Variante Omicron, non è come un’influenza

Variante Omicron, non è come un’influenza

18 Gennaio 2022 0 Di La Redazione

Omicron non è paragonabile ad una semplice influenza i sintomi simili, ma le due infezioni si mostrano differenti dal punto di vista biologico.

La variante Omicron del virus Sars-Cov2 provoca una forma di Covid che ha sintomi simili all’influenza, ma le due infezioni si mostrano differenti dal punto di vista biologico. Pertanto, trattarle come se fossero la stessa cosa è una semplificazione, nonché un azzardo, a meno che fossero tutti vaccinati. A spiegarlo, partendo dalle statistiche sulla letalità del Covid a valle della campagna vaccinale e alla luce della minore severità di Omicron è Matteo Villa, ricercatore dell’ISPI, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale. Il coronavirus lascia strascichi su vari organi e su cellule T

«La differenza oggi non la fanno tanto i diversi virus, ma proprio la diffusione dei vaccini. Nella categoria delle persone con più di 65 anni, la variante Delta uccide 5,4 infettati su 100, se non immunizzati. La Omicron è meno severa, con un tasso del 2,2%, sempre fra i non vaccinati. Se invece guardiamo a chi si è sottoposto alle due dosi, Delta, Omicron e influenza diventano malattie simili, con una letalità intorno allo 0,4-0,5%. Nella popolazione generale, inclusi i giovani, la letalità dell’influenza e del Covid fra i vaccinati oscilla tra lo 0,04% e lo 0,12%».
Semplificare però il Covid a semplice influenza è un azzardo poiché le due infezioni sono diverse dal punto di vista biologico. Il coronavirus è in grado di lasciare strascichi su vari organi e le cellule T, cellule killer del nostro sistema immunitario, che erano in grado di riconoscere le precedenti varianti del virus, riconoscono anche la variante Omicron. Questo quanto indica il centro di ricerca di virologia e sui vaccini di Harvard a Boston, Massachusetts. «L’immagine che sta emergendo è che le nuove varianti del Covid rimangono altamente suscettibili alla risposta immunitaria delle Cellule T – dice Dan Barouch, direttore del centro di ricerca di Harvard – Questo include anche la variante Omicron». L’integrazione di L-arginina ripristina attività delle cellule T

A segnalare gli studi in vitro sulla ridotta attività proliferativa delle cellule T nei pazienti con Covid-19 e la possibilità di ripristinarla attraverso l’integrazione di L-arginina, è una nota stampa di Farmaceutici Damor che ha collaborato alle ricerche fornendo la formulazione in flaconi di flaconcini L-arginina libera da sali. Jean-Marc Tadiè e i suoi collaboratori dell’Unità di Malattie Infettive e Terapia Intensiva dell’Ospedale Universitario di Pontchaillou, hanno dimostrato che nei pazienti con forme gravi di Covid-19 la sindrome da distress respiratorio acuto presenta un numero elevato di cellule che sopprimono i linfociti T di derivazione mieloide, cosa direttamente correlata ad una potenziata attività dell’arginasi, enzima che determina un impoverimento di L-arginina dal microambiente.

Gli effetti della L-arginina sui linfociti T possono essere di grande importanza come dimostra anche un prestigioso studio clinico italo-americano condotto dall’Ospedale Cotugno di Napoli, in collaborazione con l’Università Federico II e l’Albert Einstein College of Medicine di New York City, pubblicato sulla testata di libero accesso di The Lancet (Eclinical Medicine). Lo studio, randomizzato, in doppio cieco, controllato verso placebo, che nella sua analisi ad interim ha determinato l’arruolamento di 100 pazienti, ha evidenziato come già dopo 10 giorni dall’inizio della somministrazione, il trattamento con due flaconcini al giorno ciascuno contenente 1.66 grammi di L-arginina libera da Sali, determini una riduzione del supporto respiratorio in oltre il 70% dei pazienti trattati, con un deciso miglioramento della funzionalità respiratoria. Questo ha comportato anche una riduzione nei tempi di degenza: 25 giorni rispetto a 46 di degenza media dei pazienti in trattamento con il placebo. Inoltre, i benefici nel miglioramento della funzione endoteliale hanno avuto dei risvolti positivi anche nel lungo periodo, nei soggetti affetti da Long Covid: “Abbiamo notato – scrivono i ricercatori – che tra i pazienti che avevano assunto L-Arginina, anche l’astenia si era marcatamente ridotta”. La dimostrazione, sia pur preliminare, visto che lo studio è ancora in corso, sottolinea la nota dell’azienda, che l’aggiunta di arginina alla terapia standard in pazienti ospedalizzati per Covid-19 possano migliorare sensibilmente il decorso della malattia “è di particolare importanza vista la penuria di trattamenti disponibili in questo tipo di pazienti e rappresenta una nuova frontiera per una gestione migliore dei pazienti COVID-19 basata su un solido razionale fisiopatologico”.

 

 

Fonte: DoctorNews33