Svolgere funzioni superiori di fatto… ma non di diritto

Svolgere funzioni superiori di fatto… ma non di diritto

13 Dicembre 2018 0 Di Avv. Corrado Riggio

Il dirigente medico che esercita attività di sostituto quale responsabile di struttura semplice o complessa, ex articolo 18 Ccnl, per la Cassazione non esegue compiti più elevati.

 La suprema Corte di Cassazione con recentissima ordinanza n. 28030, pubblicata il 02 novembre 2018 ha affermato che la sostituzione nell’incarico di Dirigente medico del servizio sanitario nazionale ai sensi e per gli effetti dell’articolo 18 del Ccnl dirigenza medica e veterinaria dell’08.06.2000, non si configura come svolgimento di mansioni superiori poiché avviene nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria, sicchè non trova applicazione l’articolo 2103 c.c. ed al sostituto non spetta il trattamento accessorio del sostituito ma solo la prevista indennità c.d. sostitutiva, senza che rilevi, in senso contrario, la prosecuzione dell’incarico oltre il termine di sei mesi (o di dodici se prorogato) per l’espletamento della procedura per la copertura del posto vacante, dovendosi considerare adeguatamente remunerativa l’indennità sostitutiva specificamente prevista dalla disciplina collettiva e, quindi, inapplicabile l’articolo 36 della Costituzione.

La materia delle sostituzioni è stata, dichiara sempre la Suprema Corte di Cassazione in detta Ordinanza, espressamente disciplinata dalle parti collettive che, all’articolo 18, comma 7, del Ccnl 08.06.2000 hanno innanzitutto ribadito, in linea con la previsione dell’art. 15 ter, comma 5, del D. Lgs. 502/1992, che le sostituzioni non si configurano come mansioni superiori in quanto avvengono nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria. Hanno, quindi, previsto una speciale indennità, da corrispondersi solo in caso di sostituzioni protrattesi oltre i sessanta giorni, rapportata al livello di complessità della struttura diretta (£. 1.036.000 per la sostituzione del dirigente di struttura complessa e £. 518.000 per la struttura semplice).

Il comma 4 della disposizione contrattuale prevede che, qualora la necessità della sostituzione sorga in conseguenza della cessazione del rapporto di lavoro del dirigente interessato, e, quindi, della vacanza della funzione dirigenziale, la stessa è consentita per il tempo strettamente necessario all’espletamento delle procedure concorsuali e può avere la durata di mesi sei, prorogabili a dodici.

E’, però, significativo che le parti collettive non abbiano fatto cenno alle conseguenze che, sul piano economico, possono derivare dall’omesso rispetto del termine indicato e l’omissione non può essere ritenuta casuale, atteso che la norma contrattuale ha tenuto ad affermare, come principio di carattere generale, che la sostituzione non implica l’espletamento di mansioni superiori.

Continua la Corte, affermando che il termine indicato al comma 4 dell’art. 18 del CCNL dirigenza medica e veterinaria, pertanto, svolge senz’altro una funzione sollecitatoria ma il suo mancato rispetto non può legittimare la rivendicazione dell’intero trattamento economico spettante al dirigente sostituito, impedita proprio dall’incipit del comma 7 che, operando unitamente al principio della omnicomprensività al quale si è già fatto cenno, esclude qualsiasi titolo sul quale la pretesa possa essere fondata.

Secondo la Corte, nel caso de quo, non è nemmeno invocabile la giurisprudenza costituzionale ed amministrativa formatasi in relazione all’art. 121 del DPR 384/90, disapplicato dal richiamato art. 18 del CCNL 2000 e, quindi, in un diverso contesto normativo giacchè, prima dell’istituzione del ruolo unico, i compiti propri del primario costituivano mansioni superiori rispetto a quelle dell’aiuto o dell’assistente mentre nell’attuale sistema, fondato sull’equivalenza delle mansioni dirigenziali, le diverse tipologie di incarichi non comportano rapporti di sovra o sotto ordinazione (art. 27 CCNL 2000) e sono manifestazioni di attribuzioni diverse ma di pari dignità (art. 6 CCNL 2008).

Conclude la Corte affermando che deve escludersi, anche, qualsiasi contrasto tra tale orientamento con il principio di non discriminazione adottato dalla Comunità Europea. Rileva, infatti, il Collegio che il principio in parola potrà essere invocato solo dagli assunti a tempo determinato qualora agli stessi vengano riservate condizioni di impiego meno favorevoli rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato comparabili.

Il rapporto dirigenziale che viene in rilievo esula dall’ambito di applicazione della direttiva perché non può essere confuso il contratto di conferimento dell’incarico dirigenziale con il rapporto di servizio, che comporta l’accesso alla qualifica dirigenziale e che è a tempo indeterminato.

Il primo è in effetti a termine, ma necessariamente è tale, in quanto l’attuale sistema è caratterizzato dalla temporaneità degli incarichi, la cui scadenza, però, non fa venir meno il rapporto di lavoro con l’Ente, che resta disciplinato dall’originario contratto di servizio a tempo indeterminato anche nell’ipotesi in cui al dirigente venga assegnato, anziché un ufficio dirigenziale, un incarico di consulenza, di studio, di ricerca o, per la dirigenza medica, di natura professionale e di alta specializzazione.