Il crollo delle certezze.
3 Ottobre 2018Il disastro del ponte Morandi del 14 agosto scorso rappresenta un evento di forte impatto emotivo per gli individui e la collettività. In pochi secondi la struttura in ferro e calcestruzzo collassa e si trasforma in un cumulo di macerie e di vite spezzate. Le immagini della tragedia, riprese dai cellulari degli abitanti della zona e da varie telecamere di sorveglianza degli edifici circostanti, in pochi minuti fanno il giro del mondo attraverso la televisione e i social network.
Per i superstiti, i parenti delle vittime, i soccorritori, gli abitanti del rione dei ferrovieri (il quartiere circostante il viadotto autostradale), ma anche per i genovesi e tutti gli italiani, questa tragedia è una ferita profonda e indelebile destinata a rimanere nella memoria storica del nostro paese. E “ferita” è proprio l’origine greca del termine “trauma” con il quale, in psicologia, si descrive l’impatto sull’individuo di un evento vissuto come estremamente critico, imprevedibile e ingestibile, che scatena uno stress di gravità estrema tale da minacciare la vita della persona o l’integrità del suo equilibrio.
Catastrofi naturali (terremoti, eruzioni, valanghe, tsunami ecc.) e sciagure causate o riconducibili all’opera dell’uomo (guerre, disastri aerei, incendi, stragi di massa, ecc.) sono tipici esempi di eventi traumatici, come pure l’abuso, la violenza fisica, sessuale e domestica, il bullismo, gli incidenti stradali, la malattia, i lutti improvvisi. Anche le delusioni amorose, i fallimenti lavorativi e altri tipi di violazioni (come furti, aggressioni o raggiri) possono costituire eventi traumatici. Talvolta, anche la sola minaccia o timore che possa accadere una di queste cose può bastare per causare uno shock da trauma nelle persone.
In queste circostanze si viene a creare una rottura profonda tra il presente e il passato, tra l’esperienza consolidata – quella considerata normale, certa fino a quel momento – e una nuova realtà, drammatica e sconvolgente, che non si immaginava potesse accadere – almeno che potesse accadere a noi –, realtà che irrompe nella quotidianità con una forza-violenza tale da far male come una ferita sanguinante, come un colpo mortale. Ciò che appariva familiare, sereno, conosciuto, certo, solido, immutabile tutto a un tratto di trasforma in timore, avversità, minaccia, dolore, morte. L’integrità psicologica vacilla fino a frantumarsi di fronte alla perdita delle certezze personali. Ma di quali sicurezze parliamo? Di quelle che attengono alla nostra sopravvivenza fisica e psicologica.
A metà degli anni ’50 del secolo scorso, lo psicologo statunitense Abraham Maslow propose un modello dello sviluppo umano basato su una gerarchia di bisogni ben rappresentata da una figura a forma di piramide. Alla base della piramide ci sono i bisogni essenziali per la sopravvivenza (i bisogni fisiologici e di sicurezza come fame, sete, sonno, protezione, prevedibilità) mentre salendo verso il vertice si incontrano i bisogni più immateriali (i bisogni di appartenenza, di stima e di autorealizzazione come essere amato, riconosciuto e rispettato, realizzare la propria identità in base ad aspettative e potenzialità). Questi bisogni sono disposti gerarchicamente perché la soddisfazione di quelli più elementari è la condizione per fare emergere, e quindi soddisfare, i bisogni di ordine superiore. Come a dire che – se sono costretto a preoccuparmi di procacciare cibo, di trovare un ricovero per proteggermi e di capire se mi posso fidare di chi vive con me o mi sta intorno – non potrò certo pensare a cooperare con gli altri membri della comunità oppure a essere riconosciuto per il ruolo che occupo.
Accanto alle sicurezze che provengono dal soddisfacimento dei bisogni umani fondamentali, la psicologia di indirizzo dinamico suggerisce che la nostra psiche fa leva anche su di un espediente di sopravvivenza meno consapevole che ci accompagna per gran parte della vita, dall’adolescenza alle soglie della vecchiaia: una condizione di negazione adattiva delle realtà sgradevoli che funge da meccanismo auto-protettivo inconscio per la nostra mente e permettere, alla maggior parte di noi, di vivere con un senso di protezione/immortalità/onnipotenza tale da sperimentare l’autonomia senza essere sopraffatti, per esempio, dal pensiero che ci succeda qualcosa di brutto o dalla certezza (questa sì reale e unica) che tutti, prima o poi, moriremo.
Il crollo del ponte Morandi – con il suo carico di macerie, di vite spezzate e di significati terrificanti che un tale evento suscita nelle persone – simboleggia, dal punto di vista psicologico, il crollo delle certezze più elementari che circondano i cittadini di una società moderna: quella di poter attraversare un viadotto o passare sotto un ponte stradale in sicurezza; di allietarsi al pensiero di poter trascorrere un atteso momento di festa (magari il Ferragosto); di vivere in quella sensazione di tranquillità, di rassicurazione diffusa per la quale certe cose brutte, non succedono o possono succedere e, se succedono, capitano agli altri.
Quando, invece, un evento traumatico ci coinvolge direttamente o indirettamente, viene inferta una ferita capace di causare angoscia, sofferenza, disturbi psicofisici anche gravi pure dopo anni e nonostante qualsiasi apparente cicatrizzazione. Se le persone non hanno possibilità di elaborare l’accaduto per superare il trauma, cioè ricucire e dare nuovi significati evolutivi alla propria esistenza, facendo ricorso a proprie risorse personali o ad un aiuto specifico come il supporto psicologico o la psicoterapia, il rischio è rimanere intrappolati in una morsa di difficoltà crescenti capaci di condizionare negativamente la qualità della vita.