Stefania Bartoccetti, lo stress da pandemia è stato scaricato sulle donne

Stefania Bartoccetti, lo stress da pandemia è stato scaricato sulle donne

26 Marzo 2021 0 Di Anna Mozzi e Pasquale Maria Sansone

I lunghi mesi di lockdown e la forzata coabitazione nelle case hanno allungato ancora di più la pagina nera dei femminicidi nel nostro Paese. Il dato, nero su bianco, ha trovato conferma in un report dell’Istat dedicato agli omicidi: nei primi sei mesi 2020 la situazione si è ulteriormente aggravata con un numero di delitti pari al 45% del totale degli omicidi, contro il 35% dei primi sei mesi del 2019.

La percentuale poi è salita al 50% durante il lockdown nei mesi di marzo ed aprile. Una scia di sangue proseguita senza soluzione di continuità, visto che nel 2019 il numero dei femminicidi aveva raggiunto quota 101 e nel 2018, la percentuale di uomini imputati di omicidio era stata del 93%.

Secondo l’Istituto di Statistica le donne sono state uccise, all’interno delle mura domestiche, quindi in un ambito affettivo-familiare e nel 90% dei casi, nel primo semestre 2020 per mano di partner o ex-partner (61%). E, a parte l’eccezionalità negativa della fase di lockdown, la cupa panoramica dei femminicidi trova un filo rosso temporale con i dati del 2019, che confermano un calo generale degli omicidi e una decisa controtendenza di quelli perpetrati in famiglia. Nel 2019, registra l’Istat, gli omicidi sono stati 315 (345 nel 2018), di cui 204 uomini e 111 donne. Ed anche, in quell’anno, in ambito familiare o affettivo è aumentato il numero delle vittime: 150 nel 2019 (47,5% del totale), con 93 vittime donne (l’83,8% del totale degli omicidi femminili).

Le differenze di genere dunque, rimarca l’Istat, rimangono forti: nel 2019 gli omicidi in ambito familiare o affettivo sono stati il 27,9% del totale di quelli compiuti da uomini e l’83,8% quelli che hanno avuto come vittime le donne. Un incremento considerevole se si considera che, quindici anni fa, gli stessi valori erano pari rispettivamente al 12% e al 59,1%. Nel 2019, nello specifico, 55 omicidi (49,5%) sono stati causati da un uomo, con cui la donna era legata da una relazione affettiva (marito, convivente, fidanzato) e 13 (11,7%) da un ex-partner.

Da sottolineare poi che fra i partners, nel 70% dei casi l’assassino è il marito, mentre tra gli ex prevalgono gli ex-conviventi e gli ex-fidanzati. Agli omicidi dei partners si sommano quelli di altri familiari (il 22,5%, pari a 25 donne) e di altri conoscenti (4,5%, 5 vittime), valori complessivamente stabili negli anni.

Nel 2019 il tasso di donne, vittime dei partners è stato più elevato nelle Isole (0,36 per 100 mila donne, contro lo 0,22 della media nazionale) e, a seguire, nel Nord-Est (0,25) e nel Nord-Ovest (0,23). Tra le regioni, si collocano sopra la media l’Abruzzo, l’Emilia-Romagna, la Liguria, la Sicilia e la Sardegna, con tassi da 0,45 a 0,36 per 100mila donne. Sono in ambito familiare i pochi omicidi dell’Umbria, della provincia di Trento e di Bolzano, e quasi tutti quelli accaduti in Piemonte, Liguria, Marche, Toscana, Campania, Calabria, Puglia e Sardegna.

In Basilicata non si sono invece registrati omicidi di donne per tutto il 2019. Il dato sulle uccisioni delle donne ha trovato conferma pochi giorni fa nel rapporto del Servizio Analisi Criminale della Polizia. Dallo studio è emerso un leggero aumento delle vittime di sesso femminile, passate da 111 del 2019 a 112 del 2020, ed un incremento delle donne uccise in ambito familiare, salite da 94 del 2019 a 98 dell’anno scorso. Più nello specifico dallo studio della Polizia è emerso che a febbraio, maggio e ottobre 2020 il 100% delle donne vittime di omicidio hanno perso la vita in un ambito familiare-affettivo.

Nel 2021 in Italia un femminicidio ogni 5 giorni. Un bollettino drammatico, che non si ferma mai: Victoria Osagie, Roberta Siragusa, Teodora Casasanta, Sonia Di Maggio, Piera Napoli, Luljeta Heshta, Lidia Peschechera, Clara Ceccarelli, Deborah Saltori, Rossella Placati uccise da inizio anno e la lista si allunga di giorno in giorno.

Affrontiamo questo argomento, di drammatica attualità, con una Donna che ha dedicato e dedica il Suo impegno quotidiano alla difesa dei Diritti delle Donne.

Stefania Bartoccetti è Amministratore di Enti pubblici in ambito socio-sanitario. La Sua attività è contraddistinta dall’impegno sociale: ha promosso attivamente la Rete Lombarda ed Europea degli Sportelli Rosa al fine d’incentivare la partecipazione femminile nel mondo del lavoro e di Mamma Sicura per aiutare le donne a vivere serenamente l’esperienza della maternità. Ha, inoltre, promosso in diversi Enti Pubblici Milanesi l’istituzione di asili nido aziendali (Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli ed Istituto Martinitt), così come di Comitati per le Pari Opportunità (Istituto Neurologico Besta ed Azienda Martinitt, Stelline e Pio Albergo Trivulzio). L’8 marzo 1992 ha fondato Telefono Donna, un centro di ascolto e di assistenza specialistica per le donne e per le famiglie in difficoltà, che fornisce un servizio gratuito, grazie alla partecipazione di operatrici volontarie, psicologhe, avvocati, mediatori familiari, medici ed assistenti sociali. È stata Vicepresidente della Commissione Salute Donna, istituita dal Ministero della Salute, che ha elaborato il primo documento contenente le linee-guida per gli interventi di carattere preventivo in Italia.

Autrice di diverse pubblicazioni, fra le quali Penelope non abita più qui (Sperling & Kupfer, 1995)

Come ha vissuto e gestisce Stefania Bartoccetti la paura della pandemia ed il notevole disagio legato alle inevitabili, indispensabili misure restrittive?

Stefania Bartoccetti non ha vissuto paure legate alla pandemia; si è occupata di gestire come centro Antiviolenza le paure, gli stress, le angosce che la pandemia ha generato nelle donne. E abbiamo capito questo: gli uomini, i maschi, non hanno saputo elaborare le difficoltà da lockdown ma hanno trovato un facile sfogo delle loro frustrazioni prendendosela ancora di più con le loro partner. Ma è uno schema usuale: la frustrazione degli uomini viene sfogata sulle donne, colpendole e offendendole indiscriminatamente. Noi, come centro antiviolenza, richiamiamo da anni alcune cause scatenanti della violenza maschile, e la frustrazione è una di queste. E constatiamo che la frustrazione è in aumento e qui il tema diventa più articolato, ossia: dove sta andando la società se genera frustrazione negli individui? Quali messaggi si fanno circolare per elaborare in anticipo certe forme comportamentali che poi non si è in grado di fermare e che portano al maltrattamento? Ma ci siamo anche confrontati con un tema, forse cruciale: il lockdown da pandemia ha mostrato come la famiglia non sia più il luogo sicuro, soprattutto se i membri si trovano a convivere tutti insieme per tutte le ore del giorno e sono già portatori di forte disagio. È un tema delicato, che un dato però lo dice: dobbiamo ripensare all’organizzazione della famiglia e probabilmente accettare ciò che i fenomeni sociali hanno da tempo messo in evidenza, ossia che la persistenza di certi ruoli è obsoleta rispetto all’emancipazione che la donna ha conquistato nel lavoro e nei diritti. E allora la famiglia non può retrodatare il calendario della storia, affermando posizioni di dominanza che di fatto non esistono più. Una dominanza poi fallimentare quando per affermarla si ricorre alla violenza. Cosa che mi fa dire: che si fa per far crescere gli uomini contro i loro pregiudizi e luoghi comuni? Possibile che il carico della loro arretratezza sia sempre a carico delle donne? Perché non iniziano a sorgere dei centri antifrustrazione al maschile?…..

Dal Suo Osservatorio privilegiato riesce sicuramente ad avere una chiara visione della questione “violenza di genere in Italia”. Quanto hanno inciso ed incidono la pandemia ed il lockdown nell’implementazione delle violenze domestiche e dei femminicidi?

La violenza di genere è un problema culturale che ha sedimentato comportamenti, come fossero uno schema stimolo-risposta rigido. Lo dico sul piano dei comportamenti, un piano che richiama aspetti giuridici e sociologici: non è la donna che deve dimostrare di non essere quella che deve evitare la violenza maschile. È il maschio che deve uscire dal suo schema pavloviano. E per farlo servono autentiche leggi in merito, che in parte ci sono, ma in altrettanta parte svaniscono quando si leggono sentenze “originali” emanate da giudici che continuano a essere coerenti con il riflesso condizionato di Pavlov invece di confrontarsi con le nuove frontiere della cultura di genere. Una cultura, voglio sottolinearlo, che non è scritta solo da donne. La cultura di genere è trasversale all’appartenenza di genere, poiché mette al centro le emozioni, l’intelligenza, la storia delle persone e non la loro appartenenza a un sesso. La società non cambia perché uno schema rigido resta in pista contro le evidenze che lo smentiscono; una società è vitale e pronta a dare il meglio di sé quando supera gli schemi, spesso chiusi in pregiudizi e paure.

Nel 2020 una donna ogni 3 giorni è stata uccisa, ma preesistente e perdurante, per anni, è stata la violenza psichica con mortificazioni, umiliazioni, offese, vessazioni subite per possesso, gelosia, soprattutto per un fenomeno di effrazione intenzionale, ma la violenza è anche economica. Secondo Lei la Pandemia quanto ha implementato questi reati per l’effetto di cattività e per la lentezza giuridica?

La pandemia ha aggravato, e la post pandemia aggraverà ulteriormente, una voce essenziale sulla parità di genere, ossia l’uscita dal mondo del lavoro o il forte ridimensionamento della presenza femminile nel mondo del lavoro, che vuol dire autonomia economica delle donne. Sappiamo quanto questa voce sia essenziale per le donne, sia come “contrattazione” familiare, sia come possibilità di scelte, che rischiano di non poter essere compiute se viene meno la sicurezza economica. Traduco meglio: se una donna è esclusa dal mondo del lavoro, le sarà più difficile separarsi da una situazione di convivenza maltrattante. Senza parlare di come il lavoro a distanza penalizzi ulteriormente la donna, soprattutto se madre, poiché si trova a tempo pieno a gestire figli, casa, lavoro. Questa è una violenza psichica senza precedenti, anche perché non riesco proprio a capire come mai il lockdown e il lavoro a distanza producano conseguenze dannose più per i maschi che per le donne. Quali veri provvedimenti vengono assunti per evitare una tal deriva? Inoltre, non capisco un’altra cosa: il disagio da lockdown e da lavoro in remoto colpisce le donne come gli uomini. Perché si parla del disagio maschile? Questo è già un approccio sbagliato. È come la sanità: la cura è uguale per le donne e per gli uomini, non esiste una sanità che privilegia le donne o gli uomini. Eppure, si parla del lockdown mettendo più al centro il disagio maschile che quello femminile. Perché?

Qual è la proiezione futura, secondo Lei, atteso il Gap-Gender acclarato per la Next Generation? Come possiamo promuovere il Potere delle Donne alla Bachofen, il Matriarcato, la Ginecocrazia per una Sororità, che ci affranchi dal “Lupa Foeminarum Lupa”?

È una logica maschile quella che parla di lupa foeminarum lupa; quando si parla di competizione tra donne, le ragioni sono diverse da quelle che distinguono la competizione tra uomini. Come trovo ancora maschile parlare di potere delle donne – gli altri parleranno di potere degli uomini. Il potere è senza genere. Bachofen, che lei cita, ma penso di più al Fromm de Anatomia della distruttività umana, ci invitano a uscire da schemi che, se abbracciati dalla parte femminile, riproducono uno schema maschile, che a questo punto diventa irreversibile. Preferisco la proposta della Nussbaum quando ci mostra la complessa e raffinata trama dell’intelligenza delle emozioni. Ecco, in quella trama è indubbio che le donne portano qualcosa di più…