“Fiutare il Parkinson”

“Fiutare il Parkinson”

17 Settembre 2020 0 Di Luigi De Rosa

Il progetto trae ispirazione dall’incredibile capacità olfattiva di Joy Milne, che per prima ha notato come chi è affetto da questa malattia emana un particolare odore.

 

Fiutare il “Parkinson”, a fior di pelle, proprio come farebbe un segugio, a molti di voi potrebbe sembrare un’affermazione alquanto eccentrica, eppure è quanto stanno tentando di fare da qualche tempo i ricercatori dell’Università di Manchester, che hanno sviluppato un “naso elettronico” per scovare i segnali spia della malattia presenti nel sebo della cute. Il progetto inglese chiamato “NoseToDiagnose” trae ispirazione dall’incredibile capacità olfattiva di Joy Milne, un’ex infermiera scozzese che per prima ha notato come i malati di Parkinson emanano un particolare odore muschiato, che aumenta d’intensità con l’avanzare della malattia. Sembra più il plot di una nuova serie tv che una vicenda reale invece effettivamente grazie alle capacità olfattive fuori dalla norma di Joy Milne, i ricercatori britannici sono riusciti a identificare le molecole responsabili di questo fenomeno olfattivo, e hanno “addestrato” il loro dispositivo a riconoscerle. Sapremo qualcosa di più sulla sua efficacia entro il 2022, quando dovrebbero essere conclusi i test su tutti i pazienti. Intanto anche in Italia si è fatta strada l’ipotesi di future diagnosi cosiddette “a pelle” di questa malattia neurodegenerativa, come dimostra uno studio pubblicato sulla rivista “Brain” dall’Università Statale di Milano in collaborazione con il Centro Parkinson dell’Ospedale Gaetano Pini – CTO e la Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson. I ricercatori italiani hanno scoperto che le terminazioni nervose nella cute dei pazienti presentano aggregati di Alfa-sinucleina, la proteina difettosa che solitamente si accumula nel cervello a causa del Parkinson. Questi aggregati potranno essere utili per diagnosticare e monitorare i pazienti nel tempo con una semplice biopsia della pelle, ma non solo: la loro presenza rafforza anche l’idea che il Parkinson insorga alla periferia del sistema nervoso e che si propaghi solamente in un secondo momento al cervello, scatenando gli effetti che conosciamo.