Coronavirus, l’esperienza di Antonio Pascotto

Coronavirus, l’esperienza di Antonio Pascotto

28 Giugno 2020 0 Di Anna Mozzi e Pasquale Maria Sansone

Eventi devastanti sul piano psicofisico ed economico come l’attuale pandemia da Covid19 che toccano tutti indistintamente, rappresentano degli ostacoli difficili da superare e, talvolta, insormontabili per la vita dei singoli e degli Stati. Iniziamo una serie di interviste con alcuni personaggi noti, ma non solo, che racconteranno le loro impressioni su quel che è stato e sul futuro sviluppo della problematica.

IL primo della lista è Antonio Pascotto, giornalista e scrittore affermato.

Antonio Pascotto, come uomo, marito e padre, come ha vissuto questi momenti terribili della pandemia e quale futuro immagina?

1 – Mi è sembrato di vivere in un incubo. Rinchiuso in casa, con i miei familiari. Fuori la pandemia. Mi guardavo intorno e osservavo con particolare attenzione la mia casa come non ho fatto mai. I quadri appesi al muro, le foto nelle cornici, i libri, gli appunti sulla scrivania, i computer. Ne ho più di uno, e spesso sono accesi tutti nello stesso momento. E li abbiamo usati moltissimo durante il lookdown. Qualcuno ha detto che l’isolamento ci ha consentito di dare più valore alle cose che ci circondano. Forse è vero. Fuori le strade erano silenziose, tutti rintanati nei nostri rifugi dando sfogo alla creatività. Abbiamo cominciato con i canti dai balconi. Poi abbiamo smesso. Una sorta di pudore per quello che stava accadendo. Perché non è facile dominare il dolore. Allora ci siamo organizzati con le video chat. Ci siamo collegati con amici e parenti. Nel mio condominio abbiamo addirittura festeggiato il compleanno del figlio del portiere, tutti affacciati, mentre lui nel cortile spegneva le candeline della torta. L’emozione di un abbraccio è stata filtrata attraverso lo schermo di un pc o di uno smartphone, ma meglio che niente. Abbiamo scoperto, se ce n’era bisogno, ed evidentemente ce n’era, di essere deboli, vulnerabili, umani. Umani, si, e consoliamoci di questo. Il Covid ha ribadito che a prevalere su tutto è la natura, e non c’è algoritmo che tenga.

La pandemia ha trasformato il nostro modo di pensare. E il luogo dove si annidavano pericoli ad ogni angolo, il Web, è diventato quello dove si vive meglio, senza la paura di essere contagiati. O meglio, il luogo dove i virus possono provocare danni digitali e infettare il pc o il telefonino, ma non la nostra salute.

Oggi parliamo con soddisfazione di civiltà digitale, di strumenti tecnologici che hanno rivoluzionato il nostro modo di vivere, di robotica e automazione, di infrastrutture veloci e grandi capacità di calcolo. E soprattutto parliamo di macchine che riescono a leggere il pensiero. Conoscono i nostri gusti, prevedono i nostri acquisti, ci inviano sul telefonino le pubblicità che agevolano le nostre scelte. Il tutto con una velocità un tempo inimmaginabile. Tutto questo perché le macchine si basano sui dati raccolti, sulla massa di informazioni prodotta dalla Rete, sui software che analizzano i nostri comportamenti. Ma stavolta no, nessuna previsione sul Covid-19, sul nemico invisibile. Gli algoritmi avrebbero dovuto allertarci, me niente da fare. Oramai vengono impiegati dappertutto, perché non farlo anche su questo tipo di malattia?

Forse la prossima volta saranno più attenti, dicono gli esperti. E che ci serva da lezione la pandemia. Ora anche i numeri di questa catastrofe verranno impiegati nei data base. E il prossimo virus non ci coglierà impreparati.

Il problema è che guardiamo ad un futuro fatto solo di dati, software e piattaforme, dimenticando quello che siamo. Non è una critica alla tecnologia, che pure ci risolve una serie di problemi, ma forse è una critica a noi stessi.

La pandemia, purtroppo ancora in atto, ha dimostrato che non solo l’economia e la finanza ma anche la salute è diventata “questione globale”. Cosa pensa dei Paesi che ancora oggi pensano di risolvere in splendido isolamento?

La salute è un bene globale. Dobbiamo prendere atto che non si tratta di una cosa privata, di una faccenda individuale. Il dibattito di questo ultimi anni sul tema è acceso. La salute non è un bene che si consuma. E’ arrivato il momento di ripensare alla questione in termini globali e fare in modo che tutti i governi mettano al primo posto dei loro programmi il benessere dei cittadini e la qualità della vita. Lo dice l’Oms, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, lo sottolinea Il Fondo delle Nazioni Unite, lo ribadiscono gli esperti. Purtroppo passare dalle parole ai fatti non è semplice e quando si va a scavare nei programmi di ciascun Paese si scopre che a livello teorico sono tutti disponibili, ma nella pratica le cose non vanno proprio nel verso giusto. La recente pandemia dovrebbe essere un monito per coloro che insistono con quello che avete definito “splendido isolamento”. Il Covid ci ha trovati impreparati. C’è stato un numero davvero elevato di decessi. Ora si studiano i rimedi, si cercano soluzioni, si tenta di scoprire un vaccino o un farmaco che possa frenare i contagi. Facciamo in modo che questo processo coinvolga tutti, ed evitiamo di commettere gli errori che in genere, per utilizzare una metafora, accadono in economia con una sciagurata distribuzione della ricchezza.

A seguito dell’opposizione di alcuni Stati membri, i ritardi con cui la Comunità europea sta affrontando la recessione economica legata al Coronavirus potrebbero lasciare, chiaramente in negativo, un segno indelebile. Solo da pochi giorni si è aperto qualche concreto spiraglio. Si riuscirà a recuperare il tempo perduto?

Spero di sì. La pandemia è stata uno shock per l’economia mondiale e per quella dell’Europa. E le conseguenze già si avvertono. Ma temo che la situazione nei prossimi mesi sarà ancora più difficile. La recessione è alle porte, e c’è chi parla di catastrofe di proporzioni storiche. La contrazione della zona euro, quest’anno, è stimata del 7 per cento. Un record negativo. Ma tra gli stati membri ci saranno quelli che soffriranno di più. L’Italia è tra questi. Non abbiamo una struttura solida capace di rispondere con politiche adeguate. Non critico chi si sta impegnando per evitare quello che si preannuncia come un vero e proprio terremoto economico. E non me la sento neppure di criticare l’attuale governo per come sta reagendo. Ma, anche in questo caso, se non si lavora tutti insieme per il bene dell’intera comunità, allora sono guai. Cioè, facciamo un esempio: visto che la spesa pubblica aumenterà il debito ovunque, allora la risposta alla crisi dovrà essere collettiva, nel senso che ognuno dovrà adottare di concerto con gli altri misure straordinarie coordinate sia a livello nazionale sia a livello europeo. E anche Paesi come l’Italia, dove il debito è quello che è, potrebbero giovarne. Se dovesse mancare questo coordinamento e si dovessero creare disparità e fratture tra gli Stati membri, sarebbe un disastro. Non dimentichiamo, poi, che oltre al debito c’è anche la questione del deficit. E le previsioni per l’Italia sono ben al di sopra di quelle previste dal patto di stabilità.

Oramai da decenni l’Europa vive di nazionalismi esasperati che frenano, e non poco, il progetto di un’organizzazione politica su base federale. Quella del vecchio continente unito resterà solo una bella utopia?

Questo è un altro grosso problema. Oggi nazionalismo e sovranismo si mescolano, si confondono. In realtà sono appunto la stessa cosa. Ed è certamente una minaccia per il futuro del vecchio continente unito che vuole diventare moderno ma non ci riesce proprio a causa dei nazionalismi esasperati. La cultura nazionalista si basa sul pericolo, sulle paure, perché, come dicevamo all’inizio di questa chiacchierata, siamo deboli e vulnerabili. E allora per ogni problema ce la prendiamo, ad esempio, con gli immigrati che invadono i nostri spazi e ci rubano il lavoro, minacciando anche la nostra sicurezza. Sono rimasto molto colpito, nelle scorse settimane, dalle dichiarazioni di alcuni esponenti di partito secondo cui le politiche a favore degli immigrati avrebbero contribuito alla diffusione del Coronavirus. Si tratta di affermazioni stupide che purtroppo contribuiscono ad alimentare questo vento di nazionalismo che, avete proprio ragione, frena il progetto di un’organizzazione politica su base federale. Il nazionalismo si nutre delle nostre incertezze, e alcuni esponenti politici ne approfittano per aumentare il proprio consenso. Ma in questo modo aumentano anche le ingiustizie sociali. Ed emarginare i più deboli, oltre che a essere ingiusto, contribuisce pure a chiudere tutti i cittadini dentro i confini della propria nazione, ostacolando, come nel caso del vecchio continente, il processo di europeizzazione. E per evitare che quella del vecchio continente unito resti solo una bella utopia, è necessario frenare questo modernismo reazionario che ha certamente una visione distorta del mondo.