm Und Drung si è avvicinato al Thanatos o ha evocato, in un feticismo di ricordi, i suoi vagiti ed il suo smarrito Puer Aeternus?

In questo periodo di “chiusura” ho avvertito molto la mancanza di quelle che sono fonte di ispirazione, il leit motiv della mia vita: le mie figlie. Credo di essere una persona umana, con desideri ed emozioni e non mi limito a sopravvivere, il mio rifugio attraverso le poesie e la musica evocano il diritto dell’essere, alle proprie intime sensazioni ed aspirazioni, “cogito ergo sum”. Il linguaggio delle mie poesie si fa musica e lo stile, a volte profetico, ne sostiene l’andatura solenne, il Pathos, come evocate in ABENDLIED di G.Keller “quando un giorno cadranno le stanche palpebre, vi spegnerete, e quindi l’anima avrà pace”, sono una persona che vive in anima tormentata, da un’adolescenza abbastanza travagliata, dove “l’assenza” vissuta, in vari momenti del mio percorso, ha sicuramente creato un ulteriore inquietudine. Alla domanda descritta come feticismo dei ricordi, credo che invece faccia parte di me la idealizzazione di persone e concetti che in anni addietro sono sfociati in luoghi inaccessibili, inviolabili, dove non é permesso a nessuno entrarci, transitare, praticamente un tabù. La mia persona vive di emozioni e ricordi e, nella mia vita, la comparsa in varie forme dell’amore, della passione, sia stata sovvertitrice di ogni buon ordinamento sociale come indicato dal Dott. David Cooper. L’amore ha sempre declinato uno slancio vitale, ma anche un salto nel buio che chi crede di farlo, calcolando in anticipo premesse e conseguenze, non lo conoscerà mai veramente. L’amore come in tutte le sue forme con la ricerca del bene, del bello e della felicità che si rafforza e si solidifica, genera bene ma anche paure, a volte angosce che creano paradigmi oppressivi ammantati di bene. Nella mia vita ho sempre pensato e creduto fermamente che non è la materia che genera il pensiero, ma bensì il pensiero che genera la materia, come sostiene il grande filosofo G.Bruno, credendo non nel rifiuto di crescere, ma anzi, di essere cresciuto prima del tempo, condizione per la quale nelle mie poesie si cercano e si evocano mitizzando ricordi ricercati di  una infanzia e adolescenza, che tanto ha intriso la mia persona, portando a volte a scelte che oggi descrivo come “non condivise” ma che, forse, anche grazie a quelle scelte oggi “non condivise” sono quello che sono. Rappresento l’IO con i miei fallimenti e le mie vittorie, non vorrei essere frainteso, ma vivere Puer Aeternus non significa affatto disertare le possibilità di assumere delle decisioni, delle scelte, ma vivere nella pienezza delle gioie che ogni giorno si presentano e il trascorrere del tempo con il suo inesorabile divenire, riuscendo a farci apprezzare i dettagli apparentemente insignificanti della nostra vita, e ad accettarla come un dono. Historia Magistra Vitae.