
Parkinson, adesso è possibile anticipare la diagnosi e migliorare la cura
4 Giugno 2025La ricerca scientifica sta aprendo nuove possibilità per anticipare la diagnosi e migliorare la gestione della malattia di Parkinson, con terapie sempre più personalizzate e meno invasive anche nelle fasi avanzate. I progressi e le strategie future per la cura di questa patologia neurodegenerativa, che in Italia colpisce circa 400.000 persone, sono stati presentati a Roma durante l’11° Congresso della Società Italiana Parkinson e Disordini del Movimento LIMPE-DISMOV, a cui hanno partecipato oltre 800 specialisti della comunità scientifica nazionale e internazionale.
“Siamo in un momento cruciale – afferma Giovanni Fabbrini, presidente della Società Italiana Parkinson LIMPE-DISMOV –: grazie a nuovi strumenti diagnostici e a terapie sempre più personalizzate, abbiamo la possibilità concreta di intercettare la malattia in fase precoce e accompagnare i pazienti in percorsi di cura più efficaci. Il Congresso ha rappresentato un’occasione preziosa per favorire il confronto e accelerare il trasferimento delle innovazioni dalla ricerca alla pratica clinica”.
OLFATTO E SALIVA: LE NUOVE VIE PER UNA DIAGNOSI PRECOCE
La perdita dell’olfatto si conferma come uno dei sintomi non motori che possono precedere di anni la comparsa dei segni tipici del Parkinson. Proprio da questo sintomo prende le mosse lo studio internazionale PPMI4 (Parkinson’s Progression Markers Initiative), promosso dalla Michael J. Fox Foundation, a cui partecipa anche l’Italia con l’Università di Salerno. “L’obiettivo è individuare marcatori precoci della malattia – spiega Paolo Barone, professore di Neurologia dell’ateneo – attraverso un test olfattivo somministrato su larga scala. I soggetti con alterazioni significative verranno sottoposti ad analisi più approfondite, come la ricerca di alfa-sinucleina, una proteina coinvolta nella patogenesi del Parkinson, nel sangue o nei tessuti, o la valutazione di marcatori dopaminergici”. Lo studio prevede il monitoraggio di circa 70.000 persone con un follow-up minimo di quattro anni: tra queste, si stima che almeno 400 individui potrebbero mostrare segnali iniziali della malattia.
Parallelamente, un team dell’Università Sapienza di Roma, in collaborazione con il Campus Biomedico, sta indagando il ruolo della saliva come fluido biologico diagnostico. “Abbiamo identificato un pannello di biomarcatori salivari in grado di distinguere i pazienti nelle fasi iniziali e prevederne l’evoluzione clinica – spiega Daniele Belvisi, neurologo e ricercatore –. In particolare, livelli elevati di alfa-sinucleina in fase iniziale sembrano predire la progressione dei sintomi motori, mentre indici infiammatori sarebbero correlati con l’evoluzione dei disturbi non motori. I dati sono incoraggianti, ma servono conferme su campioni più ampi e in contesti multicentrici. Confrontare diversi fluidi corporei e seguire persone a rischio potrebbe portarci un giorno a diagnosticare il Parkinson prima ancora dell’insorgenza dei sintomi.”
TECNOLOGIE INDOSSABILI: IL POTENZIALE PER UNA CURA PIÙ PERSONALIZZATA
Le tecnologie indossabili rappresentano una delle frontiere più promettenti nella gestione del Parkinson, perché permettono di raccogliere dati continui e oggettivi sullo stato del paziente, anche nella vita quotidiana. “I wearable non si limitano a monitorare i disturbi del movimento – spiega Andrea Pilotto, neurologo dell’Ospedale Civile di Brescia – ma possono rilevare sintomi non motori, come la qualità del sonno e la pressione arteriosa, e persino aspetti cognitivi e comportamentali”. La tendenza è verso sensori miniaturizzati, localizzati e a basso impatto, in grado di funzionare nel lungo periodo, e integrati con algoritmi intelligenti che circoscrivono il monitoraggio ai parametri più rilevanti. Un ruolo chiave sarà giocato dall’intelligenza artificiale, capace di interpretare la complessità dei dati e fornire risposte personalizzate. “La sfida – conclude Pilotto – è duplice: da un lato serve definire standard clinici condivisi, dall’altro rendere queste tecnologie realmente indossabili e sostenibili nella vita quotidiana del paziente”.
FASE AVANZATA: TERAPIE SEMPRE PIÙ EFFICACI E MENO INVASIVE
Per i pazienti in fase avanzata sono oggi disponibili trattamenti innovativi che migliorano la continuità terapeutica e riducono la necessità di interventi invasivi.
È il caso dell’infusione sottocutanea continua di foslevodopa/foscarbidopa, disponibile in Italia da poco più di un anno, che garantisce una somministrazione stabile della levodopa. “Questa terapia è una soluzione concreta ed efficace per quei pazienti che, con l’avanzare della malattia, presentano problemi di assorbimento del farmaco assunto per via orale – spiega Giovanni Cossu, neurologo e responsabile del Centro Parkinson dell’ARNAS G. Brotzu di Cagliari –. La procedura è meno invasiva rispetto all’infusione intestinale, perché non comporta interventi chirurgici, è continua anche durante il sonno, salvaguardando il riposo del paziente, ed è più semplice da gestire nella vita quotidiana. Tuttavia, una survey che abbiamo condotto insieme ad altri centri italiani, ha messo in luce quanto sia delicata la fase iniziale di avvio della terapia: nei primi tre mesi è fondamentale un monitoraggio molto frequente per calibrare il dosaggio adeguato del farmaco e garantire il successo del trattamento”.
Accanto a questa opzione farmacologica, si sta affermando sempre più l’utilizzo degli ultrasuoni focalizzati guidati da risonanza magnetica (MRgFUS), che permettono di agire in modo non invasivo su aree cerebrali specifiche, come il globo pallido o il talamo, creando una piccola lesione controllata (ablazione) che interrompe i circuiti neuronali anomali alla base del tremore. Questo approccio, privo di incisioni chirurgiche, permette di migliorare i sintomi motori nei pazienti selezionati. “È indicata anche per pazienti molto anziani o non idonei ad altri trattamenti, poiché non ha limiti di età – spiega Roberto Eleopra, direttore della Neurologia dell’Istituto Besta di Milano, uno dei pochi centri italiani dove la procedura è effettivamente disponibile e praticata – e consente di testare l’effetto prima di renderlo permanente, aumentando la sicurezza”.
Per le fasi avanzate della malattia di Parkinson, rimane infine centrale la stimolazione cerebrale profonda (DBS), una tecnica chirurgica consolidata da oltre trent’anni, che consiste nell’impianto di elettrodi in specifiche aree del cervello per modulare l’attività neuronale e ridurre i sintomi motori. “Oggi la DBS è ancora più efficace grazie a dispositivi ricaricabili, adattivi e meno invasivi – spiega Elena Moro, professore di Neurologia e direttore di Dipartimento del Centro Ospedaliero Universitario di Grenoble –. È essenziale però intervenire nel momento giusto: né troppo presto né quando la malattia è ormai in fase troppo avanzata. In generale, è consigliata quando la terapia farmacologica non garantisce più una buona qualità della vita”.
CONFRONTO GLOBALE E APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE
Tra i momenti più significativi del Congresso, la sessione congiunta con la European Academy of Neurology, che ha rafforzato il dialogo a livello internazionale, confermando il ruolo della comunità scientifica italiana come punto di riferimento nella ricerca sul Parkinson e gli altri disturbi del movimento.
Grande attenzione è stata riservata anche alle differenze di genere, che influenzano sia la manifestazione clinica sia la risposta terapeutica, e all’importanza di un approccio multidisciplinare: corsi specifici e momenti di confronto hanno coinvolto fisioterapisti, infermieri, logopedisti e psicologi, sottolineando la centralità di una presa in carico integrata e personalizzata.
Tra i temi affrontati, il ruolo crescente della riabilitazione motoria e cognitiva, inclusa la teleriabilitazione, che si sta configurando come uno strumento promettente per prolungare l’autonomia e migliorare la qualità della vita dei pazienti. A testimoniarlo, le prime analisi di uno studio in fase di pubblicazione condotto dall’Università di Verona e presentato da Marialuisa Gandolfi: “La teleriabilitazione consente di estendere nel tempo il percorso riabilitativo, con potenziali benefici per i pazienti e una gestione più sostenibile delle risorse sanitarie”.
Il Congresso ha mostrato con chiarezza che il futuro della lotta al Parkinson è già cominciato: diagnosi sempre più precoci, terapie su misura e tecnologie intelligenti stanno trasformando la gestione della malattia. La sfida ora è tradurre queste innovazioni in strumenti concreti per tutti i pazienti, il prima possibile.