
Vecchio…”ti dicono che sei vecchio”…
18 Ottobre 2025Vengo anch’io? No, tu no…cantavamo con Enzo Iannacci. È stato tempo di vacanze ma non per tutti.
Si è tinta dei magici colori dell’estate l’angoscia del vecchio. È la consapevolezza della dipendenza, della fragilità, della marginalità della vita e del fuoco fatuo del tempo che si spegne. La solitudine lo ringiovanisce, la paura dell’abbandono lo rende più attento e paziente. La stanza del vecchio è penombra, silenzio discreto che non supera l’uscio per non infastidire, è di giorni sempre uguali.
Ho letto un manifesto in una località balneare. Una richiesta di aiuto per ritrovare un cagnolino smarrito. Premio in denaro. Una foto e l’appassionata descrizione delle caratteristiche di un piccolo barboncino dagli occhi neri come due ciliegie nere. La testimonianza di quell’ amore immarcescibile che descrive tutto della persona e delle cose amate. Mi è parso per un istante di intravedere il dolore, le lacrime della sua padroncina, di comprenderne la solitudine, lo smarrimento, l’attesa… la speranza.
Un fatto occasionale che mi ha portato a riflettere sulle nostre contraddizioni dove, troppo spesso, un vecchio non vale un cane. Anche i nostri paesi, dove la domenica e nei giorni festivi le campane a distesa riunivano le persone nella preghiera comune e la piazza era il salotto promiscuo dove s’incontravano come in un dipinto di Gustav Klimt, le diverse età stretti in una medesima cornice. Giovani e anziani, figli e genitori si ritrovavano. Interessi discontinui si confrontavano come onde di mare non uguali ma di identica bellezza. Era la vita nelle molteplici espressioni. La vita che nasce e la vita addolorata e supportata.
Oggi anche il clima è drogato. È tempo di intelligenza artificiale, di smart phone, di una tecnologia gestita da un’oligarchia che emargina gran parte del mondo. È la nuova frontiera della saturazione e dell’isolamento.
Che resta della terza età? La vecchiaia in Klimt si restringe in sé stessa. La sua mano diventa un diaframma che la esclude dalla visione di un mondo alieno che non gli appartiene. Ripropongo l’interrogativo:” Che resta della terza età?” Non più la piazza, non le onde del mare o la continuità e la certezza della famiglia. Gli scanni sono vuoti. Una società con pochi figli e dove le tessere museali di un mosaico di grande bellezza ha perduto i suoi riflessi d’oro. La terza età conosce, troppe volte, il disinteresse, l’abbandono e la spersonalizzazione di una Residenza sanitaria assistenziale. A volte la pensione, un pugno di pochi soldi è l’unica possibilità concessa per contrattare la permanenza in casa. L’ultima spiaggia per essere accuditi. Certo per accudirli occorre responsabilità, impegno e un pizzico d’amore e rispetto perché il vecchio ha le mani tremanti e l’andatura incerta. Il suo Avatar non è quello della pubblicità lubrificato dall’olio extravergine di oliva o da uno speciale mix di sostanze miracolose. Non ha la forza di saltare la staccionata o stabilire il nuovo record dei 100 metri. Il vecchio non ha forza fisica. Cade al primo freddo sull’arroganza di un mondo senza sogni incapace di interrogarsi sui misteri dell’esistenza. Di parlare di vita e morte e perché non di oltre la vita e la sua immagine, così, si dissolve al tramonto in un acquerello dove il Sole agonizza e cede alle ombre della notte. La sua assenza ci rende poveri. Ci aspettavamo, perché siamo da sempre abituati ad aspettare, una scienza più attenta alla terza età perché la vita media cade in questa età. Siamo da sempre consapevoli, sensibilizzati dall’evidenza scientifica sulla necessità di assistere il vecchio nell’ambiente nel quale vive, di collaborare con le famiglie alla loro cura per un diritto dovere che riconosce la dignità e l’età non come fattore discriminante.