Luigi Tabita: “Il teatro è la mia famiglia”

Luigi Tabita: “Il teatro è la mia famiglia”

4 Ottobre 2023 Off Di Rita Lazazzera & Pasquale Maria Sansone

A che età ha scoperto di possedere il sacro fuoco per l’arte. Una scoperta autonoma o, per così dire, indotta?

Non c’è un giorno che non abbia detto “voglio fare l’attore”, credo di esserci nato; ho sempre creato compagnie con i miei amici sin dalle elementari… scrivevo testi, parodie e poi, durante le feste, le rappresentavamo.

Nella mia famiglia si è sempre respirato amore per l’arte. Il mio bisnonno Mario fu un caratterista e lavorò anche con Pirandello.

Mi ricordo che, sin da piccolo, mia madre mi metteva sul divano per farmi stare buono e invece di mettermi le videocassette della Disney mi faceva vedere il teatro di Eduardo ed io ero entusiasta di tutto ciò… infatti dico sempre che sono cresciuto “a pane ed Eduardo”.

Poi è arrivato il mio abbonamento a 8 anni allo Stabile di Catania dove potevo ammirare tutti i grandi nomi del teatro Albertazzi, Moriconi, Proclemer, Melato, Calindri… 10 anni di abbonamento sono stati la mia vera scuola; ho imparato tantissimo da quello, oggi me ne rendo sempre più conto.

Pur avendo la recitazione in comune il linguaggio teatrale e quello cinematografico risultano diversi. Quale dei due linguaggi è più nelle sue corde visto che ha maturato esperienze sia nell’uno che nell’altro fronte?

Non faccio nessuna distinzione tra cinema tv e teatro…

Sino adesso le proposte più interessanti che mi permettono di fare personaggi diversissimi mi sono arrivate solo dal teatro e per questo motivo lo faccio sempre con entusiasmo. Perché io

ho scelto di fare questo mestiere per vivere altre vite ed il teatro me lo ha permesso.

Ma spero arrivino presto anche belle proposte dal cinema o dalla tv, dove invece mi propongono sempre gli stessi ruoli malavitosi. (ride)

Lei ha maturato esperienze con attori di primo piano del panorama nazionale. Sicuramente si creano rapporti diversi a seconda delle sintonie che si riescono a creare, con quale di essi, senza far torto agli altri si è venuta a creare un’intesa particolare?

Il teatro è la mia famiglia. Finita le tournée cerco sempre di sentire i miei colleghi con cui ho diviso la scena perché a tutti devo molto, tutti mi hanno insegnato qualcosa dai grandi come Mario Scaccia, Irene Papas, Michele Placido, Giulia Lazzarini, Laura Marinoni a Enzo Vetro o Roberto Latini.

Il teatro, cosiddetto impegnato, viene ritenuto un genere riservato a piccole oligarchie del pensiero. Lei è d’accordo?

Non sono d’accordo. Come mi ha insegnato la mia docente di storia del teatro alla scuola d’arte drammatica dello stabile di Catania, esiste solo un teatro fatto bene e uno fatto male. Non ci sono gerarchie di generi.

Ed il pubblico lo percepisce. Se uno spettacolo “impegnato” ha la sala vuota è perché è brutto non perché è “impegnato”.

Le sue origini siciliane, rappresentano sicuramente un bagaglio culturale non indifferente. Basti pensare agli antichi teatri greci. Cosa hanno rappresentato queste radici per lei?

Io sono siciliano doc, e vivere in questa terra è una vera fortuna. Dovunque guardi respiri arte e cultura e ne vieni influenzato.

Tutto di tutto il patrimonio dei tragici, di Pirandello, Verga, Sciascia, Bufalino, mi rendo conto come ne sono intriso, anche involontariamente.

Ognuno di noi nasconde un sogno nel cassetto. Se per lei la parola scaramanzia è priva di significato, vuole raccontarci il suo?

Tanti sogni li ho già raggiunti e per gli altri… beh… vi aggiorno nella prossima intervista!