Controllo glicometabolico: peggiora dopo infezione da SARS-CoV-2

Controllo glicometabolico: peggiora dopo infezione da SARS-CoV-2

17 Aprile 2022 0 Di La Redazione

Il diabete mellito (DM) è una delle principali comorbilità associate a COVID-19 e studi preliminari hanno evidenziato un’elevata prevalenza di iperglicemia nei pazienti affetti da tale patologia.

«Analoghe evidenze erano state precedentemente riportate nei pazienti affetti da SARS-CoV-1, che presentavano livelli più elevati di glicemia a digiuno rispetto a quelli affetti da polmonite non correlata a SARS-CoV-1» spiegano Emanuele Spreafico, SSD Endocrinologia e Diabetologia, ASST di Monza – PO di Desio e Poliambulatorio di Muggiò, ed Eleonora Bianconi, Università degli Studi dell’Insubria, Policlinico di Monza. «Ancora limitate sono le evidenze di un danno diretto o indiretto di SARS-CoV-2 sulla funzione beta-cellulare. È teoricamente possibile che SARS-CoV-2 possa localizzarsi a livello del pancreas endocrino; inoltre sia a livello del pancreas endocrino che esocrino è stato rilevato l’mRNA dell’ACE-2 (angiotensin converting enzyme 2), il principale recettore del virus». Studi recenti – proseguono Spreafico e Bianconi – hanno dimostrato come la beta-cellula pancreatica sia altamente permissiva all’ingresso di SARS-CoV-2 attraverso l’ACE-2. Inoltre, SARS-Cov-2 stimola la cosiddetta tempesta citochinica, provocando un ambiente pro-infiammatorio, che sembrerebbe avere un ruolo importante nell’incremento dell’insulino-resistenza (IR) e dell’iperstimolazione beta-cellulare, le quali a loro volta potrebbero determinare alterata funzione della beta-cellula e morte della stessa. Di recente uno studio si è posto lo scopo di «valutare se alterazioni dello stato glicemico, dell’IR e della funzione beta-cellulare fossero associate a COVID-19 nei pazienti senza storia pregressa di DM (“neo COVID-19”) e se tali alterazioni fossero ancora presenti in pazienti guariti da COVID-19 (“post COVID-19”). Sono stati valutati 551 pazienti – riferiscono gli specialisti – ricoverati consecutivamente per COVID-19 tra febbraio e maggio del 2020 presso l’ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano: a) 151 pazienti (27%) risultavano già affetti da DM di tipo 2 (T2D) (86 manifesto e 65 misconosciuto e diagnosticato all’accesso in reparto); b) il 27% (147/551) era euglicemico; c) il restante 46% (253/551) ha presentato durante il ricovero un quadro di iperglicemia (glicemia compresa tra 100 e 199 mg/dL o due valori > 100 ma < 126 mg/dL). Nei 6 mesi successivi: a) nel 35% è stata osservata iperglicemia persistente; b) è stata posta diagnosi di DM manifesto in quasi il 2%; c) nel rimanente 63% si è avuta normalizzazione del quadro glicemico.

Circa il tasso di iperglicemia, continuano Spreafico e Bianconi, «i livelli di HbA1c non differivano tra pazienti normoglicemici e con iperglicemia, a conferma della recente insorgenza dell’iperglicemia. Rispetto ai pazienti normoglicemici, nei pazienti affetti da diabete o con diagnosi recente è stata evidenziata un’aumentata mortalità (p = 0.009). Rispetto ai normoglicemici, i pazienti con iperglicemia di nuovo riscontro hanno richiesto un ricovero più prolungato (p = 0.04) e maggiore assistenza: richiesta d’ossigeno (p = 0.0001) e ventilazione assistita (p = 0.02), senza differenze rispetto alla richiesta di terapia intensiva (p = 0.1). Nei diabetici noti, si è osservata maggiore durata del ricovero e peggiori parametri clinici e respiratori se comparati con gli altri due gruppi. In base a questi dati, COVID-19 si associa a nuova insorgenza di iperglicemia, può predisporre a persistenza dello stato iperglicemico, peggior esito clinico, prolungata ospedalizzazione, con maggiore richiesta di ossigeno e ventilazione a pressione positiva». Un’ulteriore valutazione, riportano gli esperti, è stata fatta mediante l’utilizzo di un sistema professionale di monitoraggio continuo della glicemia (CGM) su 10 pazienti normoglicemici con neo COVID-19, 10 pazienti normoglicemici post COVID-19, 15 controlli sani e 10 pazienti con T2D. «Nei pazienti normoglicemici» riferiscono Spreafico e Bianconi «il COVID-19 si è associato a un’alterazione complessiva del profilo glicemico rispetto ai controlli sani: più lunga durata dello stato iperglicemico (p = 0.0053), glicemia post-prandiale media a un’ora dal pasto più elevata (p = 0.031) e maggiore variabilità glicemica (p = 0.0025). L’alterazione del compenso glicemico persisteva anche in alcuni dei pazienti post COVID-19: confrontati con i controlli sani, la media delle glicemie a 2 ore dal pasto (ma non a 1 ora) era più elevata (p = 0.0219), erano maggiori la durata dell’iperglicemia (p = 0.0418) e la glicemia media (p = 0.0031), il limite glicemico inferiore era più alto (p = 0.0015), mentre non vi erano differenze in termini di variabilità glicemica. Questo suggerisce quindi che il COVID-19 alteri il metabolismo glicemico, anche se in misura minore rispetto ai pazienti con T2D, e che queste alterazioni persistano anche dopo la guarigione». Riguardo a insulina e b-cellula, proseguono gli specialisti, «in un sottogruppo dei pazienti valutati con CGM è stata effettuata una valutazione ormonale, sia basale che dopo stimolo con arginina. I pazienti affetti da COVID-19 hanno mostrato un profilo ormonale simile a quello dei pazienti con T2D. Rispetto ai soggetti sani, i pazienti affetti da COVID-19 o guariti presentavano livelli maggiori di insulina a digiuno, proinsulina, C-peptide, HOMA-B, HOMA-IR, sia basali che dopo stimolo, a dimostrazione che COVID-19 determina IR persistente anche dopo la guarigione».

Infine, riferiscono Spreafico e Bianconi, «sempre nei pazienti CGM, è stato valutato anche l’assetto infiammatorio mediante il dosaggio di numerose citochine e molecole coinvolte nella cascata infiammatoria. Rispetto ai controlli sani, sono stati rilevati valori più elevati di 10/17 analiti valutati nei pazienti con neo COVID19 e anche nei pazienti post COVID-19; una simile alterazione citochinica è stata riscontrata anche nel T2D. In sostanza, l’assetto infiammatorio è risultato maggiormente stimolato nei pazienti affetti o guariti dalla COVID19 e questo correlava con l’HOMA-IR, a confermare l’eziopatogenesi infiammatoria dell’IR indotta da SARS-CoV-2».

Questo studio – in conclusione – ha confermato l’aumentata incidenza di iperglicemia, IR e iperstimolazione beta-cellulare nei pazienti affetti da COVID-19 senza pregressa storia di diabete o iperglicemia. «Oltre alle già note complicanze neurologiche, cardio-vascolari e renali, quindi, questa malattia comporta anche un’alterazione delle vie di segnale insulinico e della funzione beta-cellulare» riferiscono Spreafico e Bianconi. «La causa di questa alterazione sembra principalmente infiammatoria, con un coinvolgimento importante ma non esclusivo dell’interleuchina-6. A lungo termine questo quadro può portare all’esaurimento della beta-cellula e quindi al peggioramento dello stato iperglicemico per gluco-tossicità e iperstimolazione beta-cellulare. Il punto di forza di questo studio è la numerosità del campione iniziale, che ha permesso di identificare un numero sorprendentemente elevato di pazienti con iperglicemia correlata a COVID-19; questo è sicuramente importante, considerata anche l’aumentata mortalità di questo tipo di pazienti. Interessante, inoltre, è l’evidenza che le alterazioni glicemiche possono persistere anche a distanza di mesi dalla guarigione del COVID19. Sicuramente suggestiva, ma per stessa ammissione degli autori limitata dalla numerosità del campione, è la valutazione dell’andamento glicemico tramite CGM e soprattutto l’analisi dell’assetto infiammatorio e la correlazione con l’IR. Sono doverose ulteriori analisi su un campione più ampio di pazienti per confermare tali dati e valutare con maggiore precisione le sequele e complicanze cliniche a lungo termine».

 

 

 

Fonte: http://www.doctor33.it/endocrinologia/controllo-glicometabolico-peggiora-dopo-infezione-da-sarscov/?xrtd=LPLRYXXSVTRRVYPTCRCTVYS