Videogiocando…videosmarrendosi

Videogiocando…videosmarrendosi

10 Agosto 2019 0 Di Teresina Moschese*

Le nuove dipendenze virtuali hanno creato nuove patologie in grado di compromettere, anche in maniera severa, la psiche, segnatamente dei più giovani.

Recentemente abbiamo parlato della dipendenza da smartphone e similari, cogliendone i legami con il mondo emotivo e individuando qualche “contromisura” da adottare per allenare i nostri ragazzi ad un equilibrato uso.

Certamente non solo le tecnologie smart ma anche i videogiochi mettono a dura prova la resistenza psicologica di una famiglia nella gestione del rapporto con i figli preadolescenti e adolescenti. Chi di voi, infatti, non ha uno o due figli che, contendendosi la Play Station, trascorrono dalle 3 alle 6 ore al giorno rapiti da battaglie cruente, combattimenti strategici, simulazioni di guida, tornei di calcio, solo per citarne alcuni, che si svolgono virtualmente in un mondo parallelo ma affollatissimo di vite reali?

Io sì! E mi confronto quotidianamente con la necessità di negoziare con i miei figli il tempo che trascorrono ai videogiochi ed il tempo da vivere nella vita reale.

Esistono categorie di gioco davvero molteplici. Una novità del mercato degli ultimi anni è quello del videogioco online, che punta ad incentivare la condotta al gioco facendo leva sul connubio tra i meccanismi del gioco d’azzardo e il gaming. Questa tipologia di videogiochi attiva il cosiddetto “grinding”, responsabile delle condotte di dipendenza. I ragazzi non riescono a farne a meno in quanto sollecitati sia dai processi di identificazione con gli avatar scelti sia dalla ripetizione continua della stessa azione nel gioco online in vista del raggiungimento del premio virtuale desiderato. La dimensione gruppale virtuale sostiene l’accanimento. I giocatori, infatti, sono impegnati in una competizione per la scalata al successo con compagni reali anche sconosciuti, ciascuno dei quali partecipa al game dalla propria camera in qualsiasi parte del mondo.

Le condotte di abuso da videogiochi, classificate dal DSM-5 come Internet Gaming Disorder,portano a significativi problemi di funzionamento sociale, relazionale e lavorativo, che possono sfociare addirittura nella Sindrome degli Hikikomori, di cui vi parlerò con piacere in un prossimo articolo.

Mi sono chiesta più volte cosa alimentasse negli adolescenti il bisogno di trascorrere tanto tempo in una realtà virtuale, incollati ai monitor e alle console.

Approfondendo la letteratura in materia di gaming e cultura, ho scoperto che in questa società imprevedibile, non a caso definita da Bauman “liquida”, perché caratterizzata da cambiamenti repentini negli stili di vita e nei valori, dove impera l’individualismo, la diffidenza verso ogni tipo di diversità e di fragilità fino a diventare razzismo, angoscia per l’estraneo, paura di un mondo percepito come pericoloso, i videogiochi prima di rappresentare un rischio per la salute psichica dei ragazzi, assolvono a due funzioni protettive fondamentali, ma inconsapevoli, per noi adulti.

In primo luogo, consentono di tenere lontani i figli dai rischi percepiti nel mondo esterno, perché si gioca e si combatte stando comodamente seduti nella propria stanza, senza incontrare potenziali nemici reali e senza riportare alcun graffio, come invece accadeva in passato nelle zuffe di strada reali. In secondo luogo, fanno molta compagnia e anestetizzano il senso di solitudine così mal tollerato dalle nuove generazioni e dai loro genitori, fin dalla più tenera età. Non è l’attività di gioco in sé a fungere da anestetico alla noia, quanto la possibilità di giocare on line con altri utenti, spesso amici che si conoscono e si frequentano nella vita reale.

Queste e molte altre paure hanno comportato l’allontanamento progressivo dagli spazi di socializzazione libera che un tempo erano riservati alla crescita dei più giovani, quali le piazze, gli oratori e i cortili. In qualche modo sollecitati dalle angosce degli adulti, i ragazzi hanno creato un loro “spazio virtuale”dove incontrarsi, in cui poter sperimentare le proprie capacità, esprimere gli aspetti di aggressività che spesso nella vita reale sono censurati e inibiti, insieme alla necessità fisiologica maschile di elaborare e gestire la forza fisica e le spinte esplorative, aspetti che si sperimentano attraverso la lotta fisica con i compagni, il gioco di forza etc… Ecco che ai maschi in particolare non resta che fare la guerra virtuale rinchiudendosi nel tepore della propria cameretta a far finta di combattere e di intraprendere mirabolanti imprese.

La difesa in tre mosse

Vediamo3 strategie che noi genitori possiamo adottare affinché l’uso del videogioco fin qui descritto sia equilibrato e non diventi il “tiranno” del tempo libero dei nostri ragazzi.

  1. Trasmettere loro il valore del tempo libero: prezioso ed irripetibile, va reso speciale e va gustato in ogni istante anche quando un po’ noioso.

  2. Rischiare di fidarsi del mondo esterno, perchè i nostri figli ce la possono fare a fronteggiarlo.Sollecitarli nell’uscire da soli con gli amici in giro per la città o per il quartiere. Si azzufferanno in stile “La guerra dei bottoni”? Litigheranno con altri gruppi? Bene!  Sono esperienze che li alleneranno alla vita! Se l’angoscia è profonda e la preoccupazione non vi dà respiro, per la vostra tranquillità potete installare sul suo smart un’applicazione di geolocalizzazione rendendolo partecipe della cosa, aggiungendo che se dovesse trovarsi in difficoltà sapete dove raggiungerlo.

  3. Creare una rete solidale con gli altri genitori, in modo da andare verso la stessa direzione educativa anti-dipendenza.

*Psicologa-psicoterapeuta