Quando la malattia non permette di lavorare

Quando la malattia non permette di lavorare

21 Gennaio 2020 0 Di La Redazione

“I pazienti reumatologici vivono difficoltà oggettive alle quali non sempre il Sistema sanitario nazionale riesce a garantire risposte efficaci e soddisfacenti”.

 

Le malattie reumatologiche più gravi hanno un forte impatto sulla vita dei pazienti italiani. Uno su cinque lamenta un dolore estremo e il 40% è costretto a rinunciare al lavoro e un altro 30% è costretto a ridurlo. Più di un terzo dei malati presenta, oltre a quella reumatologica, due o più patologie che ne aggravano il quadro clinico complessivo. Il 43% ha avuto problemi nell’accedere ad una visita con lo specialista e ben il 37% ha dovuto spostarsi in un’altra regione per effettuarla. L’80% è costretto a ricorrere a visite private per soddisfare i propri bisogni sanitari. Sono questi alcuni dati contenuti nel rapporto “Qualità della vita e workability: il punto di vista del paziente affetto da malattie reumatologiche” condotto dall’Associazione nazionale malati reumatici e patrocinato dalla Società italiana di reumatologia.

L’indagine è stata condotta su 639 pazienti colpiti da artrite reumatoide, artrite psoriasica, spondiloartropatie sieronegative, sclerodermia, sindrome di Sjogren e morbo di Still.  “I pazienti reumatologici vivono difficoltà oggettive alle quali non sempre il Sistema sanitario nazionale riesce a garantire risposte efficaci e soddisfacenti – afferma Luigi Sinigaglia, presidente Sir – il 33%, per esempio, vorrebbe tempi d’attesa più brevi per visite mediche, esami diagnostici o interventi terapeutici. Preoccupano soprattutto i ritardi con i quali le patologie vengono individuate correttamente. Solo il 18% ha ricevuto una diagnosi entro tre mesi dalla comparsa evidente della malattia.

È una situazione che gli specialisti denunciamo da anni e per la quale chiediamo un intervento immediato delle istituzioni locali e nazionali. Molti di questi problemi potrebbero essere risolti grazie all’attivazione delle reti reumatologiche regionali in tutta la Penisola”. “Attraverso queste strutture sanitarie è possibile ottenere una reale integrazione tra l’assistenza territoriale e quella offerta nei centri di riferimento reumatologici specializzati – aggiunge Guido Valesini, vice presidente Sir – l’altro obiettivo fondamentale che potremmo raggiungere è un’ottimizzazione delle risorse economiche e professionali disponibili”.

“Attualmente in Italia sono realmente attive solo alcune reti regionali. Altre invece sono state solo progettate ma non messe nelle condizioni di funzionare a pieno regime. Dobbiamo riuscire a garantire percorsi diagnostico-terapeutici virtuosi per tutti i malati reumatologici, porre fine alle differenze a livello territoriale e ridurre così le migrazioni verso altre Regioni”.