Coronavirus, il rebus degli asintomatici

Coronavirus, il rebus degli asintomatici

15 Giugno 2020 0 Di Carlo Alfaro*

Ad oggi, non sappiamo quanto dura l’immunizzazione. Sappiamo che la presenza di IgG non implica la non infettività, per la quale sono richiesti due tamponi negativi.

 

Chi, e quando, contagia il virus Sars-CoV-2, responsabile della pandemia Covid-19, è una questione cruciale nel momento in cui, passata la fase di emergenza, aumentano progressivamente le riaperture nel graduale tentativo di ritorno alla normalità pur in presenza del virus circolante nella popolazione. Il primo punto è: per quanto tempo il soggetto infetto è contagioso?

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) indica che la contagiosità degli infetti dura da 3 settimane a 40 giorni, ma negli asintomatici si limiterebbe a circa 10-15 giorni e sarebbe più significativa nei primi 3-4. La contagiosità correlerebbe con la gravità del quadro clinico: nei pazienti con sintomatologia più importante, che presumibilmente esprimono una maggiore carica virale, è superiore e rimane significativa anche durante la convalescenza. Il picco di contagiosità è pochi giorni dopo l’esordio sintomatico, quando è massimo lo spargimento virale (“shedding”) ossia l’espulsione e rilascio della progenie virale a seguito della riproduzione nella cellula ospite. Riguardo all’immunità, secondo lo studio cinese pubblicato il 29 aprile su Nature Medicine a cura della Chongqing Medical University, in 285 pazienti affetti da Covid-19 il 100% ha prodotto anticorpi IGM/IgG anti Sars CoV-2. Le IgM specifiche solitamente si positivizzano dopo 3-5 giorni dall’inizio della malattia, le IgG sono dosabili dopo 10-28 giorni.

Dopo la terza settimana di malattia, usualmente le IgM iniziano a diminuire, raggiungono i livelli più bassi entro la quinta settimana e scompaiono entro la settima. Ad oggi, non sappiamo quanto dura l’immunizzazione. Sappiamo che la presenza di IgG non implica la non infettività, per la quale sono richiesti due tamponi negativi. Tuttavia, secondo un rapporto pubblicato sul sito web dei Korea Centers for Disease Control and Prevention, anche un tampone positivo dopo la guarigione clinica non significa che il paziente sia ancora in grado di infettare qualcuno. Sono segnalati in effetti in tutto il mondo casi di tamponi positivi anche a distanza di mesi dall’infezione e dalla sua guarigione. Si ritiene in questi casi ci sia solo presenza di residui, frazioni o parti incomplete di RNA virale non più attive e patogene. Resta invece il problema degli asintomatici, cioè delle persone che non hanno eseguito nessun isolamento perché inconsapevoli di avere il virus. Hanno fatto scalpore le recenti dichiarazioni dell’Oms secondo cui la trasmissione da persone asintomatiche a livello globale è rara, poi rettificate precisando che i tassi attuali di trasmissione da soggetti asintomatici non sono ancora noti. In realtà, il gruppo degli asintomatici comprende due coorti: i casi che restano completamente asintomatici, e le persone pre-sintomatiche. Di queste si sa con certezza che sono infettive almeno 48 ore prima di manifestare i sintomi. Gli asintomatici “puri” invece non si sa con certezza. Quelli identificati attraverso tampone faringeo eseguito per screening sulla popolazione, potrebbero non essere nuovi casi di contagio, ma piuttosto persone che sono state contagiate dal virus SARS-CoV-2 diverso tempo prima del test e che risultano ancora positive pur non essendo più in grado di trasmettere il virus (il caso trattato il precedenza di residuo virale inattivo).

Se invece l’infezione è recente, il punto principale per la contagiosità sembra essere la carica virale, che nelle persone senza sintomi è verosimilmente più bassa e dunque meno infettante. Resta anche da definire con quali modalità le persone asintomatiche o presintomatiche possano diffondere le goccioline di saliva contenenti il virus (droplets), non presentando tosse o starnuti. Non sappiamo nemmeno esattamente quanti possano essere gli asintomatici. Sulla base dei dati cinesi, il rapporto internazionale della missione dell’Oms indicò che la maggior parte dei casi inizialmente asintomatici passerà alla malattia clinica, rendendo l’infezione totalmente asintomatica piuttosto rara (1-3%).

In Italia, secondo le stime dell’Istituto superiore di sanità, gli asintomatici al 4 maggio, data di inizio delle riaperture, sarebbero stati il 4-7% della popolazione, e il 10% delle trasmissioni del virus attribuibili a persone che non hanno sintomi. Una revisione australiana che ha esaminato i dati di 9 studi internazionali è giunta alla conclusione che le infezioni asintomatiche da Covid-19 siano il 15% di quelle totali, ma il rischio di contagio dalle persone asintomatiche sia di un terzo inferiore che dai sintomatici.

Secondo invece la Fondazione Gimbe, che fa riferimento alla pubblicazione sugli Annals of Internal Medicine di una revisione dei dati di 16 studi sull’infezione asintomatica da Sars-CoV-2, compresa quella italiana di Vò Euganeo, gli asintomatici sarebbero circa il 40-45% delle persone infette nel mondo (di cui il 30% resta asintomatico e il restante 10-15% diventa sintomatico), e contagiose, anche per un periodo maggiore di 14 giorni, in quanto hanno una carica virale simile a quella dei sintomatici.

Peraltro, in base alla revew, in due coorti (Corea del Sud e Diamond Princess) anche gli apparenti asintomatici potevano mostrare segni radiologici di polmonite. Al di là delle differenze nelle percentuali riscontrate, tutti gli esperti concordano che sia cruciale l’identificazione e l’isolamento dei contagiati asintomatici o con sintomi lievi, per interrompere le catene di contagio, e l’uso di precauzioni in comunità per difendersene: distanziamento fisico, igiene delle mani, mascherine.

*Specialista pediatria