Battere il cancro è possibile

Battere il cancro è possibile

11 Febbraio 2019 0 Di Antonio Magliulo

L’Unione internazionale per combattere il cancro (Uicc, l’acronimo inglese) lancia lo slogan: “Chiunque tu sia, hai il potere di ridurre l’impatto del cancro per te, le persone che ami e per il mondo”.

 Il tumore fa ancora paura. I numeri riferiti alle malattie neoplastiche dalle più importanti associazioni di ricerca, a livello internazionale, restano ancora alti. Il cancro, infatti, rimane la seconda causa di morte in tutto il mondo con decessi che nello scorso anno hanno toccato quota nove milioni e seicentomila. Non è estraneo a questo tragico numero la condizione socio-economica della fascia di popolazione colpita che nel 70% dei casi coinvolge persone a basso reddito e con modesto livello culturale. Nel mondo è in aumento il numero di soggetti che sviluppa la malattia: dai 18 milioni di nuove diagnosi registrate nel 2018, le stime prevedono che entro 2030 ci saranno più di 26 milioni di pazienti affetti dalla patologia. In Italia, sempre nel 2018, sono state effettuate 373mila nuove diagnosi di tumore. Di fronte a queste terribili statistiche non lascia indifferenti la considerazione che questa allarmante incidenza della patologia potrebbe essere ridotta di oltre un terzo se solo si realizzassero adeguati percorsi preventivi e corretti stili di vita.

Sorveglianza Passi, curata dall’Istituto superiore di sanità, proprio sul fronte prevenzione, evidenzia che nel nostro Paese, nel 2018, più di “7 donne su 10, fra i 50 e i 69 anni, si sottopongono a allo screening mammografico all’interno di programmi organizzati o per iniziativa personale, secondo quanto raccomandato dalle linee guida nazionali e internazionali” ma che “la copertura dello screening mammografico non è uniforme sul territorio nazionale: c’è un chiaro gradiente Nord-Sud: nel Nord oltre l’80% della popolazione target femminile si sottopone allo screening, mentre nelle Regioni meridionali questa quota sfiora appena il 60%. In particolare, la Campania è la Regione con la quota più bassa di copertura, che non supera il 50%. Tale risultato è determinato dal fatto che, nel Sud Italia continua ad accompagnarsi a un aumento dello screening spontaneo (presumibilmente perché l’offerta dei programmi organizzati, seppur in aumento, è ancora troppo bassa e non raggiunge il 40% della popolazione target) mentre nelle Regioni settentrionali, dove ai programmi organizzati partecipa il 70% della popolazione target femminile, inizia a ridursi la copertura determinata dall’iniziativa spontanea.
Non è trascurabile la quota di 50-69enni che non si è mai sottoposta a una mammografia a scopo preventivo o lo ha fatto in modo non ottimale: 11 donne su 100 non hanno mai fatto prevenzione e altre 16 su 100 riferiscono di essersi sottoposte alla mammografia da oltre due anni”.
L’efficacia della promozione dello screening cresce all’aumentare del numero di input ricevuti dalla donna (lettera di invito a partecipare al programma organizzato dalla Asl, il consiglio di sottoporsi a mammografia da parte del medico/operatore sanitario), ma la combinazione più efficace, che migliora l’adesione allo screening, sembrerebbe essere l’invito da parte della Asl associato al consiglio del medico.
La copertura nazionale dello screening colorettale resta ancora piuttosto bassa: circa il 45% degli intervistati nella fascia di età 50-69 anni riferiscono di aver eseguito uno degli esami per la diagnosi precoce dei tumori colorettali a scopo preventivo, nei tempi e modi raccomandati (ricerca del sangue occulto fecale – Sof, negli ultimi due anni, oppure una colonscopia/rettosigmoidoscopia negli ultimi cinque anni).
Vi è una forte variabilità da Nord a Sud a sfavore delle Regioni meridionali in cui la quota di persone che si sottopone allo screening è poco più del 25%, valore che quasi raddoppia nelle Regioni Centrali e raggiunge il 68% fra i residenti nel Nord Italia.
La gran parte delle persone che ha effettuato lo screening colorettale lo ha fatto nell’ambito di programmi organizzati dalle Asl, mentre quello spontaneo, fuori dai programmi offerti dalle Asl, è poco frequente (7%). Nel periodo 2010-2016 la copertura dello screening totale (dentro e fuori i programmi organizzati) è aumentata significativamente in tutto il Paese, grazie soprattutto all’aumento della quota dello screening organizzato; la quota di quello spontaneo si è andata riducendo al Nord e nel Centro, mentre è aumentata nelle Regioni meridionali, dove presumibilmente l’aumento dello screening organizzato resta ancora insufficiente a soddisfare i bisogni della popolazione.
La ricerca del sangue occulto nelle feci (Sof) è il più utilizzato fra i test preventivi per la diagnosi precoce del tumore colorettale. Il 39% degli intervistati tra i 50 e i 69 anni di età riferisce di averlo effettuato nei due anni precedenti l’intervista. È più frequente che a questo esame si sottopongano persone più avanti con l’età (60-69 anni), i cittadini italiani rispetto agli stranieri e le persone economicamente più avvantaggiate. Non vi è una significativa differenza di genere né di istruzione, sebbene le persone senza titolo di studio o al più con la licenza elementare meno di altre si sottopongono al test.
Anche per questo singolo test, il gradiente geografico descrive le Regioni meridionali come le più svantaggiate (solo il 19% della popolazione target residente nel Sud Italia dichiara di essersi sottoposta al test) ma l’evoluzione temporale nel quinquennio 2010-2016 ne mostra un aumento significativo in tutto il Paese.

Il 67% della popolazione target riferisce di essere stato raggiunto da un qualche intervento di promozione dello screening (lettera della Asl, consiglio, campagna informativa), la cui efficacia cresce all’aumentare del numero di input ricevuti, raggiungendo il massimo con la combinazione di tutti gli interventi. L’adesione allo screening è pressoché nulla per le persone non raggiunte da nessun intervento.