Fiorenza Taricone, la storia è una lotta fra il bene ed il male

Fiorenza Taricone, la storia è una lotta fra il bene ed il male

14 Dicembre 2022 Off Di Rita Lazazzera & Pasquale Maria Sansone

La storia dei nostri giorni è diventata sempre più di difficile interpretazione, tanto che in molti casi assomiglia sempre più alla trama di una tragedia shakespeariana dai contorni foschi di cui si intuisce il tragico epilogo. Di storia e società parliamo con Fiorenza Taricone, professoressa di “Pensiero politico e questione femminile” di recente diventata Rettore Vicario dall’Università di Cassino e Lazio Meridionale.

Innanzitutto, le formuliamo i migliori auguri per il prestigioso incarico di Rettore Vicario dell’Università di Cassino e Lazio Meridionale; partiamo proprio da questa nomina per formulare la prima domanda: è proprio vero che le donne in carriera raggiungono traguardi importanti con maggiore difficoltà rispetto agli uomini?

Grazie degli auguri per l’incarico universitario e proprio perché studio una materia complessa come la questione femminile preciso che la mia carica va coniugata al femminile, cioè Rettrice Vicaria; ancora e diffusamente si alleva e di educa secondo una rigida distinzione di sesso, che si esplicita nell’abbigliamento, nei giocattoli, nelle scelte sportive; si educa cioè ad adeguarsi alla differenza di sesso, mi chiedo quindi come mai sia ritenuto normale che persone di sesso femminile debbano essere appellate al maschile; se si nomina una carica al maschile, io mi aspetto un uomo e viceversa. Comunque, la nomina è arrivata a fine carriera, ma ne sono comunque molto orgogliosa, non tanto perché si tratta di un riconoscimento ad personam, ma perché va oltre la mia persona; ritengo infatti che si tratti di un riconoscimento a campi del sapere e alle politiche paritarie che porto avanti da anni, in Università, sul territorio e all’estero. E vengo quindi alla prima risposta: è del tutto vero che le donne in carriera raggiungono i traguardi incontrando maggiori difficoltà. Va precisato però che quando si parla di lavoro femminile vanno tenuti presenti due ordini di difficoltà: il primo non riguarda tanto traguardi verticali, ma le difficoltà di trovare per molte giovani oggi una occupazione soddisfacente, che le renda autonome, che magari sia corrispondente al loro titolo di studio o che non le costringa ad andare all’estero per non fare ritorno. Non parliamo più certamente di emigranti con la valigia di cartone, ma il concetto è sempre quello di dover emigrare a causa di bisogni e aspettative non riconosciuti in patria. Esistono poi ruoli apicali, carriere verticali e le difficoltà non sono le stesse, ma le trappole esistono comunque. Persiste una logica dimostrativa per le donne, cioè il volere e dovere dimostrare il merito, la bravura, la competenza, mantenere sempre un equilibrio nei rapporti lavorativi che non dia luogo a screzi e ostilità, ma neanche eccedere nel cameratismo, che fa nascere altri sospetti, distinguere fra misoginia maschile e femminile, non essere eccessivamente cooptate, per la mancanza di autonomia che ne deriva.

In un momento in cui la Storia ci presenta uomini politici improbabili sia a livello nazionale che internazionale, Lei che è un’esperta della materia politica come spiega questo deplorevole appiattimento verso il basso?

Io penso che l’Italia abbia compiuto due rivoluzioni valoriali: il Risorgimento e la Resistenza. Inutile ricordare quanto alla base non ci fossero tanto motivazioni economiche quanto spinte vicine ad un sostantivo ormai considerato desueto, gl’ ideali. La spinta iniziale era destinata ad esaurirsi e questo è avvenuto anche negli anni posteriori alla nascita della Repubblica democratica; all’onestà è spesso subentrata la furbizia, allo sforzo collettivo la prevalenza dell’interesse individuale, al senso del dovere una certa esasperazione dei diritti, un narcisismo che il web ha esacerbato. Informare è una cosa, studiare e riflettere è un’altra. Alle giovani generazioni è stato insegnato che tutto è facile come un click, peccato che invece viviamo nell’era della complessità. Il voto alle donne e di conseguenza l’accesso alle cariche politiche è stata la grande novità della Repubblica, ma non è stato facile recuperare un ritardo di duemila e passa anni; di democrazia paritaria in fondo se ne parla da pochissimo, e ancora prima le quote sono servite anche a consolidare reti familiari, in cui la politica come bene comune c’entrava assai poco. Non si possono pretendere miracoli dalle donne dipendenti come gli uomini dai sistemi elettorali, dalle logiche partitiche, da meccanismi del potere all’interno dei quali si deve comunque entrare per provare a forzare le logiche che non funzionano più. In ogni caso, non ho mai pensato che le donne fossero un sesso con pretese di superiorità rispetto agli uomini, affatto complementari, diversi, con il riconoscimento di diritti e doveri diversificati. 

Un tempo le nuove classi dirigenti si formavano attraverso le scuole di partito. Oggi si diventa ministri della Repubblica senza aver maturato neppure un incarico di Consigliere comunale …

Mi sembra evidente che la perdita di senso valoriale ha trascinato con sé anche il significato stesso della politica; sono anni che molte persone affermano senza alcun pudore che non sapendo che altro fare, si “buttano” in politica; per le Costituenti e le parlamentari uscite dalla guerra, la frase era rovesciata: “salivano” in politica e ne erano onorate. È curioso da parte degli italiani e lo spiego in gran parte con livelli d’ignoranza abissali, un vero e proprio analfabetismo di ritorno; quando si tratta di salute si paga qualunque cifra dai luminari di turno, mentre si accetta che al governo della cosa pubblica, definito anche corpo politico, accedano persone prive di ogni nozione. Come far praticare un intervento difficilissimo e complesso a chi non sa usare alcun tipo di strumento, talvolta, il che è peggio, anche con la presunzione che gli spetti. Evidentemente la gavetta è ancora importante, ma per assurdo non nella politica che ci governa tutti e tutte.

Come e quando è successo che la Sinistra si è disarticolata dal suo elettorato naturale, finendo per cedere il passo alla Destra?

Questa domanda è talmente complessa da non poter essere esaurita certo in queste righe. Posso accennare ad alcuni fattori, per esempio che l’identità va sempre ridiscussa e mantenuta, che la sinistra deve tener d’occhio le tante anime che l’hanno sempre caratterizzata, e che possono diventare centrifughe, che l’essere umano è tendenzialmente egoista e conservatore, quindi alla sinistra si presenta un compito non facile, che la base, spesso più a sinistra del partito che la rappresenta,  va ascoltata, che bisognava lottare contro la nefasta convinzione che non esisteva più destra e sinistra, e infine che alcune fusioni fredde come quella che ha fatto nascere il PD non funziona, perché la politica è fatta anche di sentimenti. Anche l’astensionismo è un sentimento, infatti, composto da delusione e sfiducia.

Il ritorno dell’estremismo di destra, non solo in Italia ma un po’ in tanti paesi europei, significa che la Storia non ha insegnato nulla, oppure che esiste un disegno preordinato che facendo rivisitare o dimenticare il passato offre il fianco a certi pericolosi ritorni?

La Storia è sempre stata per me il teatro di una lotta fra il bene e il male, e l’alternarsi fra la sinistra e la destra è un aspetto di questa lotta. I segnali sono stati ignorati, a partire soprattutto dai giovani con l’ignoranza di fatti fondamentali, come le caratteristiche delle destre che sono ovunque le stesse: élites che disprezzano i bisogni della massa, la convinzione che le guerre anche coloniali siano indispensabili, il razzismo che divide il mondo in etnie e razze inferiori, e non. Probabilmente non sapremo in tempi rapidi dell’esistenza di un complotto, però l’attacco alla conoscenza della storia nelle scuole, con la riduzione dei programmi, l’annientamento dello spirito critico con la dipendenza dal web, la misoginia che fa passi da gigante sulla rete, la riduzione della presenza femminile di nuovo principalmente a corpo, la confusione per i giovani ma anche per gli adulti fra reale e virtuale non mi sembrano affatto casuali. Per i giovani soprattutto ha giocato negativamente la distruzione del senso del tempo; prospettando un futuro incerto e disconoscendo il passato è rimasto loro un eterno presente, quello che offre il web. Il risultato finale è sempre quello di avere un pacifico gregge a disposizione.