Daniel De Rossi, il Teatro è una via di salvezza

Daniel De Rossi, il Teatro è una via di salvezza

27 Marzo 2021 0 Di Anna Mozzi e Pasquale Maria Sansone

La cultura è un bene comune primario come l’acqua; i teatri le biblioteche i cinema sono come tanti acquedotti. Claudio Abbado
L’essere umano per conseguire la sua vera salute ha bisogno di cibi genuini, di una sana attività fisica, di una ricca vita di relazione e di cultura.

In un contesto storico tragico come quello attuale, la necessità di questi beni è ancora più necessaria, quindi un plauso a coloro che hanno deciso la riapertura, in assoluta sicurezza di teatri, sale cinematografiche e da concerto dal 27 prossimo in poi, nelle zone gialle.

Speriamo che lo stato di cattività cui saremo soggetti da domani in poi non metta in forse la prossima apertura.

Bisogna convivere con il virus proteggendosi col vaccino in primis, le fondamentali misure di profilassi ed il distanziamento, ma non è possibile viveri chiusi per sempre. Incentivare controlli, piuttosto, ma chiudere tutto sine die non è certo una soluzione adeguata. Di questo parliamo con Daniel De Rossi, uomo di spettacolo a tutto tondo.

Daniel De Rossi nasce a Venezia nel 1979. Laureato in Conservazione dei Beni Culturali, si diploma all’Accademia d’Arte Drammatica Nico Pepe di Udine nel 2008 come attore professionista. Attore e musicista, vive a Roma da 10 anni, e collabora con varie accademie di recitazione e varie realtà teatrali, televisive e cinematografiche su tutto il territorio nazionali.

Come ha vissuto e vive Daniel De Rossi la paura del contagio e la sofferenza per le inevitabili indispensabili misure restrittive?

La paura del contagio c’è. Penso sia normale. Sono le modalità con cui viviamo questa paura che variano non poco da persona a persona. Vorrei dire che la vivo come tutti ma ahimè vedo in giro molta confusione, poco rispetto per le regole (imposte, certo, ma necessarie) e una grande varietà di opinioni riguardo a qualcosa che dovrebbe essere preso per quello che è: un dato di fatto. Siamo in pandemia. Che sia ben gestita o meno il fatto resta. Il Governo ha delle colpe, non c’è dubbio. Ma ha anche gestito a volte l’ingestibile. Spero che questo insegni a tutti ad essere preparati. E spero che la lezione sia servita a far capire che il profondo rispetto per la Natura e per le norme igienico-sanitarie è una questione fondamentale, che non può avere mezze misure. Speranza vana, forse. Personalmente ho sofferto e soffro come tutti questo periodo lungo di incertezza e di ansia. Però ho anche trovato un grande conforto nel pensiero che siamo tutti (più o meno) sulla stessa barca e che a volte è meglio estromettere i sentimenti e affrontare una situazione guardandola per quello che è realmente: inevitabile. Da quando ho preso atto di questo vivo l’isolamento e queste imposizioni più sereno. Certo è che, come tutti, a lungo andare una situazione di questo tipo logora. Ma la forza deve venire dal prendere coscienza che, nel bene o nel male, non abbiamo potere se non quello di aspettare che la situazione migliori e (ovviamente) confidare nel buon funzionamento di un piano di aiuti globale che, ogni tanto, ha lasciato qualche dubbio.

Quanti danni ha arrecato al Suo settore di appartenenza la pandemia e la non proprio adeguata gestione politica?

Tantissimi. Enormi. Colossali. Per molti di noi danni irreversibili. Per il mio settore come per molti altri. Per questo quando parlo delle perdite subite o delle difficoltà metto il mio settore insieme a tutto il resto. Ho perso almeno 5 spettacoli più alcuni impegni di altro tipo (dal doppiaggio al video). Molti teatri hanno chiuso definitivamente, alcune piccole realtà sono state disintegrate. Penso a quei teatri che già prima della pandemia faticavano a sopravvivere (a dispetto di una programmazione e di un’etica validissime, fagocitati da enormi realtà spesso di dubbia qualità ma, ahimè, ricche e ampiamente sovvenzionate). Altri luoghi di cultura rischiano di non riaprire mai più. Se non stiamo attenti resteranno solo quelle macro strutture che da sempre sono le più sovvenzionate, le più aiutate, le più in vista (al cinema come a teatro). E per la cultura sarebbe davvero una perdita colossale, oltre che l’ennesimo smacco. Quello che non riesco a fare, tuttavia, è unirmi al coro di quelli che dicono che c’è un attacco alla cultura perché non si vogliono riaprire i teatri. A chi ne fa una questione personale ‘da pandemia’. Se l’attacco c’è (e c’è davvero) è molto più antico, e sta nella pessima gestione degli spazi pubblici, nell’orrenda sovvenzione ‘a casaccio’ che poi tanto a casaccio non è, nel menefreghismo generale che ha tolto e toglie al nostro lavoro quella scintilla che dovrebbe accendere un fuoco ma che sta diventando inutile, come un pezzo di legno bagnato da cui non si sprigionerebbe nemmeno una fiammella. Penso che questa pandemia abbia reso evidente anche ai più (per i meno già era palese) la pessima eredità che abbiamo raccolto. Nel Teatro, nel cinema, nella sanità, nell’istruzione. Questa penso sia la cosa più triste. Ho visto spettacoli da lacrime agli occhi, emozionanti, puri, in piccoli teatri che ora hanno chiuso, e ciarpame terribile in posti enormi che potranno sempre permettersi di fare spettacoli. Bisogna resistere. Ma il Governo deve cambiare rotta o la cultura, la sanità, l’istruzione diventeranno elitarie o, peggio ancora, la gente smetterà di credere che siano indispensabili.

Se non ci fosse stato il Teatro, non avrei saputo fare altro. Il Teatro è tutta la mia vita. Pensate che a casa barcollo, m’ingobbisco, mi annoio, ma in teatro ritrovo il passo. È un’altra storia. In scena si guarisce. E poi sapete che vi dico: gli attori vivono più a lungo, perché vivendo anche le vite degli altri, le aggiungono alle loro. Carlo Giuffré. Cosa rappresenta il Teatro per Lei e quali sono gli effetti terapeutici della finzione scenica?

Dire che il Teatro salva la vita è una banalità, eppure è la cosa più vera che si possa dire. Lo spazio scenico ha da sempre una sacralità che arriva fin dentro le ossa, qualcosa che solo chi ha calcato quelle tavole può capire. Non si tratta soltanto di interpretare qualcuno, altrimenti anche al cinema sarebbe lo stesso, eppure la differenza è colossale. Il Teatro è un Rito, quello che accade al suo interno non ha niente a che vedere con il mondo che ci circonda eppure spiega proprio quel mondo, lo rende tangibile, lo rende autentico. Mi viene in mente una frase sul cannibalismo: ‘Il cannibalismo è sempre rituale, anche quando non lo è. Ecco, il Teatro è sempre una via di salvezza, anche quando pensiamo che non sia così. A Teatro siamo un solo popolo, si crea qualcosa di temporaneo che però dura in eterno. Altrimenti non si spiegherebbe come mai ha accompagnato l’uomo fin dall’inizio del suo viaggio e perché tutte le religioni (il modo più interessante che l’uomo ha di avvicinarsi al Divino) si servono, in un modo o nell’altro, di una rappresentazione, di un Rito.

Oltre che essere immensamente bello e terapeutico, fare teatro è esaltante, pauroso, illuminante, umano e soprattutto PERICOLOSO. Per questo fa tanta paura.  Per questo in molti periodi bui della Storia è stato messo a tacere o trasformato in un’arma. Come l’Arte, anche il Teatro ha un potere enorme, e per alcuni può diventare qualcosa di scomodo, qualcosa che va combattuto o, peggio ancora, usato per scopi non degni. Ci impegneremo fino alla fine per evitare che si perda anche una sola, piccola voce.