La storia si ripete: pandemie, paure ancestrali e untori
6 Ottobre 2024I pittori furono un tramite, il racconto di un passato. Sono la memoria, la certezza della identità che ci caratterizza. Narrarono avvenimenti ed emozioni. Rappresentarono la fede e le grandi opere, le guerre e le pandemie in una varietà di colori ed espressioni che, ancora oggi, lasciano stupefatto l’osservatore.
Era l’anno 1478 quando si diffuse una grave pestilenza nella città di Venezia dove Antonello da Messina pittore aveva abitato qualche anno prima. La sua opera “Il martirio di San Sebastiano” è una lettura di quel periodo storico caratterizzato dalla morte nera. Quando la città non ascoltò più i mottetti dei cantori in San Marco ma fu preda degli artigli di una danza macabra che risuonò, da allora, nei vicoli puntuti e nei calli veneziani fino ad essere scritta nel libro della storia e interpretata, anni dopo, da Camille Sant Saens. Una composizione musicale, un’allegoria del dolore e della morte pandemica. San Sebastiano, scolpito in un corpo perfetto, sale sul palcoscenico di un avvenimento che si ripeterà nel tempo. La cornice è un mondo apparentemente distante, indifferente, un angolo di comari che s’incontrano per strada e sui balconi dei palazzi adornati di tappeti preziosi esposti dal popolo dei credenti come nella festa del Corpus Domini. In questa indifferenza, coronata da un cielo azzurro e di poche nuvole lattescenti, San Sebastiano legato a un legno ( di legno è la Croce di Cristo) ha un’espressione rassegnata, invulnerata al dolore, una didattica che dice:” non c’è fede senza rassegnazione”. Esprime il colloquio profondo con il Dio che attrae tutto a sé e che geloso lo sottrae all’uomo del martirio, al dolore degli strali conficcati sulla giovane carne.
Le frecce inflitte sono le stesse scagliate dalla peste nera di Artur Bocklin e per assonanza faranno di San Sebastiano patrono della peste e ne affiancheranno la figura e la devozione a quella di San Rocco. Egli diventa protettore di un mondo indifeso, sprovveduto ed empirico, notturno e spettrale, arido terreno di un’apocalisse annunciata ma disattesa da un giorno nuovo oltre l’anno mille, in un uomo nuovo non rassegnato agli effetti distruttivi e sconvolgenti del fanatismo, del dolore e della morte.
Da Venezia a Milano, da nord a sud le epidemie non conoscono confini o pietà. Don Rodrigo “scoprì sotto l’ascella un sozzo bubbone di un liquido paonazzo”. Nell’ agonia infestata dai fantasmi della sua mala coscienza sarà tradito dal Griso suo confidente e guardia del corpo. Sarà un uomo solo, bruciato dalla febbre, terrorizzato dalla morte e dai famelici monatti che lo porteranno con violenza e contro la sua volontà a morire nel lazzaretto. Pochi giorni dopo sarà il Griso a contrarre e morire di peste.
Di quante epidemie è la vita… l’ultima l’abbiamo vissuta sulla nostra pelle con il Covid19. Quello che si disse della peste potremmo tradurlo nelle fake news di oggi. Ma come sempre accade nelle calamità se si assiste da un lato a «una sublimazione di virtù», dall’altro si registra «un aumento, e d’ordinario ben più generale, di perversità. I furfanti approfittano del disastro generale”.
La storia si ripete… Come allora si parla di cielo e terra, dell’influsso di comete, di condotte peccaminose, di streghe e fattucchiere e di turpi monatti. Renzo dei Promessi Sposi strisciando sotto palazzi per ripararsi dalla pioggia fu accusato di attaccare il contagio alle loro mura e divenne un untore. La ricerca e la scienza scoprono i vaccini ma, per il popolo dei no-vax, lucrano sui vaccini e diffondono la pandemia. Si ripete con toni e intensità diversa la storia della Colonna Infame un’appendice del romanzo di Alessandro Manzoni. L’apoteosi dell’ingiustizia, della delazione e della tortura, della relatività che condanna a morte tra atroci tormenti, il cerusico e un addetto del tribunale della sanità. E, oggi, sono toni diversi ma si materializza una profonda ostilità degli uno verso quanti sono impegnati contro virus e malattia. La certezza nella ricerca scientifica e in una diversa condizione di vita lasciano presagire che non accadrà come nel passato che «… con la perversità crebbe la pazzia».
(Giuseppe Ripamondi è lo storico della peste che devastò Milano nel biennio 1629-1630.)