Più neuroradiologia per ottimizzare le cure

Più neuroradiologia per ottimizzare le cure

22 Ottobre 2019 0 Di Bruno Buonanno

Da protagonista mondiale della neuroradiologia interventistica, il direttore Mario Muto fa un bilancio in chiaro-scuro su un percorso ancora da completare in Campania.

Mario Muto

Sono oltre duemila i partecipanti al congresso mondiale di neuroradiologia interventistica presieduto e organizzato da Mario Muto, direttore della struttura di diagnostica per immagini del Cardarelli centro pilota della Campania per la cura degli ictus ischemici. Sono arrivati scienziati e radiologi dall’Oriente (in Giappone la neuroradiologia interventistica esiste da venti anni) e dall’Occidente con un appuntamento mondiale che viaggia alla grande anche grazie all’efficiente  segreteria organizzativa della Eventi & Congressi.

Il direttore della brillante neuroradiologia del Cardarelli vive da protagonista il ruolo di <leader mondiale> di una super specializzazione che cura gli stroke ischemici, ma anche gli aneurismi, le malformazioni artero venose ed i crolli vertebrali. Èentrato nel vivo il convegno che ha requisito il Palazzo Congressi della Mostra d’Oltremare – edificio che anni fa ospitava l’Isef, Istituto superiore di educazione fisica – con relazioni su malattie che, se affrontate con rapidità, evitano di vivere con gravi disabilità. Da protagonista mondiale della neuroradiologia interventistica, il direttore Mario Muto fa un bilancio in bianco/nero sul lavoro ancora incompleto in Campania sulle terapie endovascolari per gli stroke ischemici. “Abbiamo bisogno di due cose che a quanto mi pare di capire – spiega il presidente del congresso mondiale – non sembrano facili da realizzare. Abbiamo bisogno di giovani appassionati della radiologia desiderosi di entrare a far parte del mondo della neuroradiologia interventistica. Una subspecializzazione che permette di raggiungere risultati importanti. Ma al tempo stesso impone grandi, anzi grandissimi sacrifici, con reperibilità nelle 24 ore, lavoro nelle festività. Cosa serve? Occorrono formazione e organizzazione. La formazione deve essere realizzata a livello universitario, con giovani specializzandi da inserire nel mondo ospedaliero in cui la neuroradiologia interventistica è operativa. L’organizzazione spetta al ministero della Salute, alle Regioni, ai direttori generali delle singole aziende sanitarie. Un ruolo importante è quello del 118 che ha bisogno di una riorganizzazione generale su tutto il territorio regionale”.

Professore Mario Muto, quali sono le strutture campane già operative e chi, invece, manca all’appello?

“In tutta la Campania è operativa la neuroradiologia del Cardarelli dove nel 2018 abbiamo eseguito per gli ictus ischemici 280 trattamenti endovenosi e 100 endovascolari; quest’anno siamo a 280 trattamenti endovenosi e 130 endovascolari. L’altro centro che lavora su ottimi livelli è a Salerno, nell’azienda ospedaliera Ruggi d’Aragona dove lavora come direttore della neurochirurgia il collega Giuseppe Russo, da anni in prima linea sui problemi degli ictus ischemici”.

E quelli che sono operativi, ma al momento solo sulla carta?

“Oltre a quelli del Cardarelli e del Ruggi d’Aragona sono previsti dei centri di primo livello nel Cto di Napoli, nel Policlinico Federiciano, nell’Ospedale del Mare e ancora ad Avellino, Benevento e Caserta. Oggi dall’Ospedale del Mare i pazienti non vengono trattati con la terapia endovascolare ma – se tutto va bene – dopo un paio di ore vengono trasferiti al Cardarelli. Il Policlinico non funziona ancora perché non ha pronto soccorso, anche il Cto è fermo. Tutti questi centri sono dotati di angiografi che vengono utilizzati per altre funzioni, non per gli ictus”

Parlava di giovani. Dottore Muto quanti ne servirebbero ogni anno?

“In Campania almeno una ventina, il mio sogno è di avere ogni dodici mesi un nuovo specializzando nel mio staff. Il trattamento endovascolare degli ictus ischemici deve rispettare una sorta di <finestra terapeutica> di circa sei ore dalla realizzazione dell’evento. Intervenendo in questi tempi si cerca di bloccare la perdita di neuroni, ovviamente se l’ictus è distale non si interviene con la terapia endovascolare, ma farmacologicamente con la trombolisi. Ci sono dei segni premonitori dell’ictus disturbi nel linguaggio, perdita di forza, problemi con la vista. Anche i Tia richiedono grande attenzione perché possono essere seguiti da un ictus”.

Le Università dovrebbero impegnarsi di più anche per la neuroradiologia interventistica, poi serve su tutto il territorio un’organizzazione che consenta agli specialisti come lei di intervenire con rapidità.

“Sì sono i problemi da affrontare. Ma vedo che un lavoro del genere non solo richiede tempo, ma va contro molte difficoltà. Eppure la neuroradiologia ha dimostrato che con l’intervento endovascolare si riducono drasticamente i problemi provocati dagli ictus, limitando il numero di cittadini disabili. Un disabile, ogni anno, costa mediamente al servizio sanitario tra i 25 ed i 30mila euro; un intervento endovascolare in un paziente con l’ictus ha un costo di circa 6 mila euro. I numeri confermano che fino ad ora si è fatto troppo poco: mediamente si calcola la necessità di 350 interventi endovascolari per milione di persone. Nel 2018 si sarebbero dovuti eseguire circa 20 mila interventi endovascolari: ne sono stati realizzati solo quattromila. Il che significa che viene curato da un neuroradiologo interventista un paziente su quattro. In Campania le ultime norme per la cura degli ictus risalgono a circa sei mesi fa, io per i centri Hub di primo livello, per esempio, accorperei Avellino e Benevento. Spero che la Regione riesca a far partite i centri Hub e gli Spoke di secondo livello (sono previsti a: Ariano Irpino, Aversa, Pineta Grande, San Giovanni Bosco, San Paolo, Santa Maria delle Grazie, Giugliano, Nola, Castellammare, Volla, Vallo della Lucania, Nocera Inferiore) in maniera di arrivare fra due anni al prossimo appuntamento internazionale a Kyoto, in Giappone, con una realtà campana ancora migliore per la neuroradiologia”.