Vangelo in Salute,  la Parola che Cura: “… entrare per la porta stretta …”

Vangelo in Salute, la Parola che Cura: “… entrare per la porta stretta …”

24 Agosto 2025 Off Di Fabio De Biase

La porta è stretta, ma il vero pericolo è restare fuori perché abbiamo vissuto di facciata.

Il Vangelo di questa XXI Domenica del Tempo Ordinario (Lc 13,22-30) nasce da una domanda che attraversa i secoli e che, se siamo onesti, continua a risuonare anche nel nostro cuore: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” È la curiosità di sempre: chi è dentro e chi è fuori? Quanti saranno ammessi alla vita eterna? In fondo, è la tentazione di trasformare la salvezza in una statistica, un calcolo, un concorso a numero chiuso.

Ma Gesù non si lascia intrappolare da questa logica. Non risponde mai con numeri o percentuali. Sposta l’attenzione, come fa sempre, dal “quanto” al “come”. Non interessa sapere “quanti si salvano”, ma piuttosto comprendere come si entra nel Regno. Ed è qui che arriva la sua risposta, forte e spiazzante: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta.”

La porta stretta: segno di libertà, non di esclusione

Molti immaginano la porta stretta come un ostacolo messo da Dio per complicarci la vita, quasi un esame difficile che solo pochi riescono a superare. In realtà, la porta è stretta non perché Dio voglia ridurre gli accessi, ma perché obbliga ciascuno di noi a fare verità su sé stesso. È stretta perché non si può entrare con i bagagli dell’egoismo, del potere, della superficialità. È stretta perché ci costringe a spogliarci del superfluo e a tornare all’essenziale.

La malattia spirituale che questo Vangelo mette in luce è la superficialità di una fede di facciata, una fede “larga” solo a parole ma che non cambia la vita. È la tentazione di sentirsi già a posto, perché “frequentiamo la Messa”, perché “conosciamo le regole”, perché “abbiamo fatto catechismo”. Ma Gesù è chiarissimo: non basta averlo ascoltato, non basta averlo incontrato “nelle piazze”. Se il cuore non si converte, se la vita non si lascia trasformare, rischiamo di trovarci davanti a quella porta… e di non essere riconosciuti.

Il rischio della fede abitudinaria

Le parole di Gesù sono dure, quasi spietate: “Non vi conosco, non so di dove siete.” Non è una condanna capricciosa, ma la constatazione che con Lui non c’è stata relazione autentica. Possiamo passare la vita a “fare cose religiose” senza mai lasciarci toccare davvero dal Vangelo. E questo è il grande pericolo di ogni tempo: vivere un cristianesimo abitudinario, che riempie l’agenda ma non guarisce il cuore.

Quante volte anche nelle nostre comunità rischiamo di misurare la fede con il numero di pratiche, di eventi, di presenze… dimenticando che ciò che conta è l’intimità con Cristo. Non sono le statistiche a salvare, ma la verità del cuore. La porta stretta è allora un invito a fare discernimento: cosa porto con me che non mi permette di entrare? Cosa devo lasciare perché il mio cuore sia libero di accogliere Dio?

Una “Domenica di Tuttosanità”

In questa Domenica di Tuttosanità, la Parola si presenta davvero come medicina. Ci guarisce da due malattie opposte ma ugualmente pericolose: da un lato il pessimismo di chi pensa che la salvezza sia riservata a pochi “eletti”, dall’altro la superficialità di chi crede che basti un’etichetta religiosa per essere al sicuro. Gesù non vuole che ci ammaliamo né di disperazione né di presunzione. Ci invita piuttosto a metterci in cammino con serietà, con umiltà, con perseveranza.

E la cura è proprio questa: non perdere tempo a contare chi entrerà o chi resterà fuori, ma impegnarsi a vivere oggi in modo da attraversare quella porta. Significa fare scelte coraggiose di essenzialità, riconciliarsi con la propria fragilità, lasciarsi guarire dalle ferite che ci rendono incapaci di amare.

Gli ultimi e i primi: la logica capovolta del Vangelo

Il finale del brano è sorprendente, quasi scandaloso: “Vi sono ultimi che saranno primi e vi sono primi che saranno ultimi.” È la firma tipica di Gesù, che capovolge le nostre classifiche e i nostri schemi. Chi si crede “primo” perché ha titoli, ruoli, privilegi, rischia di scoprire di essere rimasto fuori. Chi invece vive con umiltà, chi ha saputo fidarsi senza calcoli, chi ha portato le proprie ferite davanti a Dio, sarà accolto come ospite d’onore al banchetto del Regno.

Questo non è un annuncio di esclusione, ma di speranza. Non ci sono porte chiuse in partenza. Ci sono porte che restano aperte, ma che chiedono la verità del cuore per poterle varcare. E il criterio non è la quantità di opere esteriori, ma la qualità dell’amore vissuto.

Una domanda personale e comunitaria

La provocazione finale del Vangelo è chiara: non serve chiedersi “quanti si salvano?” ma piuttosto “io, oggi, come sto vivendo la mia fede?” Mi sto accontentando di una religione di facciata, fatta di abitudini e di esteriorità, o sto davvero cercando di entrare per la porta stretta, lasciando cadere ciò che appesantisce il cuore?

La Chiesa stessa deve accogliere questa domanda. Non basta avere strutture, programmi, tradizioni. Se non siamo una comunità capace di essenzialità, di umiltà, di servizio, rischiamo di restare fuori da quella porta mentre altri, che non avremmo mai immaginato, entrano per primi.

Per riflettere…

La porta è stretta, sì. Ma è aperta. Non è un ostacolo, ma un invito. Non è il segno di un Dio che vuole escludere, ma la strada di un Dio che ci vuole liberi, autentici, veri. Sta a noi decidere se vogliamo entrare.

E allora la domanda rimane, urgente e personale: ho il coraggio di alleggerire la mia vita per passare per quella porta? O preferisco restare largo e comodo… rischiando di trovarmi fuori?

Il Vangelo di oggi è la medicina che ci guarisce dalle illusioni: la salvezza non è automatica, ma è possibile per tutti. È un dono gratuito, ma chiede di diventare discepoli veri, non spettatori distratti. E solo chi accetta questa verità, potrà davvero scoprire che la porta stretta non chiude… ma spalanca alla gioia senza fine del Regno.