Il caso Kamila Valieva: una riflessione

Il caso Kamila Valieva: una riflessione

17 Marzo 2022 0 Di Carlo Alfaro*

Il caso– La vicenda dell’adolescente russa campionessa di pattinaggio artistico su ghiaccio incappata nel doping alle Olimpiadi di Pechino di febbraio 2022 è nota ai più per l’enorme risalto internazionale che ha avuto. La 15enne Kamila Valieva prima delle Olimpiadi cinesi era universalmente riconosciuta come la pattinatrice più forte della sua generazione, un fenomeno dello sport che si stava imponendo quale astro nascente mondiale del pattinaggio artistico sul ghiaccio. La sua carriera folgorante – vincitrice del titolo nazionale russo, campionessa europea, detentrice del record del mondo nel punteggio totale – ha subito un tragico arresto quando è risultata positiva a un controllo antidoping eseguito il 25 dicembre scorso, durante i Campionati nazionali a San Pietroburgo. Il risultato ufficiale è arrivato solo il 7 febbraio, mentre l’atleta stava disputando i Giochi olimpici invernali di Pechino, nei quali appena il giorno prima aveva vinto la sua prima medaglia d’oro nella prova a squadra (team event) del pattinaggio artistico, prima pattinatrice della storia ad eseguire un salto quadruplo alle Olimpiadi. La premiazione è stata rinviata a tempo indeterminato e tutt’ora non è stata mai effettuata. In seguito alla comunicazione della positività, il Comitato olimpico russo aveva sospeso Valieva come da regolamento, salvo poi sospendere il provvedimento dopo il ricorso presentato immediatamente dai legali dell’atleta. Ma il Comitato internazionale olimpico (Cio) e l’agenzia indipendente che si occupa dell’antidoping a Pechino hanno presentato a loro volta ricorso al Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna contro la revoca della sospensione. Riammessa alle gare con riserva (in caso di medaglia, non sarebbe stata ugualmente premiata e accanto al suo nome sarebbe rimasto un asterisco) la ragazza, sottoposta alla violenta pressione dello scandalo, ha manifestato un drammatico crollo psicologico. In allenamento ha commesso numerosi errori ed è stata vista piangere in diverse occasioni. Nella gara decisiva, il programma libero di pattinaggio artistico individuale, dove veniva data per grande favorita per l’oro, ha fornito una prova disastrosa, non riuscendo a conseguire nemmeno il bronzo. La sua danza sulle note del Bolero di Ravel, uno dei suoi cavalli di battaglia, è stata costellata da ben tre cadute, da pattini appoggiati a terra, da timori e titubanze. Una perfomance inimmaginabile per un’atleta così giovane ma già così formata. La scorata desolazione della ragazzina e le sue lacrime disperate sono state un pugno nello stomaco per la platea mondiale, che ha assistito agghiacciata alla sua mortificazione fronte alla apparente freddezza del suo entourage tecnico.

La protagonista – Kamila, bellissima, carismatica e di talento, è una superstar della sua disciplina, definita dai media con appellativi roboanti quali “la piccola dea del ghiaccio”, la “golden girl del pattinaggio di figura” o “la regina bambina sui pattini”. “Miss Perfect” è invece il soprannome che le hanno affibbiato i suoi oltre 530 mila follower su Instagram. La ragazza prodigio era la presenza più attesa del pattinaggio di figura alle Olimpiadi in Cina, dopo aver trionfato agli ultimi Europei di Tallinn, il 15 gennaio. Lì, al suo primo grande appuntamento internazionale, aveva incantato il mondo mettendo in scena una prova fatta di prodezze, salti difficili eseguiti in maniera perfetta e con inarrivabile eleganza, spettacolari evoluzioni sui pattini. La sua superiorità schiacciante sulle avversarie l’aveva fatta incoronare come una fuoriclasse che, così giovane, stava riscrivendo la storia della sua disciplina.  

Il farmaco – La sostanza rinvenuta nel sangue della campionessa è la trimetazidina. Si tratta di un farmaco utilizzato nel trattamento dell’angina pectoris per la sua azione anti-ischemica. È stata inserita dal 2015 dal Codice mondiale antidoping nella categoria “S4” della lista dei farmaci vietati (Modulatori ormonali e metabolici), in quanto, aumentando il flusso coronarico e potenziando l’afflusso ematico nei muscoli, migliora la resistenza alla fatica e agli sforzi, e pertanto proibita dalla WADA (agenzia mondiale antidoping). I legali di Kamila nella difesa avrebbero sostenuto che avrebbe inconsapevolmente assunto tracce del farmaco utilizzato dal nonno per una fortuita e involontaria condivisione di bicchieri.

Le conseguenze– Il nome di Kamila avrebbe dovuto restare segreto, come prevede il regolamento sugli atleti under 16, ma i media si sono impadroniti della notizia. Per la giovane età (minore di 16 anni), la ragazza non può essere imputata o sanzionata, in quanto, in base al codice WADA, è da considerare “persona protetta”. La bufera del caso ha alimentato lo scontro tra Cio e Russia, da anni sotto il mirino delle autorità antidoping mondiali per le sue pratiche illecite e già attualmente condannata a due anni per doping di Stato e in gara ai Giochi senza bandiera né inno. La responsabilità di quanto accaduto non è certo dell’adolescente: una ragazzina non può doparsi da sola. Sono gli adulti che dovevano tutelarla e invece l’hanno esposta alla gogna che vanno messi sotto accusa. In particolare è nel mirino Eteri Georgievna Tutberidze, la sua capo allenatrice, una regina del pattinaggio di figura a livello mondiale di 47 anni, severa, gelida, che non si affeziona ai suoi allievi perché “altrimenti non rendono”. Si dice di lei che troppe sue allieve abbandonino troppo presto la carriera sportiva. Tutta la vicenda ha portato il Cio a riflettere sulla opportunità di imporre un limite di età – minimo di 17 anni – agli atleti che prendono parte ai Giochi olimpici. Molti sostengono che non sia questa la giusta strada per evitare le enormi pressioni esercitate sui giovani atleti per farli emergere, compreso l’uso di mezzi illeciti, ritenendo piuttosto più opportuno sanzionare con maggior vigore le persone coinvolte. Ma forse l’aspetto davvero più importante è quello del rispetto che si deve a una ragazza di soli 15 anni, ai suoi sogni, ai suoi sacrifici, alle sue emozioni. Che prima che essere atleta è un essere umano e per di più poco più di una bambina. Una ragazzina che ha pagato a caro prezzo colpe non sue, vittima di giochi più grandi di lei.

Riflessione – Lo sport è una “buona medicina” per bambini e ragazzi, ma gli adulti devono fare attenzione a non inculcare nel giovane la “sindrome del campione”, caratterizzata da esasperata competitività, allenamenti intensivi poco rispettosi delle esigenze fisiologiche per l’età, assunzione di integratori di dubbia sicurezza (fino al doping) o regimi alimentari incongrui, ansia, instabilità dell’umore, narcisismo, egocentrismo. Gli adulti non devono cadere nella trappola di proiettare nei figli le proprie ambizioni e desideri di rivalsa. Devono sempre considerare che per i giovani lo sport deve essere piacere, socializzazione e divertimento e non ossessione e agonismo, anche perché lo stress causa alla lunga demotivazione, abbandono e rifiuto dell’attività sportiva. Ai ragazzi che fanno sport, a qualsiasi livello, va chiarito che un fallimento non significa una sconfitta personale e che il proprio valore di individuo non si misura dai successi riportati.