Gridare per “salvarsi la pelle”

Gridare per “salvarsi la pelle”

12 Febbraio 2019 0 Di Tiziana Urciuoli

Quando il malato è costretto ad urlare per ottenere il diritto alla salute, significa che il processo di umanizzazione della cura è stato completamente smarrito.

Si parla tanto, ed a giusta regione, di violenza sugli operatori sanitari impegnati nei Pronto soccorso degli ospedali campani. Un fenomeno deprecabile e grave che va condannato senza appello.

Si parla troppo poco, però, di quelle piccole, grandi violenze, altrettanto esecrabili, consumate, tranne rare eccezioni, lontane dalle “luci della ribalta”, che toccano i pazienti che si rivolgono alle strutture sanitarie per ricevere una prestazione.

Sempre più spesso, infatti, assistiamo ad atteggiamenti di insofferenza e di intolleranza verso il pubblico da parte di   operatori addetti proprio all’assistenza pubblica. Il fenomeno si registra principalmente nel settore pubblico anche se   quello privato non fa eccezione. È notizia recente, tanto per fare un riferimento concreto, di una serie di lamentele da   parte di assistiti al pronto soccorso dell’ospedale di Avellino.

È risaputo che il personale è ridotto all’essenziale in settori che meriterebbero più attenzione ma questo non giustifica   la mancanza di umanità che dovrebbe contraddistinguere professioni come queste. Essere medici, infermieri o   semplici assistenti sanitari vuol dire “essere Umani” con la U maiuscola.

L’ennesimo episodio di “maldestra sanità” si è registrato ieri mattina nel pronto soccorso dell’ospedale Moscati. Code   interminabili, gente in fila per ottenere assistenza, pazienti in preda al panico, tutto dietro l’algido distacco, per meglio   dire, l’indifferenza di chi è all’accettazione.

Personale stanco, distante con atteggiamenti polemici e a volte arroganti. Eppure, chi arriva in pronto soccorso, è   ovvio che sta male e che cerchi aiuto non solo medico, ma anche morale. Diversi i pazienti che questa mattina   accusavano dolori al petto, sintomi che spesso fanno presagire l’infarto. Bisognava stare ordinati in silenzio e   rispettare la fila? Scusate, ma l’infarto rispetta la coda? Rispetta il turno? Soprattutto in assenza di una normale e   tranquillizzante spiegazione.

E così i familiari del malcapitato hanno dovuto fare la voce grossa per farsi assistere, solo così l’addetta all’   accettazione ha lasciato la sua sedia e ha prestato la dovuta assistenza. Vergogna. Ancora una volta dobbiamo   ammettere che siamo messi davvero male se anche per essere assistiti ci vuole il santo in paradiso o un   comportamento autoritario alzando la voce per pretendere servizi che sono invece dovuti. A questo punto, il nostro   appello va al direttore generale dell’ospedale: direttore non basta aumentare il salario, bisogna formare personale   qualificato all’accoglienza con le giuste doti di empatia che si addicono a tale professione.