Ernesto Starita: “Sudore, sacrificio e umiltà i valori che il Calcio mi ha insegnato”

Ernesto Starita: “Sudore, sacrificio e umiltà i valori che il Calcio mi ha insegnato”

30 Dicembre 2021 0 Di Marco Magliulo & Pasquale Maria Sansone

Secondo alcuni studi il calcio è uno tra gli sport più indicati per i bambini dai 5/6 anni in su. Porta diversi  benefici per l’organismo tra i quali: aumenta la massa e la potenza muscolare, ha un ottimo impatto sulla resistenza, migliora la coordinazione motoria e stimola l’apparato cardiocircolatorio.

Oggi parliamo di sport, Covid e salute con un valido esponente di questo sport: Ernesto Starita.

Oltre alla fantastica carriera sportiva tra eccellenza e serie D in cui gioca sempre da fattore per la sua squadra, Ernesto vanta di un Diploma di Liceo scientifico e di una Laurea in scienze motorie conseguita con il massimo dei voti.

Come hai vissuto e come vivi, come hai affrontato e come affronti la paura della pandemia, del contagio ed il notevole disagio legato alle indispensabili e severe misure restrittive.

Quando nel marzo del 2020 la crescita esponenziale dei contagi dovuti alla veloce propagazione del virus Sars-cov-2, più conosciuto come Covid-19, ha imposto al mondo intero di fermarsi, la vita è inevitabilmente cambiata per tutti. Lockdown, severe misure restrittive e divieti di vario genere sono solo alcune delle idee messe in atto dal governo per limitare la propagazione di questo nuovo nemico invisibile, il quale, ormai da due anni, ha messo in ginocchio anche i maggiori stati a livello mondiale; e mentre la popolazione prendeva d’assalto supermercati e centri commerciali per fare scorta di provviste alimentari, i contagi, e purtroppo anche i decessi, aumentavano sempre più, giorno dopo giorno, ed era palese che il sistema sanitario mondiale non fosse idoneamente preparato a questa pandemia e che non avesse i mezzi necessari per combattere questo nemico quasi del tutto sconosciuto. A livello personale sembrava di stare in una bolla, in un tunnel senza via d’uscita, in quanto non era possibile vivere la quotidianità come avevo sempre fatto, ma stavo vivendo un periodo in cui l’unico appiglio reale era la famiglia: nonostante i tanti aspetti negativi mi piace ricordare che per me è stata anche un’occasione per riscoprire le piccole cose, lo stare insieme durante la preparazione di un dolce, vedere un film fino a tarda notte, perché se in fondo la propria famiglia è un rifugio dalle situazioni spiacevoli della vita, in questo periodo è stata fondamentale. In attesa della scoperta e della produzione del vaccino, si aveva paura di tutte le persone al di fuori del proprio nucleo familiare, quasi anche dei congiunti, come furono definiti in quel periodo, in quanto più contatti si fossero avuti con le persone, maggiore sarebbe stata la probabilità di contrarre il Covid. Ad oggi, in seguito alla campagna vaccinale sono stati fatti numerosi passi in avanti e sembra che questo lunghissimo tunnel stesse giungendo al termine, ma resta la paura, restano le precauzioni che inconsciamente io, ma in generale ognuno di noi ha fatto proprie e che giustamente continua ad adottare anche se non in presenza di un divieto ufficiale del governo, perché per combattere un nemico invisibile le precauzioni non sono mai abbastanza, a discapito però di una socialità ormai completamente diversa da come la si intendeva prima che tutto ciò iniziasse.

Quanti danni, secondo te, hanno causato allo sport in generale ed al calcio in particolare le chiusure indiscriminate e la confusa se non cattiva gestione politica?

La pandemia ha provocato danni importanti a tutto il mondo dello sport; nessuna categoria di nessuna disciplina è stata salvata dalle necessarie decisioni prese a livello politico, ad eccezione, in un secondo momento, della massima serie calcistica e degli sport individuali. Questo ha causato, nelle categorie professionistiche, la sospensione dei contratti non solo degli atleti ma di tutte le migliaia di persone che ruotano intorno ad una società sportiva, vale a dire tecnici, magazzinieri, collaboratori sportivi e tutti gli addetti ai lavori che hanno dovuto inevitabilmente sospendere la propria attività; discorso a parte per le serie minori, in cui la situazione si complica in quanto nelle categorie Dilettantistiche non ci sono veri e propri contratti di lavoro e lo stop delle attività agonistiche coincide purtroppo con la perdita dello stipendio. Per quanto riguarda il calcio, che nel nostro paese viaggia su una corsia preferenziale rispetto alle altre discipline sportive, si è cercato in tutti i modi di far ripartire la serie A, in quanto strettamente legata ad importanti aspetti economici, attuando misure e protocolli che non sempre hanno portato benefici agli atleti: diversi sono stati i casi di positività al covid-19 tra i calciatori, con conseguente sospensione degli allenamenti e rinvio delle partite ufficiali, a cui è legata un’elevata spesa economica sia per la sanificazione degli ambienti che per i vari giri di tampone per certificare la negatività del gruppo squadra e degli addetti ai lavori. Nelle serie Dilettantistiche, non essendoci la concreta disponibilità economica per sostenere determinati costi, data anche la dileguazione di sponsor e partnership economici, si è preferito sospendere le attività per ben due volte, creando un enorme disagio per i calciatori che, non avendo un contratto ufficiale, hanno dovuto rinunciare al proprio stipendio. In tutto ciò il lavoro del governo sicuramente non è stato impeccabile ma possiamo dire con certezza che non è stato affatto semplice, in quanto, soprattutto nel primo periodo, non solo ha dovuto tamponare l’avanzata del virus attraverso una sorta di riorganizzazione del sistema sanitario nazionale, ma ha anche cercato di non abbandonare quelle categorie che godevano di minori tutele a livello contrattuale, fornendo loro sostegno attraverso alcuni bonus economici offerti da Sport e Salute. Sostegno dato anche alle strutture sportive, le quali hanno dovuto subire non solo la chiusura temporanea dell’attività, ma anche la legittima paura del contagio da parte delle famiglie, le quali ,alla riapertura, hanno preferito non far proseguire l’attività sportiva ai propri figli, con conseguente calo delle iscrizioni e delle partecipazioni, venendosi così a creare una riduzione di quello che è un vero e proprio serbatoio di nuovi potenziali talenti, per il calcio, ma più in generale per lo sport di alto livello.

Quanto valore attribuisci al binomio sport-salute, ovvero quanto è fondamentale l’attività sportiva per il conseguimento ed il mantenimento del benessere psicofisico?

 

L’attività sportiva, e più in generale l’attività fisica, ricopre un ruolo essenziale in tutte le fasi della vita del soggetto per il raggiungimento ed il mantenimento di uno stato di salute ottimale; da chinesiologo clinico, specializzato in attività fisica adattata a soggetti con patologie croniche, mi sento di dire fortemente che svolgere regolarmente attività sportiva, unitamente ad un’equilibrata alimentazione, garantisce il mantenimento del peso corporeo adeguato riducendo la percentuale di massa grassa ed incrementando quella di massa magra, promuove la salute di organi ed apparati e previene importanti patologie croniche riducendo la condizione di sedentarietà, sviluppa e migliora capacità coordinative e condizionali, in particolar modo forza, agilità e resistenza, oltre ad apportare numerosi benefici a livello psicologico, come il miglioramento dell’attenzione e della concentrazione o anche la riduzione dei livelli di ansia e stress del soggetto. Soprattutto durante fasi della vita non particolarmente semplici, quale ad esempio l’adolescenza, praticare attività sportiva può essere un ottimo modo per migliorare i rapporti sociali, per sentirsi parte di un gruppo, di un contesto, e per sviluppare aspetti importanti come l’organizzazione, il lavoro per obiettivi, la cooperazione e lo spirito di gruppo, valori che non sono strettamente limitati al contesto sportivo ma che valgono allo stesso modo anche al di fuori del campo da gioco; quando parliamo di attività sportiva, inoltre, non possiamo dimenticare il suo lato competitivo, attraverso cui insegna ai ragazzi il valore della competizione positiva dettata dal rispetto dell’avversario, l’accettazione della sconfitta ed il conseguente riconoscimento delle capacità altrui ma allo stesso tempo dei propri errori, da cui nasce la voglia di migliorarsi continuamente al fine di superare i propri limiti. Purtroppo in questo preciso momento storico in cui viviamo, che vede l’affermarsi in modo perentorio della tecnologia, si registra un elevato tasso di sedentarietà nella popolazione mondiale, in particolar modo nelle fasce d’età più giovani, con aumento di patologie croniche, su tutte diabete ed obesità; avere uno stile di vita attivo, seguire un’alimentazione corretta e praticare regolarmente attività sportiva, restano i migliori farmaci per il raggiungimento ed il mantenimento del proprio benessere psicofisico.

Cosa ti ha dato la pratica calcistica in termini di crescita personale sociale e professionale?

Se la famiglia è la prima fonte di educazione e sviluppo di valori, lo sport è sicuramente la seconda. Praticare uno sport significa in prima linea divertirsi, ma allo stesso tempo è una vera e propria scuola di vita, in grado di guidare i ragazzi nel proprio percorso educativo e sociale; ho da sempre amato lo sport anche e soprattutto per quello che c’è fuori dal campo: sentirsi parte di un gruppo, una famiglia, poter condividere i propri problemi, sportivi e non, le delusioni dopo una sconfitta e la gioia quando le cose vanno per il verso giusto, creare legami che restano negli anni anche a centinaia di chilometri di distanza.
Man mano che si cresce però, essere uno sportivo, e a maggior ragione un calciatore, non è affatto semplice, la strada è lunga, in salita, tortuosa, e non c’è tempo per chi rimane indietro; sudore, sacrificio, umiltà, sono solo alcuni degli aspetti fondamentali e necessari per fare strada. Un po’ per indole, un po’ perché cresciuto nell’ottica che tutto ciò che volevo dovevo guadagnarmelo con il sudore, all’età di 14 anni, per inseguire il mio sogno, mi trasferii a Nocera, in un alloggio messo a disposizione dalla società, insieme ad una decina di altri ragazzi e fin da subito capii che bisognava crescere in fretta: stare lontani dalla propria famiglia implica un rapido sviluppo del senso di responsabilità e di gestione delle proprie cose, anche quelle più banali. Il calcio è inoltre inclusione, integrazione e rispetto per gli altri; nella mia esperienza a Bellaria Igea Marina ho potuto toccare con mano quello che sapevo da sempre: il calcio non ha sesso, etnia o religione, alla base c’è il rispetto per gli usi e costumi altrui, tutti uniti si lavora duramente per ottenere gli obiettivi prefissati ed anche se questi non dovessero essere raggiunti, ci si rialza insieme e si lavora ancora più forte. Ho avuto la fortuna di giocare in diverse regioni italiane, prima al sud, in puglia l’esperienza più bella con la vittoria del campionato a Nardò, poi al nord, in particolare nella riviera romagnola, e questo mi ha permesso di crescere dal punto di vista professionale, ma anche e soprattutto dal punto di vista personale e sociale, in quanto ho potuto integrarmi in diverse culture e modi di pensare ed estrapolare da ciascuna esperienza aspetti e valori che ormai sono, e saranno per sempre, parte di me.
Quando all’età di 6 anni ho iniziato a muovere i primi passi sul campo da calcio non pensavo minimamente che quella palla, a distanza di 20 anni, potesse influenzare e modulare scelte personali anche al di fuori del contesto sportivo; oggi, a 26 anni, posso affermare con certezza che se non avessi praticato attività sportiva, ed il calcio in particolare, sarei una persona completamente diversa, sia per valori morali che per forma mentis, qualità fondamentali in tutti gli ambiti della vita, che solo lo sport è in grado di donare.