Quando la disabilità bussa alla porta delle famiglie

Quando la disabilità bussa alla porta delle famiglie

12 Ottobre 2020 0 Di Teresina Moschese*

Teresina Moschese

La disabilità rappresenta un tema di grande interesse sia nel “microcosmo” di coloro che si trovano a viverla in prima persona (dalla persona diversabile alla sua famiglia), sia nel “macrocosmo” di chi opera nella scuola, di chi gestisce le politiche nazionali, europee e internazionali. Essa viene definita come la conseguenza della complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali, ambientali che rappresentano le circostanze in cui egli vive.

Desidero proporre in questo articolo un approfondimento relativo ad un aspetto che, da psicoterapeuta familiare, mi sta molto a cuore: ciò che accade nella famiglia con un membro disabile e come cambia la genitorialità quando nasce un bambino con problemi fisici, psichici, sensoriali, siano essi ereditati o acquisiti.

La famiglia è un sistema in evoluzione: affronta, perciò, compiti evolutivi che richiedono un vasto processo di riorganizzazione. Il ciclo di vita della famiglia è caratterizzato da una serie di eventi più o meno critici che possono essere causati da diversi fattori, come l’ingresso o l’uscita di alcuni componenti della famiglia, problemi psicosociali legati allo sviluppo dei bambini o semplicemente eventi particolari legati alla vita della coppia (Gambini, 2007). Nessun evento in sé, tuttavia, è “critico” per lo sviluppo della famiglia, ma diventa rilevante sulla base di come viene percepito e dal significato ad esso attribuito, che è in gran parte correlato alle esperienze personali di tutti e alle credenze e ai valori sociali che sono trasmessi di generazione in generazione nella storia di ogni famiglia (Barnes, 2009).
La complessità dei compiti di sviluppo di ciascun componente ad ogni stadio evolutivo del sistema familiare si amplifica, talvolta rovinosamente, quando si presenta un evento inverso, quale la nascita di un bambino diversamente abile, o un incidente che trasforma un componente della famiglia in persona bisognosa di cure ed assistenza continuativa, assolutamente impossibilitata a raggiungere gradi di indipendenza/autonomia.

Quando il bambino presenta dei disturbi, dei deficit, la continuità della coppia si interrompe, ed anche la capacità di accedere alle fantasie è minacciata, in primo luogo la coppia smette di avere rapporti corporei, la sessualità perde la libido e qualsiasi possibilità di regressione. La parte più infantile della coppia viene profondamente colpita, non c’è più spazio per l’illusione, non c’è più spazio per l’alimentazione delle fantasie dell’altro(Menafro). 
Il rapporto tra genitori e figlio disabile evidenzia un trauma, a livello individuale e sociale, derivante dalla nascita di un figlio invalido, e atteggiamenti di iper-protezione e di indulgenza, nocivi ai fini dello sviluppo della personalità, alternati a fasi di severità o di rifiuto. Studi più recenti hanno cercato di definire le modificazioni delle dinamiche intra-familiari conseguenti la nascita di un bambino affetto da menomazioni, sovvertendo così i rituali sociali connessi ad un neonato e in genere non si conoscono modalità alternative di comportamento per tali circostanze.

L’evento frustrante è vissuto dai genitori in vario modo a seconda delle condizioni socio-economiche, il livello culturale e altri fattori personali e ambientali. Secondo Formica-Pancheri -Redento (1971), sarebbe prevalente una reazione di tipo aggressivo nei confronti del neonato, che si può manifestare:

-mediante la repressione dell’aggressività, inducendo sentimenti di colpa, e la conseguente adozione di atteggiamenti iper-protettivi;

-mediante un rafforzamento dell’aggressività che può condurre sia a comportamenti ambivalenti, sia al rifiuto e all’esclusione del bambino dalla vita affettiva della famiglia (allontanamento e richiesta di istituzionalizzazione)

– l’aggressività può essere riconosciuta come reazione normale e costituire il punto di partenza per una adeguata percezione delle condizioni del bambino e delle sue capacità.

Spesso, ad esempio, la natura della disabilità viene resa “invisibile” (Fisman, 2000), il che riduce la possibilità per la famiglia di essere immediatamente compresa e supportata dall’ambiente sociale in cui vive: per questo motivo, il rischio per i familiari, è quello di provare vergogna per la sua disabilità e di ridurre progressivamente gli scambi sociali, fino a giungere in alcuni casi ad un vero e proprio isolamento. Tale situazione è estremamente pericolosa, in quanto il sostegno sociale rappresenta una delle principali risorse per fronteggiare adeguatamente lo stress cronico, e, in sua assenza, la coppia genitoriale rischia di ritrovarsi sovraccaricata da aspettative e richieste spesso ambivalenti che entrambi i componenti rivolgono l’un l’altro, con il rischio di esacerbare il livello di conflittualità coniugale. Rischio ulteriore è inoltre rappresentato dal fatto che la sofferenza dei genitori, il loro senso di colpa e gli intensi sentimenti di vergogna da loro spesso provati possano compromettere il loro rapporto con il figlio e con chi si occupa di lui (Ramaglia e Pezzana, 2004).

Diversi autori sono concordi nell’individuare specifiche tappe che si succedono in una famiglia nel momento in cui viene a scoprire che il figlio è disabile: shock iniziale; rifiuto; dolore e depressione; ambivalenza; vergogna e imbarazzo; patteggiamenti; accettazione e adattamento.

  1. Shock iniziale

La maggior parte dei genitori prova un’iniziale reazione di shock e passa un periodo di comportamenti irrazionali, caratterizzati da pianti continui e sensazioni di impotenza.

  1. Rifiuto

Alcuni genitori cercano di sfuggire la realtà e attutiscono l’impatto con il rifiuto. Questa reazione è molto comprensibile ma a volte è così poco evidente che può passare inosservata. In altre situazioni può manifestarsi un rifiuto tale nei confronti del bambino con disabilità da portare a negare la stessa esistenza del figlio.

  1. Dolore e depressione

Per alcuni genitori la disabilità rappresenta simbolicamente la morte del figlio ideale e può far precipitare in una situazione di dolore, come quella che accompagna la perdita di una persona cara. Gargiulo spiega che: “il dolore è una reazione necessaria e utile che non dovrebbe essere evitata, perché rappresenta il periodo di transizione per adattare alla realtà i sogni e le fantasie che avevano sul figlio perfetto. Il dolore è necessario anche per consentire ai genitori di passare dallo stato iniziale di shock e sgomento a quello di consapevolezza della delusione”.

  1. Ambivalenza

Un ragazzo disabile può intensificare le normali reazioni di amore e rabbia che la maggioranza dei genitori prova nei confronti dei propri figli. Maggiore è la frustrazione, più intensi sono questi sentimenti. In genere un forte sentimento di colpa accompagna questi sentimenti negativi, al quale spesso certi genitori reagiscono con una dedizione totale, mentre altri rispondono con il rifiuto. I genitori che reagiscono con il senso di colpa assumono l’atteggiamento del martire, che di solito porta a trascurare gli altri membri della famiglia, nonché ad interrompere la relazione con il coniuge. Durante la fase del senso di colpa il bisogno di compensazione conduce a identificare l’handicap come più importante del figlio stesso, i genitori sono disposti a negare sé stessi per dei pretesi bisogni del figlio.

  1. Vergogna e imbarazzo

I comportamenti del ragazzo in pubblico riflettono il modo in cui i genitori hanno assolto alle loro responsabilità. Accanto a sentimenti di vergogna e di imbarazzo si ha la perdita della stima di sé. Ciò avviene poiché spesso i genitori tendono ad identificarsi con i propri figli, vedendoli come un prolungamento di sé stessi, di conseguenza un difetto nel bambino può essere interpretato come una loro mancanza.

  1. Patteggiamenti

Questa fase è tra le ultime degli stadi del processo di adattamento. Viene illustrato con queste  parole: “è un atto molto personale di cui gli altri non si accorgono, con il quale i genitori sperano di fare un patto con dio, la scienza, o chiunque altro prometta di rendere il figlio normale”; rappresenta l’ultimo tentativo di curare il proprio figlio.

  1. Accettazione e adattamento

Accettare è la meta che vuole raggiungere la maggior parte dei genitori. E’ un processo attivo e continuo, uno stato mentale nel quale si compie coscientemente uno sforzo per riconoscere, capire e risolvere un problema, anche se non si riusciranno mai a cancellare gli stadi negativi che hanno preceduto l’accettazione. A tale concetto si collega quello di adattamento. E’ un’azione “positiva e propositiva”, non ha inizio nè fine, ma è un processo “difficile e continuo” che varia a seconda della personalità e del modo di pensare dei genitori.

 

Se nella famiglia è presente un fratello nato prima di quello con disabilità gli viene sottratta gran parte dell’attenzione e gli si impone di responsabilizzarsi; se è nato dopo deve riparare la ferita narcisistica che hanno subito i genitori e prepararsi a sostituirli nei compiti di custodia e assistenza.

Un altro dato costante è una sorta di “immobilizzazione del tempo”, tutti gli educatori di disabili adulti descrivono famiglie che vivono il rapporto con i figli come se fossero bambini piccoli; la famiglia sembra bloccata sul trauma originario, drammaticamente chiusa sulla sua sventura: il tempo si è fermato, il disabile è un eterno bambino. Harris et al. (1987) e Sorrentino (1987) evidenziano come spesso, in questo scenario di tempo sospeso per far fronte alle maggiori responsabilità quotidiane legate all’accudimento del figlio disabile, le madri rinuncino a diverse opportunità di sviluppo personale, per esempio in ambito lavorativo. Tale situazione porterebbe in alcuni casi al manifestarsi di sentimenti di depressione e rabbia, legati anche alla fatica e alle tensioni quotidiane; inoltre sembra frequente una caduta del livello di autostima, soprattutto nei casi in cui la maternità costituisce per la donna la fonte principale di autorealizzazione.
Al contrario il comportamento del padre oscilla tra tentativi di “fuga (soprattutto attraverso la ricerca di gratificazioni professionali), atteggiamenti di “rivendicazione” sociale o culturale o posizioni di passività e di distacco (“padre assente”). Le comunicazioni tra i genitori sono soprattutto centrate sui problemi del disabile e si determina un’attenuazione o rimozione dell’affettività e della sessualità della coppia.

Per queste famiglie non è facile riformulare gli eventi in positivo nè trovare un significato nella loro vita. Assumere questa nuova prospettiva positiva significherebbe per loro accedere all’accettazione e alla trasformazione che permetterebbe loro di vivere la menomazione e la conseguente disabilità solo come un aspetto della vita (Farber, 1986). Per tutti gli operatori del settore, è quindi, essenziale riconoscere che le famiglie hanno modi diversi di sperimentare la disabilità di un figlio. Non è la disabilità del bambino che svantaggia e disintegra le famiglie: è il loro modo di reagire ad essa e tra di loro (Dickman & Gordon, 1985, p. 109).

*Psicologa-psicoterapeuta familiare