Vangelo in Salute: la Parola che cura

Vangelo in Salute: la Parola che cura

2 Novembre 2025 Off Di Fabio De Biase

La morte non ha l’ultima parola: Dio non perde nessuno, e nel suo abbraccio ogni vita ritrova casa.

C’è un giorno nell’anno in cui la Chiesa intera diventa silenziosa, raccolta, più umana che mai. È la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, la giornata in cui la fede si misura non con la festa, ma con la mancanza.

E il Vangelo che ci accompagna — Giovanni 6,37-40 — è come una carezza divina sulle nostre ferite: “Chiunque il Padre mi dà, verrà a me; e colui che viene a me, io non lo respingerò mai.”

Gesù non parla della morte come di una condanna, ma come di un passaggio custodito.

In un tempo che teme la morte e la nasconde, il Vangelo osa dire che ogni vita è preziosa, che nessuno va perduto, che tutto ciò che abbiamo amato continua a vivere in Dio.

Viviamo in un’epoca che vuole esorcizzare la morte. Non la si nomina, la si traveste, la si rimuove. Anche il lutto è diventato scomodo, quasi indecente. Ma proprio così si ammala l’anima.

Una società che non sa fare memoria dei suoi morti perde il senso della vita.

La Parola di oggi ci guarisce da questa rimozione, riportandoci all’essenziale: la morte non è una fine, è un passaggio verso una pienezza.

Non è annullamento, ma compimento. È il ritorno a quella casa da cui siamo partiti, al cuore di Dio che ci ha generati.

Gesù, nel Vangelo di Giovanni, parla con una tenerezza che smonta ogni paura: “Questa è la volontà del Padre: che io non perda nulla di quanto Egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.”

In queste parole c’è la terapia della speranza: Dio non perde nessuno.

Ricordare i defunti non è un esercizio di nostalgia, ma un atto di fede.

Il ricordo, per un cristiano, non è il rimpianto di ciò che non c’è più, ma la gratitudine per ciò che vive in Dio.

Quando diciamo i nomi dei nostri morti, in realtà pronunciamo parole di eternità: sono nomi scritti nel cuore del Padre, non nella polvere del tempo.

La Commemorazione dei Defunti ci guarisce dalla tristezza sterile e ci introduce nella memoria viva: quella che si trasforma in preghiera, che diventa fiducia, che si apre all’attesa della resurrezione.

La malattia che Gesù oggi cura è quella della disperazione mascherata da razionalità: quella che dice “non c’è più nulla dopo”, quella che chiude gli occhi davanti al mistero.

La terapia è la promessa: “Chi crede in me ha la vita eterna.” Non avrà, ma ha. Già ora, nel cuore di chi crede, l’eternità è cominciata.

Parlare di morte, oggi, è parlare di salute spirituale

Perché solo chi sa affrontare la morte può vivere pienamente.

La Domenica di Tuttosanità di oggi è la giornata della speranza risanata: quella che non nega il dolore, ma lo trasforma in attesa; quella che non finge che la morte non esista, ma le toglie il potere di spaventarci.

Gesù non promette che non moriremo, ma che non saremo perduti.

Ogni morte è come una consegna: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito.”

È in quelle mani che ogni vita ritrova la propria forma piena, il proprio senso compiuto.

La speranza cristiana non è evasione dal dolore, ma fiducia che l’amore di Dio è più forte di tutto ciò che ci divide, perfino della morte.

In questa celebrazione, la Chiesa rivela il suo volto più materno.

Non solo accompagna chi soffre, ma tiene viva la memoria di tutti, anche di chi è dimenticato.

Pregare per i defunti significa riconoscere che siamo una comunione, non una somma di individui.

Siamo legati da un filo invisibile che attraversa la terra e il cielo.

La Chiesa non fa archeologia del dolore: custodisce la speranza.

Ogni cimitero, ogni tomba, ogni nome inciso sulla pietra è un segno di fede: la certezza che l’ultima parola non è scritta dal nulla, ma da Dio.

E la liturgia dei defunti è una dichiarazione di fiducia: il nostro Dio è un Dio dei vivi.

La fede che guarisce il lutto

Chi ha perso qualcuno sa che il dolore non passa, ma si trasforma.

Il lutto non si supera, si attraversa.

E la fede è la forza che permette di attraversarlo senza perdersi.

La Parola di oggi è medicina per i cuori spezzati: “Chi viene a me, io non lo respingerò.”

In queste parole, ogni madre, ogni padre, ogni figlio trova la certezza che chi è morto non è scomparso, ma è accolto.

Guarire dal lutto non significa dimenticare, ma imparare a ricordare senza disperare.

È scoprire che l’amore, se è vero, non muore mai.

E che la comunione dei santi è più reale di ogni distanza.

Il Vangelo di Giovanni ci educa a guardare la vita con occhi nuovi.

Tutto ciò che amiamo non va perduto, ma trasfigurato.

Ogni frammento di bene, ogni gesto d’amore, ogni lacrima nascosta ha peso di eternità.

La fede non è un anestetico, ma un occhio che sa vedere oltre.

Quando Gesù dice: “Io lo risusciterò nell’ultimo giorno”, ci invita a guardare la vita con la prospettiva della resurrezione: niente è inutile, nessuna vita è sprecata, nessuna croce è vana.

Questa visione non cancella il dolore, ma lo trasfigura in attesa.

Ci insegna che anche nel buio della morte germoglia la luce della Pasqua.

Per riflettere : Dio non perde nessuno

Oggi non celebriamo la morte, ma la fedeltà di Dio.

Non la fine della vita, ma il compimento della promessa.

Non il silenzio del nulla, ma la Parola che dice: “Io non perderò nulla di ciò che il Padre mi ha dato.”

La fede cristiana è la medicina che guarisce la paura della morte, perché ci assicura che nessuno è perduto, nessuno è dimenticato, nessuno è escluso dall’abbraccio di Dio.

In questa giornata, le tombe diventano altari di speranza, i nomi diventano preghiere, le lacrime diventano fede.

E il nostro “ricordo” dei defunti diventa “incontro” con loro nel cuore stesso del Risorto.

Allora possiamo dire che il Vangelo di oggi è davvero in salute: perché ci libera dall’angoscia, ci restituisce fiducia, e ci invita a vivere ogni giorno con la certezza che la vita non finisce, ma cambia.

E in questo cambiamento, silenzioso e misterioso, Dio continua a fare ciò che ha promesso: non perdere nessuno.