Vaccino russo anti-Covid Sputnik V: possiamo fidarci?

Vaccino russo anti-Covid Sputnik V: possiamo fidarci?

11 Marzo 2021 0 Di Carlo Alfaro*

Sputnik V sfrutta la tecnologia a vettore virale, come Astrazeneca e Johnson&Johnson. Il vaccino è composto da due diversi virus che appartengono alla famiglia degli adenovirus, Ad26 e Ad5.

 

I vaccini anti-Covid sono l’arma su cui il mondo punta per superare la crisi sanitaria che da un anno lo tiene in ginocchio, ma le campagne vaccinali proseguono tra battute di arresto per difficoltà organizzative e ritardi nella fornitura delle dosi (anche la Johnson&Johnson, produttrice del prossimo vaccino di cui si attende l’autorizzazione alla commercializzazione, ha comunicato all’Unione europea di avere problemi a garantire l’approvvigionamento delle dosi pattuite), polemiche, perplessità e timori.

Molto interesse e speranza, ma anche pregiudizi e remore, sono rivolti verso il vaccino russo, chiamato Sputnik V.

Il nome del vaccino si rifa’ allo Sputnik, il primo satellite lanciato dall’Unione Sovietica in orbita nel 1957, la “V” sta per “Victory”.

Sputnik V sfrutta la tecnologia a vettore virale, come Astrazeneca e Johnson&Johnson. Il vaccino è composto da due diversi virus che appartengono alla famiglia degli adenovirus, Ad26 e Ad5. Questi adenovirus sono stati modificati in modo da contenere il gene responsabile della produzione della proteina Spike del Sars-CoV-2 (un frammento di DNA). Non sono in grado di riprodursi nell’organismo e non provocano malattia. I due adenovirus sono iniettati separatamente: Ad26 è usato nella prima dose mentre Ad5 è usato nella seconda dose dopo 21 giorni. Il secondo vettore è diverso dal primo nel sospetto che se dopo la prima dose ci potesse essere una produzione di anticorpi contro di esso che indebolisse l’effetto del richiamo. Una volta iniettato, il vettore provvede a diffondere il gene nelle cellule dell’organismo, affinché producano la Spike. Il sistema immunitario della persona vaccinata riconoscendo questa proteina come estranea risponderà producendo le proprie difese naturali (ossia gli anticorpi e le cellule T). Qualora, in un momento successivo, la persona vaccinata dovesse entrare in contatto con il Sars-CoV-2, il suo sistema immunitario riconoscerà la proteina Spike del virus e sarà pronto a combatterla.

Uno studio ad interim (preliminare) sui dati della sperimentazione del vaccino Sputnik V su quasi 20.000 partecipanti uscito su The Lancet suggerisce che il protocollo di somministrazione a 2 dosi offre un’efficacia del 91,6% contro la malattia sintomatica e del 100% contro la malattia grave, paragonabile quindi ai vaccini a RNAm attualmente in uso. La protezione dopo 2 settimane dalla prima dose sarebbe del 73%.

Il Comitato per i medicinali per uso umano (Chmp) dell’Ema ha avviato la rolling review (revisione ciclica) dello Sputnik V.

I dubbi riguardo allo Sputnik V riguardano il fatto che il campione selezionato per i test della fase 3 è stato esiguo e il protocollo della sperimentazione non è stato reso pubblico, secondo la tipica mancanza di trasparenza del “regime sovietico”. I vantaggi sono che è relativamente poco costoso, facile da conservare e trasportare e con una buona tolleranza.

Spuntik V è stato il primo vaccino anti-Covid nel mondo ad essere registrato ed è già stato autorizzato in 39 Stati tra cui Bielorussia, Venezuela, Bolivia, Algeria, Serbia, Ungheria, Slovacchia e anche la Repubblica di San Marino. In Russia, però, nonostante la propaganda di Stato lo promuova come “facile da maneggiare e affidabile come un Kalashnikov”, solo il 2,7% della popolazione lo ha praticato, si ritiene anche per l’intrinseca diffidenza dei Russi verso tutto ciò che proviene dallo Stato. Interessante notare che il presidente russo Vladimir Putin per primo non ha fatto il vaccino!

Un’azienda farmaceutica privata italiana, a Monza, ha stretto un accordo, prima in Europa, con la casa produttrice russa per produrlo da luglio nel nostro territorio, all’oscuro del governo, le cui iniziative in campo di vaccini anti-Covid sono subordinate ai passi dell’Unione europea. Dunque, le dosi che saranno prodotte in Italia, se il vaccino non sarà approvato prima dall’Agenzia europea dei farmaci (EMA), non potranno essere distribuite nel nostro Paese. Frattanto, anche altre due aziende farmaceutiche italiane e la Spagna sono in trattativa per produrlo in sede.

*Dirigente Medico Asl Napoli 3 Sud