Daniele Paternò, la psiche dei bambini nell’era del Covid

Daniele Paternò, la psiche dei bambini nell’era del Covid

16 Agosto 2020 0 Di Anna Mozzi e Pasquale Maria Sansone

Il vissuto dei bambini durante il lockdown, il cambiamento del sistema Scuola – Famiglia, i genitori come mediatori didattici, la didattica a distanza e le sue implicazioni. Queste le tematiche, che affronteremo con Daniele Paternò, psicologo-psicoterapeuta (specializzato in Psicoanalisi di Gruppo), Insegnante di Sostegno nella Scuola Primaria, Coach professionista e operatore PNL (Programmazione Neuro-Linguistica).

In che modo Daniele Paternò, in qualità di uomo, psicologo ed insegnante, ha vissuto la paura della pandemia e la necessaria lunga clausura?

Le mie prime preoccupazioni sono state quelle rispetto alla salute e alla qualità della vita. Prima del lockdown, ammetto di avere preso un po’ sottogamba l’entità di questa patologia infettiva. Successivamente, oltre a quanto appreso dai media, si sono verificati alcuni eventi che mi hanno fatto cambiare radicalmente idea: mi riferisco al ricovero di un mio amico per infezione da Corona virus e all’improvvisa mole di lavoro che ha travolto una mia amica infermiera, perché il suo reparto era stato letteralmente preso d’assalto. Inevitabilmente, l’idea di questo nemico invisibile si è annidata anche nella mia mente, ma senza lasciarmi prendere dal panico mi sono attenuto a alle regole e a alle precauzioni, riconoscendone in pieno l’utilità. Ne ho anche approfittato per dedicarmi alla mia attività di cantautore che svolgo per hobby, scrivendo nuovi pezzi.

Osservando la situazione dalla mia ottica professionale, ho pensato alle ripercussioni sull’equilibrio psicofisico di tutti noi. È stato inevitabile ricorrere al lockdown per contenere la diffusione del virus, allo stesso tempo c’erano altri fattori da considerare. Diversi studi dimostrano gli effetti dell’attività fisica all’aperto sull’umore e sulle nostre difese immunitarie, pertanto il mio timore è stato quello che si venisse a creare un’ulteriore vulnerabilità nel nostro organismo. Ma le soluzioni non mancano: infatti ho partecipato a delle iniziative da parte di professionisti che hanno proposto dei meeting online per svolgere attività fisica in casa.

Un’altra considerazione che ho fatto riguarda la paura in generale: le situazioni minacciose provocano risposte automatiche, non mediate dalla riflessione. È evidente quanto una popolazione atterrita fosse più facile da manipolare, suggestionare, mettendo da parte il buon senso. Basta ricordare gli assalti ai supermercati per l’acquisto di alcune categorie di merce, creando disagi a catena. In questi casi, i media hanno una grossa responsabilità nel modo di veicolare le notizie: devono puntare sulla chiarezza, evitando di far perdere il contatto con la realtà.      

Nel ruolo di insegnante, i miei pensieri si sono rivolti subito alla mia classe con cui ci siamo lasciati…senza salutarci, non sapevamo che quel 25 febbraio (se non erro) sarebbe stato l’ultimo giorno di didattica in presenza. Essendo Insegnante di Sostegno, la mia preoccupazione si è focalizzata soprattutto sull’alunno diversamente abile che seguo ormai da tre anni, temendo che potesse perdere alcune competenze fin ad allora acquisite. Ma quando si è messa in moto la macchina della Didattica a Distanza, in collaborazione con il team docente, l’assistente specializzato e i genitori, ho fatto in modo che ciò non avvenisse.

Quali i vantaggi ed i limiti della didattica a distanza nell’insegnamento ai bambini?

In base all’esperienza con la mia classe e a quella riportata da colleghi, genitori e bambini, anche di altre scuole, ho potuto considerare diverse variabili in gioco.

In quel periodo, i piccoli studenti si sono cimentati in un modo diverso di fare didattica e le esperienze nuove generalmente favoriscono la flessibilità cognitiva, vale a dire la capacità di pensare in modi diversi da quelli abituali. Molti di loro, inoltre, hanno imparato a usare il computer e lo smartphone come strumenti di lavoro, non solo di gioco, familiarizzando con funzioni quali: scaricare e caricare un file ed altre ancora. Hanno scoperto Internet come fonte inesauribile di risorse utili per lo studio, per approfondire qualsiasi tipo di argomento.

Per certi versi, penso anche che la didattica on-line possa consentire un lavoro più organizzato, in quanto impone determinate regole che non sempre vengono seguite nella didattica in presenza. Mi riferisco, ad esempio, ai turni di parola: spesso in una classe i bambini non riescono a dilazionare le loro richieste e prendono la parola quando vogliono; sta all’insegnante riuscire a gestire la comunicazione in modo funzionale. Durante una video-lezione, quando più di due voci si accavallano il segnale audio automaticamente si disturba, per cui occorre chiedere il permesso in chat prima di accendere il microfono. Questa semplice regola, a mio avviso, è molto educativa: mette il bambino nelle condizioni di pianificare i propri interventi e di rispettare le esigenze dei compagni.

Ci sono poi aspetti innegabili di comodità che però possono rilevarsi un’arma a doppio taglio. I tempi necessari ai genitori e ai bambini per prepararsi e recarsi a scuola vengono drasticamente ridotti, perché ci si ritrova già nel posto di studio. Tuttavia, vengono a mancare aspetti fondamentali del setting scolastico, vale a dire il contesto abituale che l’alunno associa alla scuola. Pensiamo a quanti esercizi ginnici potremmo eseguire a casa ma non li eseguiamo. Eppure quando siamo in palestra siamo più invogliati a lavorare, vediamo gli altri che si allenano, ci sono le attrezzature che, anche se non utilizziamo, ci fanno pensare all’attività fisica. In aula è la stessa cosa: la lavagna, le cartine geografiche e i cartelloni spesso sono delle “ancore” (così come vengono definite in Programmazione Neuro-Linguistica) che consentono al bambino di entrare nella “modalità scuola”. A questo si aggiunge l’influenza reciproca dei compagni che studiano; la tendenza a imitare il comportamento degli altri permane per tutta la vita, ma è più persistente in tenera età.  A casa mancano molti di questi elementi, in più sono presenti diverse fonti di distrazione che di certo non aiutano.  

Bisogna anche considerare che nelle esperienze on line c’è un minore coinvolgimento sensoriale rispetto all’esperienza in aula; non a caso si continua ad andare ai concerti per godere della musica che si può ascoltare tranquillamente a casa.  

Ricordiamo inoltre che la visione prolungata dello schermo di un monitor o di uno smartphone è controproducente per la vista, per cui è necessaria una contrazione dei tempi di una lezione. Ciò spesso porta non solo a una sintesi dei contenuti, ma anche a un tempo ridotto per raccogliere i feedback di tutti gli alunni e per monitorare il loro apprendimento. Un padre mi ha riferito: – Se sei sveglio apprendi, se hai qualche difficoltà, c’è il rischio che tu rimanga indietro.

Un altro punto di criticità riguarda la frequenza che mi è sembrata piuttosto ridotta rispetto a quella in aula. Tra l’altro, proprio quegli alunni che facevano più assenze sono stati quelli che hanno partecipato ancora di meno alle attività, classificandosi come “dispersi digitali”. Alla luce di questo aspetto e di quello precedente, uno dei rischi è che il divario tra livelli di competenza tra alunni possa accentuarsi.

Per quanto riguarda gli alunni diversamente abili, la situazione è più variegata: dipende dal tipo di disabilità. In quasi tutti i casi, è necessario un maggiore coinvolgimento dei genitori che, nella fase iniziale, vanno un po’ “istruiti” su come guidare il proprio figlio nelle attività. Un aspetto interessante è che, attraverso questo tipo di collaborazione, diversi genitori hanno acquisito alcune competenze “filo-didattiche”, riuscendo a essere di supporto al lavoro svolto dall’insegnante.    

Al di là dei punti di debolezza che ho evidenziato, ritengo che la didattica a distanza rappresenti un valido strumento di supporto nelle situazioni di emergenza come quella che stiamo attraversando, in particolare le video-lezioni che consentono un contatto, seppur parziale, con gli insegnanti e i compagni. Le lezioni in aula sarebbero preferibili, ma se questa pandemia fosse scoppiata più di trent’anni fa, le risorse per proseguire la didattica sarebbero state di gran lunga inferiori, col rischio di una vera paralisi scolastica. La segnalazione delle criticità è sempre utile per aggiustare il tiro alla didattica a distanza nel futuro, qualora fosse necessario avvalersene.

Quali sono le sequele ed i postumi emotivi sull’adattamento dei bambini alla realtà, attesa la desocializzazione per la didattica da remoto?

Le reazioni sono varie: in generale ho notato una certa insofferenza e irritabilità, non a un livello tale da portare a condizioni irreversibili; si tratta di difficoltà dalle quali ci si può riprendere. Non per questo vanno sottovalutate, perché penso che i bambini siano stati messi a dura prova in quel periodo, e i motivi sono tanti.

Metterei la mancanza di movimento e di gioco in primo piano: basta andare in un parco giochi o assistere a una ricreazione per capire come queste esigenze siano di vitale importanza.  Purtroppo non tutte le famiglie dispongono di un giardino o di uno spazio aperto a cui accedere, per cui molti bambini sono stati costretti a limitare la loro libertà tra le quattro mura del proprio appartamento.

Anche nei casi in cui era possibile muoversi, l’assenza di contatto con i propri compagni è risultata frustrante per molti bambini. Il gruppo dei pari, così come viene definito, è di fondamentale importanza a questa età: i bambini si identificano a vicenda nelle interazioni con i coetanei e, attraverso questo confronto continuo, costruiscono alcuni tasselli fondamentali per lo sviluppo della propria identità. Alcuni sono riusciti a compensare questa mancanza avvalendosi delle videochiamate: si sono supportati a vicenda condividendo le esperienze di tutti i giorni, hanno fronteggiato così la noia. Altri hanno proprio evitato questo tipo di contatto: una madre mi ha riferito che i propri figli si sono rifiutati di chiamare i compagni, nonostante le continue sollecitazioni. Sicuramente, il lockdown ha costretto molti bambini a vivere il distacco da figure significative e non tutti sono in grado di gestire emozioni così forti come quelle relative alla mancanza, non tutti riescono a dire apertamente “Mi manchi”, piuttosto preferiscono “congelare” queste stesse emozioni.    

Nello specifico ambito scolastico, è saltato ai miei occhi un atipico calo nel rendimento in alcuni alunni, proprio quelli che erano brillanti durante la consueta didattica in presenza. Diversi sono stati i genitori a lamentarsi, perché i loro figli tendevano a svolgere le consegne con fretta e superficialità. Da quanto i genitori stessi mi hanno riferito, la mancanza di confronto diretto con gli insegnanti, l’assenza dei loro rinforzi e delle loro specifiche indicazioni demotivasse i piccoli studenti. Proprio in merito alla svogliatezza dei bambini, penso ci sia un’altra ragione di cui parlerò rispondendo alla domanda successiva.

Soffermandomi su alcuni disegni, sono rimasto colpito dalla stesura del colore: era piuttosto marcata, disomogenea e spesso usciva dai margini; ebbene, gli stessi autori prima del lockdown realizzavano prodotti grafici molto accurati. Ho notato questa differenza non in tutti i bambini, ma in coloro che, da quanto riferito dai genitori, stavano vivendo quel periodo con maggiore frustrazione. È anche vero che altri hanno trovato nel disegno una valvola di sfogo e un modo per rilassarsi; del resto non ci sono reazioni univoche agli eventi.

La scuola che s’incastona nella famiglia, che ricadute ha avuto nel sistema domestico?

Prima di rispondere vorrei fare una piccola premessa. Si parla spesso di alleanza educativa tra scuola e famiglie, tra insegnanti e genitori, questa alleanza deve essere basata sulla condivisione delle finalità, ossia il buon apprendimento dei piccoli discenti, e sulla complementarità dei ruoli. Ci possono essere delle piccole “contaminazioni”, è tipico che una maestra possa essere “un po’ mamma” e che un maestro possa essere “un po’ papà” in alcuni momenti: ci si può ritrovare ad allacciare le scarpe a un alunno o aprirgli una merendina. La stessa cosa vale per i genitori che diventano “un po’ insegnanti” quando supportano i figli nello svolgimento dei compiti a casa. Questa flessibilità di ruoli è quasi inevitabile perché i bambini non sono ancora autonomi né nello studio, né nella gestione dei propri comportamenti. Di certo, non è utile sconfinare nella sovrapposizione, perché desterebbe confusione; immaginiamo un’orchestra diretta contemporaneamente da direttori che muovono la bacchetta in tempi completamente diversi.

Ebbene, con la Didattica a Distanza probabilmente abbiamo assistito a una ridefinizione dei ruoli che ha portato a un vero cambiamento sistema scuola-famiglia. La scuola ha fatto irruzione nelle famiglie e i genitori sono stati caricati della funzione di “mediatori didattici”, ciò è qualcosa in più rispetto all’essere “un po’ insegnanti” della situazione ordinaria. Sono difatti mamma e papà quelli che effettuano l’accesso alle piattaforme, assistono alle lezioni on-line, guidano i figli durante lo svolgimento delle attività e gestiscono i problemi tecnici legati alla connessione o all’applicazione usata. 

Ricordiamo comunque che le lezioni on-line hanno portato qualche inconveniente nelle famiglie con più figli che frequentavano classi diverse. Molti genitori sono entrati nel panico, perché spesso gli orari erano inconciliabili e i dispositivi a casa non erano sufficienti. In più, gli stessi genitori erano spesso impegnati con il loro lavoro on-line, l’ormai noto smart-working.  

Tornando al discorso del ruolo di mediatori didattici, penso che esso si sia accentuato ancora di più nelle classi virtuali che non si sono avvalse delle lezioni on-line in diretta; sto parlando di classi che hanno utilizzato altre modalità come: consegne da svolgere nei libri di testo, filmati sul web, lezioni audio e video registrate dagli insegnanti. In questo caso il genitore, non avendo il contatto diretto con l’insegnante, ha dovuto farsi maggiormente carico dei contenuti didattici da trasferire ai piccoli studenti.  È anche vero che la modalità off-line consentono una maggiore flessibilità negli orari di fruizione, evitando il problema di usare più connessioni contemporaneamente al mattino.

Diversi bambini si sono scontrati con il nuovo ruolo investito dai genitori e, a questo proposito, approfondisco il problema della svogliatezza che avevo lasciato in sospeso nella precedente risposta. Mentre a scuola gli stessi alunni svolgevano le consegne senza batter ciglio, a casa hanno spesso fatto i capricci, quasi si sentissero autorizzati a non lavorare. L’analogia con l’orchestra potrebbe essere ancora utile. Immaginiamo stavolta che il direttore sia stato improvvisamente sostituito da una persona in bermuda e ciabatte, magari con in mano un cucchiaio di legno al posto della bacchetta. Non credo che i musicisti, abituati ad altre figure di riferimento, siano disposti a seguirlo. Qualcosa di simile potrebbe essere accaduta nella mente di qualche bambino che si sarà detto, guardano mamma o papà: – Chi sei tu per dirmi quello cosa e come devo studiare? Non sei la maestra o il maestro –

Un ultimo aspetto su cui vorrei soffermarmi è la relazione insegnanti – genitori che, durante il lockdown, è stata caratterizzata sicuramente da interazioni più frequenti. Pensiamo, ad esempio alle richieste di chiarimento dei genitori sugli argomenti e sullo svolgimento di compiti, alcuni hanno avuto anche bisogno di consigli su come gestire i figli in casa; poi non dimentichiamo i solleciti da parte degli insegnanti per la frequenza degli alunni e per le consegne dei lavori. Quando c’è un sovraccarico di scambi comunicativi non è infrequente che un insegnante possa sentirsi disorientato, talvolta perdendo di vista gli obiettivi del proprio lavoro, pur di prestare ascolto a chi lo richiede. Per questo, è di fondamentale importanza saper gestire la comunicazione in modo chiaro, evitando ambiguità e possibili confusioni tra i piani relazionali.    

Queste problematiche sarebbero riconducibili ai drastici cambiamenti che il sistema scuola-famiglia ha attraversato in questo periodo; le fasi di transizione provocano spesso sofferenza, specie se la il passaggio è repentino. Immaginando un tempo in cui la Didattica a Distanza sia ormai diventata prassi, (non necessariamente in casi di un’altra malaugurata emergenza sanitaria) probabilmente i nuovi equilibri si sarebbero assestati.  

In tutti i casi, vorrei esprimere il mio apprezzamento per tutto quello che i miei colleghi, i genitori e i soprattutto i bambini sono riusciti a fare durante il lockdown, affrontando tutte le difficoltà che vi ho solo in parte esposto. Il termine “resilienza”, che prima era di dominio quasi esclusivo degli psicologi, è entrato velocemente nel vocabolario di tantissima gente, diventando la parola d’ordine di chi affronta le difficoltà con ragionevolezza e creatività.