Nuova terapia per la Malattia di Parkinson?

Nuova terapia per la Malattia di Parkinson?

27 Settembre 2019 0 Di Andrea Di Lauro *

“Il prossimo passo, già avviato, è testare la terazosina in uno studio prospettico controllato su un adeguato numero di pazienti affetti dalla patologia degenerativa”.

Il Morbo di Parkinson fa parte del gruppo di malattie degenerative del sistema nervoso centrale, e, tra queste, è la più frequente. Queste malattie vengono classificate insieme per via di diverse caratteristiche comuni: causa sconosciuta, insorgenza insidiosa dopo un lungo periodo di pieno benessere, decorso in graduale peggioramento.

Nel cervello dei pazienti affetti da Parkinson avviene una scomparsa progressiva di un gruppo di cellule, localizzate nel tronco dell’encefalo, che sono coinvolte nel controllo del movimento, della postura, del tono muscolare. E’ stato osservato che queste cellule sintetizzano il neurotrasmettitore dopamina che quindi viene progressivamente a mancare a mano a mano che la malattia procede.

La terapia farmacologica del Parkinson prevede di correggere questa carenza aggiungendo nuova dopamina dall’esterno o stimolando direttamente i suoi recettori con sostanze in grado di mimarne gli effetti.

I rimedi terapeutici attuali, tutti, sono soltanto in grado di correggere od attenuare i sintomi, migliorando significativamente la qualità di vita dei pazienti, ma non ci danno la possibilità di   guarire la malattia che comunque avanza nel tempo con la riduzione numerica sempre più accentuata delle cellule coinvolte.

Con queste premesse è facile farsi prendere dall’entusiasmo quando si prospetta la possibilità di offrire ai malati una nuova terapia, con meccanismo di azione differente, che può offrire un miglioramento della sintomatologia e, in più, un rallentamento dalla evoluzione della malattia.

La sorprendente scoperta, pubblicata recentemente sulla prestigiosa rivista Journal of Clinical Investigation, deriva da una ricerca congiunta cinese-americana a cui ha partecipato anche l’Università di Brescia. La ricerca ha preso le mosse dalla scoperta che la terazosina, farmaco comunemente utilizzato nell’ipertrofia prostatica, è in grado di attivare l’enzima PGK1, che è fondamentale per la produzione di energia cellulare che è estremamente ridotta nelle cellule colpite dalla malattia. I ricercatori hanno trattato con terazosina varie specie animali con Parkinson indotto ed hanno osservato che il farmaco previene la neurodegenerazione se somministrato prima dell’esordio della malattia e che, inoltre, rallenta o ferma del tutto i processi neurodegenerativi se somministrato dopo il loro esordio. Con queste promettenti premesse sperimentali si è passato alla clinica: si è esaminato un database di pazienti con Parkinson rilevando che chi assume terazosina per la prostata mostra un quadro clinico  migliore rispetto a coloro che prendono un altro farmaco con le stesse indicazioni ma con differente meccanismo d’azione.

Questi studi retrospettivi inducono a ritenere che si sta sulla strada giusta nell’identificare una nuova linea terapeutica che potrebbe risultare efficace anche in altre patologie degenerative.  Il prossimo passo, già avviato, è dunque testare la terazosina in uno studio prospettico controllato su un adeguato numero di pazienti con Parkinson per provare scientificamente che il farmaco è in grado di migliorare il quadro sintomatologico della malattia e di rallentarne il decorso. Fra pochi anni potremo, spero, essere conclusivi sulla possibilità di considerare la terazosina un farmaco “anti-parkinson”

*Neurologo, già direttore Divisione neurologia Azienda ospedaliera Caserta