
Vangelo in Salute, la Parola che Cura: Pentecoste
8 Giugno 2025Spirito Santo: presenza o pretesto? Pentecoste non è il premio finale, ma il principio della guarigione cristiana.
Pentecoste non chiude il tempo di Pasqua. Lo spalanca.
Non è la conclusione di un ciclo liturgico, ma il principio della missione.
Ed è esattamente in questa logica che il Vangelo che ci accompagna (Gv 14,15-16.23b-26) ci scuote con una promessa da cui dipende tutta la salute del cuore cristiano: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito, perché rimanga con voi per sempre».
Il Paraclito. Colui che cura, sostiene, difende, illumina. Colui che abita. Colui che “sta dentro”. Non fuori, non accanto: in noi.
Dopo settimane in cui la liturgia ci ha raccontato l’apparente assenza del Risorto, oggi riceviamo la sua presenza più profonda: lo Spirito Santo, che ci viene dato non come un’emozione, ma come una terapia. Non come un premio, ma come una responsabilità.
E allora la domanda si fa urgente: vogliamo davvero lo Spirito? O lo nominiamo come un’etichetta liturgica, per dare forma al rito e non alla vita?
Il Vangelo ci restituisce un Gesù consapevole del nostro bisogno di compagnia. Non una compagnia sentimentale, ma interiore, stabile, concreta. «Chi mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui».
Dimora: il verbo che profuma di casa, di stabilità, di cura.
È qui che si misura la differenza tra una fede in salute e una fede spenta: dove abita Dio in noi? E come lo nutriamo, lo ascoltiamo, lo lasciamo respirare?
La Pentecoste dovrebbe essere la grande medicina contro la schizofrenia spirituale del nostro tempo. Da una parte invochiamo lo Spirito, dall’altra rifiutiamo ogni cambiamento, ogni chiamata a convertirci sul serio, ogni rischio evangelico.
Lo Spirito è dato per custodire la Parola, non per ridurla a una morale di conforto. Lo Spirito ci viene affidato per ricordare tutto ciò che Gesù ha detto, non per selezionare quello che ci fa comodo.
E infatti, nel Vangelo di oggi, Gesù non promette emozioni, ma memoria. «Il Paraclito vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
Lo Spirito non innova per capriccio. Riporta all’origine. Riporta alla sorgente. Riporta alla verità.
Eppure, è proprio questo il sintomo più diffuso in molte nostre comunità: l’amnesia spirituale.
Abbiamo dimenticato la Parola. Abbiamo dimenticato la gioia della missione. Abbiamo dimenticato la centralità del Vangelo nella vita quotidiana. Ricordiamo il catechismo, ma non il fuoco. Ricordiamo le formule, ma non la passione.
E senza memoria, non c’è identità.
Senza identità, non c’è guarigione.
Pentecoste ci viene incontro come una terapia d’urto: è lo Spirito che bussa alle porte delle nostre paure, delle nostre chiusure, delle nostre pigrizie ecclesiali. È lo Spirito che ci rende capaci di parlare un linguaggio universale, fatto non solo di parole, ma di presenza, di ascolto, di prossimità.
In un mondo segnato dalla frammentazione — sociale, relazionale, politica — abbiamo bisogno di cristiani capaci di unità senza omologazione, di coraggio senza arroganza, di verità senza violenza.
Lo Spirito Santo non ci dà un’ideologia. Ci dà un cuore. Perché una Chiesa senza Spirito è una struttura. Una comunità senza Spirito è un gruppo. Un cristiano senza Spirito è un moralista, non un testimone. Pentecoste è allora la festa della “Tuttosanità” proprio perché ci ricorda che senza Spirito non si guarisce.
Possiamo amministrare, organizzare, gestire. Ma non possiamo trasformare, consolare, salvare.
Senza Spirito non c’è fuoco, non c’è vento, non c’è respiro.
Ecco perché oggi il Vangelo diventa Parola che cura: perché ci riporta alla sorgente della nostra energia più profonda.
Ci dice che non siamo soli.
Che non siamo incapaci.
Che non siamo condannati a ripetere la mediocrità.
Lo Spirito è già in noi.
La vera domanda è: lo lasciamo agire? Lo lasciamo guarire?
Oppure abbiamo costruito anticorpi contro l’irruzione di Dio?
Pentecoste è il Vangelo dell’ossigeno. Il Vangelo del respiro.
La Chiesa non è mai stata tanto malata come quando ha smesso di respirare lo Spirito e ha cominciato a respirare solo sé stessa.
Ma oggi abbiamo una possibilità. Un’invocazione. Un fuoco.
Pentecoste ci dice che la guarigione è iniziata.
Che la Parola continua.
Che il Vangelo è vivo.
E che la cura è vicina.
Anzi, abita già dentro di noi.