Ciro Sarnelli: “Né psicologi, preti e scienziati hanno potuto aiutarmi come ha fatto lo sport”

Ciro Sarnelli: “Né psicologi, preti e scienziati hanno potuto aiutarmi come ha fatto lo sport”

20 Febbraio 2022 0 Di Marco Magliulo & Pasquale Maria Sansone

Il judo aiuta lo sviluppo armonico dell’organismo, migliora la capacità di coordinazione e l’equilibrio e ha effetti benefici sulla circolazione del sangue e sulla respirazione.

Oggi parliamo di Covid, sport e salute con un giovane judoka: Ciro Sarnelli.

Campione Italiano U15 +81kg anno 2015; Campione Italiano U15 +81kg anno 2016; Vice Campione Italiano U18 +90kg anno 2017; Terzo ai Campionati Italiani U18 -90kg anno 2018; Vice Campione Italiano U18 -90kg anno 2019; Vincitore del circuito Trofeo Italia; Partecipazioni a varie competizioni appartenenti al Tour Mondiale del IJF International Judo Federation.

Come hai vissuto e come vivi, come hai affrontato e come affronti la paura della pandemia, del contagio ed il notevole disagio legato alle indispensabili severe misure restrittive?

Inizialmente, durante la piena pandemia (intendo Marzo 2020), è stato un caos totale. Tutti rinchiusi in casa senza sapere se e quando si sarebbe ritornati ad allenarsi. Il lavoro di un atleta è costruito in base al tempo e la perseveranza e per quanto possa esser facile dire da esterno “ok, ma allenati in casa”, il fatto non sussiste. Perdere da un momento all’altro quella continuità, quel ciclo di allenamenti continui, quell’atmosfera che creava la palestra, destava in me, come penso in tutti gli atleti agonisti, un buio totale nel nostro percorso, non permettendoci neanche di idealizzare i prossimi obiettivi.

I primi tempi dopo la prima bufera, il Governo diede il consenso agli atleti agonisti in corsa per competizioni internazionali di allenarsi; ma eravamo disinformati circa i sintomi e i metodi di trasmissione del COVID-19 e quindi ci limitavamo ad allenarci distanziati, con le mascherine e senza partner. Insomma, una tortura.

Al giorno d’oggi, dopo quasi ormai due anni, è tutto cambiato. Nulla è più come prima. A partire dall’atmosfera che si creava in spogliatoio con gli amici dopo allenamento, alle competizioni, ai rapporti umani, ai bambini che giravano felici in palestra. Il judo è uno sport di contatto tra due persone ed è per questo che molte famiglie hanno preferito ritirare i propri figli da questa disciplina.

Quanti danni hanno causato allo sport la chiusura indiscriminata della prima ora e la confusa, se non cattiva gestione politica?

Nessuno può puntare il dito e dire se le scelte da parte di chi in cattedra siano state giuste o sbagliate. Amministrare un paese di oltre sessanta milioni di persone con quasi tutti i settori in sfascio sarà stato, ed è ancora, un’impresa più che impegnativa. Per quante persone lo sport sia una priorità, un lavoro, sfortunatamente, in quel momento eravamo lì a combattere ancora, questa volta non con un avversario fisico, ma uno ancora più potente e invisibile. La gestione della situazione politica, ancora adesso, se paragonati agli altri paesi dell’UE e molto dubbiosa e non ci dà ancora la possibilità di chiamare questa “normalità”.

Tuttavia, le competizioni, sia internazionali che nazionali hanno ripreso. Con le proprie misure restrittive, quali, tamponi, accertamenti, quarantena, etc… ma almeno ci si può sbilanciare dicendo che un atleta possa ancora tentar di sognare.

Quanto valore tu attribuisci al binomio sport e salute ovvero quanto è fondamentale l’attività sportiva per il conseguimento del mantenimento del benessere psicofisico?

Lo sport è stato ed è fondamentale per la crescita e lo sviluppo della persona. Lo sport è quell’elemento che completa la formazione del carattere di un adolescente, che lo educa e gli insegna a stare all’interno di una comunità sapendo rispettare le gerarchie. Persone che hanno praticato uno sport a livello non amatoriale, ma agonistico, hanno sicuramente un diverso approccio alla vita e alla sua difficoltà rispetto a una persona che non ha avuto la fortuna o, ha preso la scelta, di non dedicarsi a uno sport.

Cosa ti ha dato la pratica sportiva in termini di crescita personale, sociale e professionale?

Prima di frequentare il dojo ero un bambino molto introverso e timido che faceva fatica a relazionarsi con le altre persone, data anche la paura nell’affrontare il mondo. In tenera età capì casualmente cos’era la morte e ciò mi rese molto fragile, indifeso, terrorizzato dall’idea che un giorno dovesse finire tutto per tutti e per questo avevo paura di perdere le persone a me più care. Né psicologi, preti, scienziati hanno potuto aiutarmi come ha fatto l’ambiente sportivo. Esso mi ha donato autostima e capacità di relazionarmi a dismisura.

I primi tempi nel dojo, con quella giacca che tutti i non praticanti di judo chiamavano “accappatoio”, sono stati molto altalenanti. Avevo paura di stare del tempo lontano dai miei genitori e di essere abbandonato ma, GRAZIE, al mio maestro Gianni Maddaloni che mi ha sempre fatto sentire un figlio in casa sua, nel giro di qualche mese hanno portato in me un pieno cambiamento.

Il percorso sportivo mi ha permesso di confrontarmi in palestra con persone più mature di me, e non intendo in termini sportivi, ma proprio di colloquio. Mi ha permesso di farmi comprendere le mie potenzialità nascoste e i miei sentimenti più repressi. Portando naturalmente una maturazione precoce rispetto ai miei coetanei e conseguenzialmente una facilità ad affrontare la vita con sguardo sicuro. Lo sport dà tanto, ma allo stesso tempo bisogna essere coscienti di quel che si sta facendo. Tal volte, se si decide di entrare in un percorso agonistico, bisogna saper accettare tante rinunce e vivere in un circolo vizioso di monotonia nel ripetere gli stessi gesti fino alla perfezione. Insomma, non è per tutti ed io posso dire di averlo affrontato a pieno petto.