Covid-19: a “caccia” dei superdiffusori

Covid-19: a “caccia” dei superdiffusori

13 Marzo 2021 0 Di Luigi De Rosa

 I “superdiffusori” sono meno di un quinto dei contagiati, ma ad essi si può far risalire l’80% dei casi.

 

Tutti noi abbiamo preso dimestichezza con il famigerato Indice Rt, che indica quante persone in media contagia un individuo malato di Covid-19 prima di essere isolato, e diventa preoccupante quando supera l’1. Ma non tutti gli infetti contribuiscono all’Rt allo stesso modo, alcuni hanno contagiato decine di altri, in genere i virologi tirano in ballo l’esempio del cosiddetto primo “superdiffusore” la “paziente 31″, una 61enne predicatrice sudcoreana che è risultata all’origine di 1.160 casi di contagio da coronavirus. Dunque i “superdiffusori“sono meno di un quinto dei contagiati, ma ad essi si può far risalire l’80% dei casi. Il microbiologo Chad Roy, della Tulane Univesity di New Orleans, ha cercato di capire cosa rende una persona un superdiffusore, studiando il muco delle vie respiratorie di 193 persone e 8 scimmie infettate dal Sars-Cov-2. Gli studi del ricercatore americano sono giunti a conclusioni molto interessanti. Innanzi tutto il numero di virus che un soggetto malato sparge nell’ambiente circostante, respirando o tossendo, è legato alla resistenza alla frammentazione del muco della singola persona. Se una persona presenta un muco “fragile” tenderà ad espellere più goccioline, e in particolare più di quelle che hanno un diametro intorno a un micron, che sono le più pericolose perché viaggiano in aria a metri di distanza. I fattori che tendono a indebolire il muco sono tre: il primo è la salute dell’apparato respiratorio, più virus sono presenti nell’apparato respiratorio, compreso il Covid, meno il muco è compatto. Il secondo è l’età, il muco perde resistenza con la vecchiaia. Infine il terzo fattore è legato al sovrappeso, le persone obese, infatti, per una ragione che non è ancora ben chiara tendono alla formazione di più goccioline pericolose. Sia negli uomini che nei primati studiati coloro che avevano queste caratteristiche emettevano tre volte più goccioline degli altri infetti. Da qui nasce l’esigenza di individuare il prima possibile nella popolazione i “superdiffusori” e isolarli in modo che non si verifichino più exploit come il già menzionato “paziente 31” sudcoreano.