Medici, la grande fuga alla ricerca del “paradiso perduto”

Medici, la grande fuga alla ricerca del “paradiso perduto”

28 Aprile 2023 Off Di Corrado Caso

Guido Tersili chiude definitivamente e non senza un generale sentimento di simpatia i battenti di una immaginaria Villa Celeste con la sua saltellante marcetta, immagine euforica e superficiale di una Italietta abbagliata dal miracolo economico. Tutto si concedeva anche la certezza del “boom “scrollandolo del significato momentaneo ed esplosivo che la parola suggeriva e che le circostanze e il tempo avrebbero ampiamente ridimensionato. Il mondo di Tersili divenne nell’immaginario collettivo e per le doti di simpatia dell’attore protagonista (Aliberto Sordi) la carta di identità del medico della mutua e della sanità di quegli anni. Un paradigma che ha lasciato definitivamente   spazio a una diversa figura di medico   chiamato a districarsi tra burocrazia, inefficienze, note e contronote, piani terapeutici e a mediare, sulla propria pelle, risparmio e salute, bisogni e sicurezza con prudenza e abnegazione.
Quanto diverso e inaccettabile il presente, costellato di atti di aggressione, di esasperata litigiosità, dalla necessità di misure necessarie   a garantire un ragionevole margine di sicurezza agli operatori sanitari. Cresce l’esasperazione di fronte all’immobilismo, al crescendo di sfiducia verso l’inefficienza delle istituzioni, ai silenzi e assenze di quanti sono chiamati a gestire, nel migliore dei modi possibili, la sanità, la sicurezza in un paese moderno e civile non   immune da sacche   di profondo malessere sociale.
Oggi la cronaca parla di Barbara Capovani, la psichiatra che prestava servizio presso l’Ospedale di Santa Chiara in Pisa, uccisa da un paziente che aveva in cura. A un osservatore attento non sfugge che ci troviamo di fronte a una morte annunciata, una mente malata. Barbara che muore compie un ultimo atto di amore e di vita verso i sofferenti, dona i suoi organi a chi la vita sta perdendo.  La sua uccisione ricorda per assonanza il dramma di tanti medici e personale sanitario, vittime di episodi di stalking e violenze. Sono storie di ordinaria   follia delle quali sono piene le cronache.   La testimonianza di una gestione che non calcola, non provvede, non rassicura e alla fine suona il piffero degli incantatori di serpenti. Una gestione che emargina il medico dissociato nelle motivazioni, isolato in sé stesso, senza strumenti clinici adeguati e in carenza di personale. Operano  in strutture fatiscenti e vergognose e nell’impossibilità, molto spesso, di garantire al malato lo spazio necessario, il letto, il percorso clinico, il tempo dovuto: la dignità.  Torna alla mente la dolorosa testimonianza di Anatole Broyard, critico letterario del New York Times. Broyard, nella fase terminale della malattia, avvertì la necessità di affidare la sua umanità dolente, i sintomi, lo stato psico-fisico, il sogno della vita interrotto scrivendo un ultimo testamento: “Mi sentirei meglio se avessi un medico che perlomeno percepisse questa incongruenza, vorrei solo che per una volta mi concedesse tutta la sua attenzione che esplorasse la mia mente come esplora il mio corpo, per comprendere il mio malessere perché ogni uomo soffre in modo diverso”. Gli risponde il “tempario” che con la clessidra misura quale è il tempo massimo che il medico dovrebbe dedicare a un paziente e centellina l’accesso agli ambulatori secondo le regole di un Cup stitico, deprivato di un corpo sanitario adeguato alle esigenze dei malati.   
 Una medicina blindata dalle regole dell’economia e del risparmio e dai commissariamenti e non guarda con attenzione e previdenza i mille rivoli dello   sperpero del danaro pubblico ha messo in crisi il sistema sanitario nazionale ritenuto dall’OMS, qualche anno fa, tra i più efficienti al mondo.
      Sono, molto spesso, le tante opinioni stridenti e cronache strumentali che disorientano l’opinione pubblica confusa in un clima generale di relativismo, tra aspettative e realtà, verità e pseudo verità, episodi di presunta malasanità. L’informazione ha un ruolo di grande responsabilità e risonanza.  La capacità, a volte, di manipolare in nome dell’audience l’obiettività e commerciare   la realtà. 
Con Villa Celeste si chiude un passato. Si chiudono le porte di interi Ospedali e Presidi sanitari. I medici precari, mal retribuiti, gestiti da logiche politico- clientelari e non ultimo a rischio nella loro incolumità   spengono la luce del loro studio alla ricerca di una diversa condizione di vita in paesi lontani.