Luca Pantaleone, l’importanza delle vaccinazioni

Luca Pantaleone, l’importanza delle vaccinazioni

26 Maggio 2021 0 Di Anna Mozzi e Pasquale Maria Sansone

 

 

Nel lontano 27 gennaio 2020 il Comitato Nazionale di Bioetica così predicava: <<Il Comitato intende proporre una riflessione etica generale sul tema dei vaccini con particolare riferimento alla ricerca, alla produzione e alla distribuzione nell’ambito della pandemia Covid-19, partendo dalla consapevolezza delle condizioni di incertezza sul piano scientifico ed epidemiologico sul virus.

Prendendo atto delle numerose sperimentazioni in corso, il CNB sottolinea sul piano etico come l’emergenza pandemica non debba portare a ridurre i tempi della sperimentazione, indispensabili sul piano scientifico, bioetico e biogiuridico, per garantire la qualità e la protezione dei partecipanti.

Il Comitato ritiene che il vaccino debba essere considerato un ‘bene comune’, la cui produzione e distribuzione a favore di tutti i Paesi del mondo non sia regolata unicamente dalle leggi di mercato. Questa raccomandazione non deve rimanere un mero auspicio, ma piuttosto un obbligo a cui deve far fronte la politica internazionale degli Stati. Altresì il CNB ritiene indispensabile che le aziende farmaceutiche riconoscano la propria responsabilità sociale in questa grave condizione pandemica.

Il Comitato richiama l’imprescindibilità della riflessione etica nell’ambito delle scelte di distribuzione. A fronte delle incertezze sui vaccini, il Comitato ritiene che i criteri anche etici per individuare le priorità di categorie non possano in questo momento che essere tendenzialmente generali, da ulteriormente precisare in funzione delle nuove conoscenze scientifiche sul vaccino e della quantità di dosi inizialmente disponibili, sapendo che non sarà possibile curare tutti allo stesso momento. Il Comitato, tuttavia, fin da ora sottolinea l’importanza che ogni scelta di distribuzione si richiami al principio morale, deontologico e giuridico generale della uguale dignità di ogni essere umano e di assenza di ogni discriminazione, oltre che al principio integrativo della equità, ossia della particolare considerazione di vulnerabilità per specifici bisogni.

Il Comitato ritiene che debbano essere fatti tutti gli sforzi per raggiungere e mantenere una copertura vaccinale ottimale, non escludendo l’obbligatorietà in casi di emergenza, soprattutto per gruppi professionali maggiormente esposti all’infezione e alla trasmissione della stessa. Il Comitato auspica che tale obbligo sia revocato qualora non sussista più un pericolo importante per la società e sia privilegiata e incoraggiata l’adesione spontanea da parte della popolazione. Premessa indispensabile affinché alla pianificazione della distribuzione consegua una accettazione della vaccinazione da parte dei cittadini, è una informazione e comunicazione trasparente, chiara, comprensibile, consistente e coerente, basata su dati scientifici sempre aggiornati. Una specifica attenzione dovrebbe essere rivolta alla identificazione delle fonti di disinformazione e falsa informazione.

Per una equa distribuzione del vaccino il Comitato raccomanda una discussione multidisciplinare, che includa la riflessione etica, adeguata rispetto alla situazione concreta>>.

L’immunità di gregge rimane l’unico più valido obiettivo da raggiungere e la campagna vaccinale l’unica possibilità per conseguirla nel più breve tempo possibile. Purtroppo, però, molti cattolici prendono le distanze da prodotti che includerebbero nella produzione dei vaccini materiale proveniente da feti umani e molti italiani hanno paura di vaccinarsi per gli effetti, talvolta letali, di alcuni prodotti. Come ricomporre questa difficile e complicata questione?

Ne parliamo con un Filosofo, Scrittore, Farmacista, esperto di Affari Regolatori del Farmaco e divulgatore, che coniuga le sue conoscenze scientifiche con le sue competenze filosofiche e bioetiche.

 Luca Pantaleone, nato nel 1989 a San Marco in Lamis, un piccolo comune del promontorio garganico, vive da sempre in Toscana.

Dopo la conclusione degli studi liceali ha conseguito una laurea in Farmacia (Università di Siena), una in Filosofia e una in Scienze Filosofiche (Università di Firenze), indirizzando i suoi studi verso l’esistenzialismo, la logica, l’antropologia filosofica e la fenomenologia.

Durante la sua carriera professionale ha lavorato per importanti multinazionali del settore chimico-farmaceutico e biologico-farmaceutico, rivestendo il ruolo di specialista degli Affari Regolatori del farmaco e gestendo quindi l’iter amministrativo per la registrazione e il mantenimento dell’autorizzazione al commercio dei prodotti farmaceutici in paesi europei e non-europei.

Attualmente ricopre lo stesso ruolo per un’importante azienda italiana di plasma-derivati e farmaci per malattie rare.

Membro dal 2017 dell’Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze di Arezzo ed autore di diverse opere di filosofia e narrativa, tra cui “La Gabbia Logica” (Aracne, 2009-2019), “Il problema della verità. Dal corrispondentismo al pluralismo” (Aracne, 2018), “Saggi Logico-fenomenologici” (Clinamen, 2019), “Husserl e Frege” (Ombre Corte, 2020) e il romanzo “Il Franco Cavaliere” (Scatole Parlanti, 2019).

Nel 2019 i suoi Saggi logico-fenomenologici si sono aggiudicati il primo premio del concorso nazionale di filosofia “Le figure del pensiero”, indetto dall’Associazione Nazionale Professionisti Pratiche Filosofiche, nella sezione “saggio inedito”.

Da Dicembre 2020 ricopre inoltre la qualifica di Vicepresidente ed esperto il Filosofia del Comitato di Bioetica della Usl Toscana Sud-Est.

Come ha vissuto e vive Luca Pantaleone la paura della pandemia ed il disagio legato alle indispensabili misure restrittive?

Nel mio caso credo che non si possa parlare di vera e propria paura. Sicuramente però ho sofferto come tutti del disagio delle misure restrittive, soprattutto perché non ho mai visto molte di esse come indispensabili o necessarie.

Ho sempre creduto che il lock-down fosse una scelta sbagliata, in parte giustificabile dalla novità (la “Prima Paura Mondiale” l’ha definita Henry-Levy) ma assolutamente inaccettabile a livello sociale, soprattutto a mesi di distanza dalla rilevazione dei primi casi in Italia (mi riferisco alla “Seconda ondata” e ai suoi lock-down parziali”).

Per il futuro auspico che ci si faccia trovare più pronti nella gestione di simili eventi (magari re-investendo in sanità una buona parte di quei 37 miliardi di euro tagliati dai governi negli ultimi 20 anni), e si razionalizzi il dato epidemiologico piuttosto che fare di tutta l’erba un fascio. Sarò più specifico: ritengo assurdo che nessuno abbia mai pensato a lock-down specifici per fascia d’età, considerando che l’incidenza della mortalità è irrisoria sotto ai 65 anni. Non bisogna mai dimenticare che qualsiasi dato numerico reca con sé il duplice problema della sua raccolta e della sua contestualizzazione. Aveva davvero senso chiudere durante il primo lock-down regioni come l’Umbria o la Basilicata, che riportavano un numero di contagi quasi pari allo zero?

L’indice che è stato ripetuto più spesso dai media durante questa emergenza è il tasso di positività al tampone. Ma siamo davvero certi – per esempio – che i positivi asintomatici possano costituire un problema in termini di contagiosità? Inoltre, cosa accadrebbe se venissero fatti così tanti tamponi per ogni ceppo influenzale “stagionale”? Non si alzerebbe forse di molto il tasso di mortalità e di contagiosità?

Si è spesso sentito parlare di certezze, da parte di scienziati, e quindi si è spesso sentito i virologi lanciarsi in previsioni ritenute altrettanto certe. Questo contravvenendo a un’evidenza cardinale del metodo scientifico, ovvero che attraverso l’induzione enumerativa non è possibile asserire verità generali, e nemmeno fare previsioni. I filosofi della scienza lo conoscono come il “problema di Hume”. Se osservo 10000 mele rosse di una certa fattezza e dimensione, secondo l’induzione enumerativa sarò tentato di asserire la regola generale “tutte le mele sono rosse”. Ma cosa succede se poi incappo in una mela gialla? Chi si è lanciato durante questa pandemia in assoluti certi, spesso poi smentiti da nuove evidenze, ha fatto un pessimo servizio alla scienza.

L’ultimo esempio è quello del professor Crisanti dopo la festa scudetto dell’Inter a Milano. Nell’occasione si è parlato del rischio di un aumento vertiginoso dei contagi, che non si è verificato. Lo stesso accadde per le commemorazioni della morte di Maradona a Napoli.

Questo vuol dire che della scienza non bisogna fidarsi? Che l’opinione dell’uomo della strada vale quanto quella del virologo? Ovviamente no. Tuttavia è sempre bene tenere a mente tre aspetti imprescindibili del fare scienza: a) essa non può asserire verità, ma solo trarre conclusioni probabili da un certo numero (che sarà sempre limitato, non assoluto) di osservazioni; b) in virtù di questo suo limite, la scienza non può essere prescrittiva (non può fondare in modo certo e assoluto l’agire morale); c) grazie al suo metodo, le opinioni che esprime hanno comunque un’evidenza maggiore di quelle dell’uomo della strada: in altre parole, l’opinione scientifica vale più dell’opinione comune, pur non essendo vera.

Ho riflettuto su questi e su altri temi nel mio ultimo libro, in uscita a Ottobre.

Da farmacista e da esperto di bioetica si sente di incoraggiare tutti gli italiani al gesto etico di responsabilità di vaccinarsi?

Da farmacista so quanto è importante la vaccinazione, e so quante stupidaggini vengono messe in circolazione sui vaccini. Lei ha citato ad esempio la questione dei feti abortiti. Mi sembra superfluo dire che i vaccini non contengono affatto feti abortiti, che non ci sia un commercio di feti umani dietro all’industria farmaceutica ecc… Per lo sviluppo dei vaccini sono necessarie linee cellulari umane di origine embrionale volte ad ospitare i ceppi virali, ma queste linee sono prodotte su scala industriale a partire da tessuti donati alla ricerca negli anni ’60 da due donne che si erano sottoposte ad un’interruzione volontaria di gravidanza. Mi dispiace quindi per i teorici del complotto, ma sarebbe assurdo inserire cellule fetali in un vaccino, soprattutto per via delle gravi reazioni di rigetto che si potrebbero verificare nell’organismo.

Credo che la vaccinazione sia un’arma importante contro simili eventi. Forse l’unica davvero efficace a nostra disposizione.  Io personalmente mi vaccinerò e farò fare lo stesso ai miei figli, quando gli studi pediatrici sui vaccini attualmente in commercio consentiranno l’estensione dell’indicazione approvata sotto ai 16 anni. In molti avanzano un problema relativo alla sicurezza, ed è un fatto che alcuni vaccini ad adenovirus (es. Astrazeneca) siano i probabili responsabili di alcuni (per la verità pochissimi) eventi trombotici verificatisi nei paesi del Nord Europa (ne parla un recente rapporto della Pharmacovigilance Risk Assessment Committee).

Esiste dunque un rischio reale per chi si vaccina? Anche qui, seguendo le regole di un corretto ragionamento scientifico dobbiamo abbandonare gli assoluti. Gli scienziati che affermano che i vaccini sono sicuri al 100% dicono una banale stupidaggine, anche se detta a buon fine. Lo stesso chi afferma che i vaccini causino autismo, contengano metalli pesanti (vedasi le fantasiose teorie sulla calamita che si attacca al braccio) o microchip pilotati da Bill Gates o qualche altro oscuro signore del complotto, magari coinvolto in qualche losco piano di Great Reset.

Nel farmaceutico tutti gli organismi regolatori nazionali e sovranazionali non parlano mai di sicurezza assoluta (magari esistesse), quanto di “rapporto rischio-beneficio”. Se ho un gran mal di testa posso essere tentato di assumere un antinfiammatorio contenente Nimesulide, che molti conoscono per via del suo brand più famoso, Aulin. Ora, la Nimesulide, un farmaco molto usato, presenta i seguenti probabili effetti collaterali: nausea, vomito, diarrea, flatulenza, stipsi, dispepsia, dolore addominale, melena, ematemesi, stomatiti ulcerative, gastriti, riacutizzazioni di rettocolite ulcerosa e malattia di Crohn. Inoltre è stato provato che può dare gravi problemi di tossicità epatica. Questo vuol dire che chi assume il farmaco può sì porre rimedio al proprio mal di testa, ma rischiando una stomatite ulcerativa o un fegato danneggiato. Eppure la Nimesulide, secondo AIFA, è l’antinfiammatorio più utilizzato in Italia. Questo vuol dire che moltissimi italiani, nonostante questi effetti indesiderati, riportati pedissequamente nel Foglietto Illustrativo, decidono comunque di assumere il farmaco, forse perché afflitti da un mal di testa insopportabile. In altre parole preferiscono rischiare: da qui il rapporto rischio/beneficio.

Ora, questo rapporto abbiamo detto che viene valutato sempre, per qualsiasi farmaco, dagli enti regolatori. Quindi vuol dire che qualsiasi farmaco in commercio, se assunto in accordo alle indicazioni per cui è stato prodotto, presenta statisticamente più benefici che rischi. Come illustrato però nell’esempio qui sopra c’è anche una valutazione soggettiva. In molti potrebbero essere tentati di non rischiare un danno epatico da Nimesulide, e tenersi il mal di testa. Il problema etico però è che nel caso delle pandemie questa scelta ha un impatto diretto sulla collettività, sulla sua salute pubblica.

Occorre domandarsi allora: a chi spetta valutare se i benefici della vaccinazione a livello di salute pubblica superino i rischi della diffusione incontrollata del Covid-19? Credere che spetti al singolo è nobile, ma il risultato potrebbe sorprenderci. In molti infatti, soprattutto se giovani o in buona salute, potrebbero concludere che il rischio di contrarre il Covid sia preferibile a quello di contrarre una trombosi (sebbene, ricordiamolo, anche tale rischio sia molto basso); e leggendo i dati sulla moralità (bassissima per gli under-60) in fondo questo è un ragionamento accettabile. Per questo motivo ritengo che sia il Governo a dover fare questo tipo di valutazione, imponendo la vaccinazione obbligatoria. Se si lascia liberi di scegliere, a mio avviso a livello bioetico la scelta di non vaccinarsi va rispettata.

Mi preme fare un’ulteriore precisazione importante. Molti sono convinti infatti che i vaccini contro il Covid-19 siano sperimentali. Niente di più sbagliato. Per “farmaco sperimentale” si intende una molecola che sta ancora attraversando la fase di studio pre-registrativa, oppure un prodotto che non gode di un’Autorizzazione in Commercio e che dunque può essere somministrato solo per “uso compassionevole”. Tutti i vaccini ad oggi in uso contro il Covid-19 hanno completato con successo le fasi di sperimentazione pre-clinica, clinica di fase 1 e clinica di fase 2, e godono di un’Autorizzazione in Commercio “condizionata” alla presentazione, entro il 2023, di alcuni dati mancanti per gli studi clinici di fase 3 (multicentrici). È vero quindi che non tutte le fasi cliniche sono completate, ma occorre tenere a mente che la sperimentazione di questi farmaci è stata condotta su un numero di pazienti molto più grande del solito. Dunque statisticamente i risultati di fase 1 e 2 sono molto robusti e affidabili.

Se non si tratta di farmaci sperimentali – si chiedono in molti – perché allora viene fatto firmare un consenso informato? Questa è una domanda legittima, a cui si può rispondere citando la Legge 219/2017. All’art. 1 comma 2 di questa legge si scrive che “è promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel  quale  si incontrano l’autonomia decisionale  del  paziente  e  la  competenza, l’autonomia  professionale   e   la   responsabilità   del   medico”. Il consenso informato dunque è un documento attraverso il quale si realizza l’incontro tra la professionalità del medico e l’autonomia decisionale del paziente. È un atto medico insomma, che si può mettere in opera prima della somministrazione di farmaci sperimentali ma anche prima di qualsiasi altra terapia che ponga un problema etico, per cause diverse (si badi bene, in questo caso non scientifiche: dubbi personali, bufale, paure ecc…). Il consenso dunque è un modo per informare il paziente sulla somministrazione di un farmaco, ricordiamolo, non sperimentale, ma di eccezionale importanza per la salute pubblica. Se la vaccinazione fosse obbligatoria per legge, il consenso informato sarebbe superfluo.