Malattia a seguito di trasfusione

Malattia a seguito di trasfusione

11 Febbraio 2020 0 Di Avv. Corrado Riggio

In caso di contagio del paziente per somministrazione di sangue infetto, la responsabilità ricade non sul medico operatore ma sul reparto di ematologia.

 

La Suprema Corte di Cassazione, Sezione terza civile, con Sentenza recante n. 25764 del 2019 ha sostenuto che non spetta al primario di chirurgia, né tanto meno al chirurgo operatore effettuare direttamente il controllo sul sangue, né la regolare tenuta dei registri o la verifica della preventiva sottoposizione a tutti i test sierologici richiesti dalla legge per le sacche di sangue trasfuse, in quanto si tratta di controlli di competenza del centro trasfusionale, il quale trasmette al reparto richiedente le sacche di sangue e plasma regolarmente etichettate, il che lascia presupporre la tracciabilità del donatore come risultante dai registri alla cui tenuta è obbligato il centro trasfusionale, ed il contestuale superamento dei test obbligatori.

Occorre tenere distinte, quindi, le annotazioni che devono comparire sulla cartella clinica, di competenza dell’equipe chirurgica, e le annotazioni che devono comparire sulle sacche di sangue, di competenza del servizio ematologico dell’ospedale. La mancata annotazione sulla cartella del superamento degli esami sierologici non può essere considerato come elemento idoneo a ritenere il chirurgo somministrante responsabile per il contagio, in quanto questo controllo ricade sul centro trasfusionale interno.

Pertanto, la Suprema Corte ha, in maniera chiara ed esaustiva, affermato che in una struttura sanitaria organizzata in una pluralità di reparti, ove esiste un responsabile del reparto di ematologia e del servizio trasfusionale, ciò che compete al chirurgo operatore (sul quale vigila il primario del reparto) è acquisire preventivamente la disponibilità del sangue che può essere necessario per una operazione seguendo i protocolli in uso all’interno della struttura in cui opera, indicare sulla cartella clinica gli elementi indispensabili per individuare in primo luogo se c’è stata trasfusione, in caso affermativo, verificare ed indicare in cartella che il gruppo sanguigno del paziente sia compatibile con il gruppo sanguigno del donatore – quest’ultima verifica obbligatoria prima di procedere alla somministrazione del sangue – e riportare sulla cartella gli elementi identificativi della singola sacca di sangue somministrata.

Quindi, alla luce di ciò, il Supremo Collegio ha ribadito che non spetta né al primario di chirurgia né tanto meno al chirurgo operatore effettuare direttamente il controllo sul sangue, né la tenuta dei registri o la verifica della preventiva sottoposizione a tutti i test sierologici richiesti dalla legge delle sacche di sangue trasfuse, poiché trattasi di controlli di competenza esclusiva del centro trasfusionale. Alla luce di ciò, afferma sempre la Corte, occorre tenere distinte le annotazioni che devono comparire sulla cartella clinica, di competenza dell’equipe chirurgica e le annotazioni che devono comparire sulle sacche di sangue, di competenza del servizio ematologico dell’ospedale.

Da tutto quanto sopra detto, deriva che la mancata annotazione sulla cartella del superamento degli esami sierologici non può essere elemento idoneo a ritenere il chirurgo somministrante responsabile per il contagio, in quanto questo controllo ricade sul centro trasfusionale interno. Solo il responsabile dell’acquisizione del sangue, cioè il primario di ematologia, responsabile del centro trasfusionale, può essere considerato responsabile della non completa compilazione della scheda di ciascuna sacca di sangue o della mancata esecuzione da parte del centro da lui diretto, dei controlli previsti dalla legge o della mancata annotazione sulla sacca delle indicazioni previste dalla legge.

Infine, sempre in detta Sentenza, la Cassazione ha riconfermato anche il solco tracciato della responsabilità extracontrattuale del Ministero della Salute per violazione dei suoi obblighi di vigilanza in ordine alla somministrazione di sangue per uso terapeutico, prova che può essere fornita sulla base della regola della preponderanza dell’evidenza che la contrazione di una determinata patologia fosse dovuta appunto alla somministrazione di sangue o di emoderivati infetti.