Massimiliano Zinno, il Pilates è un ricco contributo alla cultura di tutti

Massimiliano Zinno, il Pilates è un ricco contributo alla cultura di tutti

21 Febbraio 2021 0 Di Anna Mozzi e Pasquale Maria Sansone

Molti sportivi che, graziosamente, hanno risposto alle nostre domande sull’importanza di praticare sport per mantenersi in buona salute, ci contattano ancora per avere notizie sulle disposizioni del nuovo Governo in merito alla riapertura, in assoluta sicurezza di palestre, piscine e centri sportivi e sulla ripresa delle attività sportive dilettantistiche.

Le ultime notizie provenienti da ambienti vicini al CTS sarebbero incoraggianti per una riapertura sotto osservazione, con ingressi contingentati e misure preventive di profilassi anti Covid-19.

Il Governo Draghi sembra aver previsto per gli affari dello Sport soltanto una Delega governativa, anche se lo stesso Premier, nel suo discorso alle Camere ha preso posizione a favore dello Sport.

Di questo parliamo con Massimiliano Zinno, classe 1985 è un docente formatore di Pilates. Eclettico e poliedrico Massimiliano è dottore in Giurisprudenza e in Storia e a breve sta per conseguire il terzo titolo universitario in Scienze Storiche presso la Federico II di Napoli. Il suo “approccio accademico”, didattico, pedagogico, riportato allo studio del metodo Pilates lo rendono un punto di riferimento di molti studenti (soprattutto delle scienze motorie e dell’ambito della danza) che scelgono i suoi corsi di formazione per diventare istruttori, apprezzandone il metodo di studio e le chiavi interpretative proposte, basate sulla libertà di espressione e la contaminazione. 

Fratello d’arte, apprende i fondamenti del fitness dal fratello Giuseppe, un “guru” riconosciuto che a soli 16 anni inizia a lavorare nel mondo delle palestre. Al suo attivo Massimiliano ha 19 anni nel mondo del benessere e 12 nel mondo dell’olistico. 

Come ha gestito e gestisce Massimiliano Zinno la paura della Pandemia ed il forte disagio per le indispensabili misure restrittive?

Bisogna strappare via il Velo di Maya. Una vita di paura e nella paura non può definirsi vita. Sin dal primo momento ho elaborato la convinzione di una necessaria convivenza con il problema in un’ottica di lungo periodo. Da qui, la necessità di filtrare lo spavento attraverso il prisma del buon senso, per porre in essere comportamenti virtuosi capaci non solo di educare il cittadino al rispetto delle regole per il bene comune, ma altresì di spingere lo stesso a proseguire nella sua quotidianità. Il sistema di potere politico istituzionalizzato deve ben comprendere che siamo di fronte ad una questione ancipite: da un lato il diritto alla salute, dall’altro il diritto al lavoro. Il paternalismo statale deve anche assumersi la responsabilità di sostenere il cittadino limitato nei suoi diritti costituzionali. L’informazione deve essere chiara e precisa, scevra di quel “pathos apocalittico” che ogni giorno ci viene trasmesso nel vortice dei colori impostoci dall’alto. Il panico genera soltanto altro panico, e quando si tornerà lentamente alla normalità bisognerà fare un grande lavoro sulla psiche delle masse, che in questo triste periodo è stata messa a dura prova, allontanando le persone le une dalle altre, generando diffidenza nei confronti dei posti di aggregazione importanti come i centri sportivi, palestre e scuole di danza (che di converso si sono dimostrati i luoghi più sicuri). Ecco, bisogna piuttosto generare coraggio e buon senso negli individui. Solo in questo modo si può sperare in una ripresa sostanziale e non soltanto formale delle attività. Non va assolutamente trascurata la componente psicologica. Per questo motivo ogni giorno sono vicino ai miei studenti e ai miei allievi proponendo loro lezioni a distanza per mantenerli forti e sani nello spirito e nella mente. Lo faccio dal 10 marzo. E per ben due volte sono stato promotore di una raccolta fondi (“Il Pilates unito per gli italiani”) nel mese di aprile 2020 con tre colleghi (Tiziana Nardulli da Bari, Max Ratta da San Benedetto del Tronto e Mariagrazia Duonnolo da Caserta) per sostenere la ricerca e dare manforte ai nostri concittadini costretti a stare in casa durante il primo lockdown.

Mario Draghi non ha previsto per la sua compagine governativa un Ministero dello Sport. Crede che questa opzione possa incidere sulla decisione di dare il via, in assoluta sicurezza, alle attività sportive?

Ho un grande rispetto per il neoeletto Presidente del Consiglio Draghi. Tuttavia essendo lo stesso un economista ed un banchiere, temo che le sue priorità possano essere incentrate più sul quadrare dei conti, che sul “fattore umano”, di assistenza e sostegno di quelle categorie colpite dalla crisi e dalle scelte politiche. Non ci dimentichiamo che il “settore del benessere” è stato il più martirizzato di tutti. Se il focus sarà proiettato sulla ricerca del pareggio del dare e dell’avere, temo che ci aspetteranno periodi ancora più difficili. La mia speranza è di sbagliarmi. Ora come ora, l’assenza di un ministero “ad hoc” si rivela oltremodo scoraggiante, poiché come ho già enunciato, fa perdere un riferimento ed un intermediario fondamentale per uno dei comparti più traumatizzato per antonomasia. Le attività possono aprire se e solo la politica permette loro di farlo, e non solo fisicamente, ma altresì “moralmente”, creando le condizioni di fiducia ed un sentire comune nella società civile che comprenda o ricomprenda il valore del movimento e dell’attiva motoria. Aprire il 5 in queste condizioni è una “slot machine” in un flusso di “darwinismo masochistico” dove solo il più forte sopravvive, al di là di ogni principio di pari opportunità. Senza contare che: si sono venute a formare “isole virtuali” dove molti istruttori ed insegnanti si sono arroccati con una schiera più o meno folta di fedeli e talvolta impauriti allievi, molta gente ha investito su attrezzatura casalinga e il momento temporale che vede nel motto popolare “abbiamo fatto 30, facciamo 31” non è favorevole se si considera la vita fisiologica delle attività da settembre a giugno/luglio. La mia riflessione non ha la presunzione di farmi diventare l’Esopo del momento, ma la morale della favola appare ai miei occhi evidente. Se non si stabilisce una sinergia seria tra istituzioni e privati, la riapertura non avrà buon fine. Aprire su carta, in un “Termidoro pandemico” servirà solo a delegittimare il governo ad erogare gli aiuti che spettano alla categoria di diritto in uno stato di welfare. Se chi decide tentenna come Carlo Alberto allora è giusto prorogare un piano serio di aiuti che accompagni l’intero comparto fino a settembre 2021, fissando una data di apertura perentoria e inderogabile che possa anche servire a programmare le attività nella maniera più ortodossa possibile. Inoltre, e mi avvio alla conclusione, il 5 marzo se dovessero riaprire solo permettendo l’attività individuale o il cd “One to One” come si giustificherebbe la differenza di trattamento tra tutti i colleghi che invece vivono di collettive e nel collettivo? È chiaro che al governo spetta una grande responsabilità in questo senso, ma sono sicuro che un pizzico di buon senso in più, renderebbe gli animi meno irrequieti e il popolo più fiducioso nei confronti del sistema di potere politico istituzionalizzato. Far aprire e far leva sulla paura della gente è un paradosso malsano che il governo non deve assolutamente porre in essere. E far aprire per poi far richiudere è un errore che non possiamo permetterci più di fare.

In dieci sedute sentirete la differenza; in venti vedrete la differenza; e in trenta avrete un corpo completamente nuovo. Joseph Pilates sul metodo pilates. Cosa rappresenta per Lei questo particolare ed efficace metodo?

Il Pilates è un metodo di riequilibrio posturale, forza e tono muscolare, ma per me è innanzitutto “terapia”. Il Pilates è un ricco contributo alla cultura di tutti. Non esiste miglior modo che investire su stessi, sulla propria cultura mentale e fisica. Se dovessi pensare al Pilates come un investimento tout court in chiave “draghiana” (mi si permetta il gioco di parole) direi che esso è una garanzia. Provare per credere.

Quanto hanno inciso sulla sua formazione di istruttore di Pilates i titoli universitari conseguiti?

La cultura genera altra cultura. Seppur i miei titoli accademici non siano “pregnanti” del settore, essi tuttavia mi hanno permesso di avere un approccio più deciso sui miei studenti sotto il punto di vista pedagogico e della didattica. Credo fortemente che impartire un buon metodo di studio, saper studiare e come studiare sia fondamentale, soprattutto quando l’aspirante istruttore si avvicina a materie complesse come anatomia e biomeccanica, soltanto per fare un esempio. Nei confronti dei miei allievi, invece, come ho già detto prima, il Pilates è esso stesso un messaggio di cultura tout court. Non dimentichiamo la saggezza antica: mens sana in corpore sano. Io voglio essere questo per chi mi segue: un messaggio di cultura continuo e costante.