Coronavirus, cosa sta succedendo in Lombardia? (II parte)

Coronavirus, cosa sta succedendo in Lombardia? (II parte)

12 Aprile 2020 0 Di Paolo Ferrara*

La Lombardia, che ha testato circa l’1.5% dei suoi abitanti, mostra una mortalità del 17.6%, mentre il Veneto con una mortalità del 5.6%, ha testato il 3.3% dei suoi abitanti.

 

Ma perché questi dati così contrastanti, e specialmente, perché questi dati così negativi della regione Lombardia? L’ipotesi, da qualche parte prospettata, che la causa fosse attribuibile alla strategia attuata dalla Regione Lombardia di un minor utilizzo dei tamponi diagnostici, è in effetti poco credibile perché esiti nettamente migliori della Lombardia sono presenti sia in regioni che hanno realizzato un maggior numero di test, che in regioni che ne hanno realizzato addirittura molti di meno della stessa Lombardia. Infatti la Lombardia, che ha testato circa l’1.5% dei suoi abitanti, mostra una mortalità del 17.6%, mentre il Veneto con una mortalità del 5.6%, ha testato il 3.3% dei suoi abitanti, e il Lazio, con un dato di mortalità del 5.5%, molto vicino a quello del Veneto, ha testato solo lo 0.75% della sua popolazione. Forse questa ipotesi, pur con le dovute differenze di struttura del campione, sarebbe  possibile solo in una valutazione globale comparativa dei dati nazionali di Italia e Germania ( che oggi presenta una mortalità dell’1.3% ) visto che quest’ultima ha realmente messo in atto una strategia di tamponi a tappeto, partendo da una fase iniziale di 60.000 tamponi al giorno per arrivare in pochi giorni a 100.000, compreso i cosiddetti “corona taxi”, test fatti a domicilio, che le hanno permesso di testare i contagi in fase iniziale e quindi di intervenire subito sia con le terapie che con le quarantene.

Quindi, scartata l’ipotesi che il basso numero di tamponi eseguiti, possa essere stata la causa di una così alta mortalità alla quale va anche aggiunta quella “nascosta”, sfuggita ai censimenti ufficiali, il tentativo di spiegazione dei disastrosi dati di esito lombardi, va spostato nel campo “strutturale” dell’organizzazione e della risposta sanitaria. Infatti il primo problema che risalta davanti agli occhi è la constatazione che il Sistema Sanitario Territoriale è completamente mancato, mostrandosi distratto e impreparato.  Esempi lampanti di ciò sono l’alto numero di vittime domestiche e quelle dei centri di residenza assistita per anziani, nonché l’alto numero di contagi e vittime tra i Medici di Medicina Generale. Ma in effetti questa mancata risposta del Sistema Sanitario Territoriale, che invece è funzionato certamente meglio in altre regioni quali il Veneto o la Toscana dove le mortalità sono risultate molto più basse, è un problema che ha sicuramente radici più antiche. Il depotenziamento della Medicina Territoriale è progressivamente incominciato subito dopo l’acquisizione dell’autonomia della Regione Lombardia in tema di politica sanitaria. Infatti la Regione Lombardia, scegliendo di puntare su una Sanità di grande “visibilità” che potesse essere un attrattore di pazienti e quindi di flussi economici ( Il Sud….conosce bene questo problema !) ha essenzialmente investito negli ospedali, coinvolgendo molto in questa impresa anche il Privato che, trovando condizioni estremamente favorevoli, è cresciuto a dismisura costruendo degli enormi poli sanitari, che si sono ulteriormente concentrati tra di loro, creando non solo ospedali ad alto volume con poli di eccellenza ( particolarmente nelle specialità con migliore remunerazione) ma anche corsi di laurea in Medicina sia mediante convenzioni con Università Statali e sia costituendo proprie Università private, a loro volta abbinate a Centri di ricerca farmacologica per brevetti di nuove medicine e vaccini.

Quindi grandi Ospedali privati che contemporaneamente crescono, trasformandosi anche in Università private e Centri di Ricerca privati, diventando così enormi concentrazioni di potere, spesso con partecipazioni dirette anche nel mondo dei “Media”, delle grandi testate giornalistiche, del Web e dell’alta Finanza che, tramite questa loro attività “a tutto tondo”, possono condizionare facilmente la politica sanitaria lombarda. Tanto potenti che ben pochi si sono scandalizzati quando, nel pieno della iniziale emergenza, la “influencer” Chiara Ferragni insieme con il marito, il “rapper” Fedez, hanno lanciato una mega raccolta fondi …a favore del Privato e non a favore della Protezione Civile o di un Ospedale di trincea! Il San Raffaele è stato abilissimo e rapidissimo ad accettare i circa 20 milioni di euro raccolti, trasformandoli subito in nuovi posti super-attrezzati e super-tecnologici di Terapia Intensiva, certamente superiori a quelli che contemporaneamente si andavano attrezzando negli Ospedali Pubblici, ma nessuno si è chiesto a chi sarebbe rimasta la proprietà di tale costosissima tecnologia una volta finita l’emergenza. Allo Stato Italiano, coinvolto in una emergenza nazionale?

O a un privato che in tal modo, seppur in corso e a causa di una emergenza nazionale, avrebbe sensibilmente aumentato il suo personale patrimonio tecnologico? Tanto più che pure è passata sotto silenzio anche la notizia che la presidente dell’AIOP quale rappresentante della Sanità Privata Italiana, ha permesso ai suoi associati di accettare malati di Covid-19, lavorando nell’emergenza a fianco del Sistema Sanitario Nazionale SOLO dopo aver trattato con il Governatore della Lombardia la certezza di come e quanto sarebbero stati remunerati per le loro prestazioni. (Continua)

*Medico cardiochirurgo