Calano in modo preoccupante i trattamenti contro l’Epatite C a causa della pandemia

Calano in modo preoccupante i trattamenti contro l’Epatite C a causa della pandemia

27 Novembre 2020 0 Di La Redazione

“Uno studio retrospettivo ha confermato i dati di eccellente sicurezza e tollerabilità di un regime terapeutico di sole 8 settimane nei pazienti mai trattati con cirrosi compensata HCV-correlata”.

 

 

La disponibilità dei nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA), che permettono di eradicare il virus dell’Epatite C in maniera definitiva, in tempi rapidi e senza effetti collaterali, ha reso possibile il raggiungimento dell’eliminazione di questa patologia entro il 2030 come prefissato dall’OMS. Tuttavia, la pandemia di Covid-19 ha rallentato notevolmente i trattamenti, inserendosi in un contesto già complicato dalla difficoltà di identificare i pazienti affetti dal virus, spesso non consapevoli, il cosiddetto “sommerso”. Questi temi sono al centro del progetto MOON di AbbVie: una serie di webinar in questi mesi autunnali per mettere a confronto infettivologi, epatologi ed internisti, affinché facciano rete per trovare efficaci strategie. Un’occasione per mettere a confronto specialisti di diverse branche e di diverse aree geografiche.

 

Giovanni Di Perri

“Le nuove terapie per l’Epatite C hanno avuto un impatto rivoluzionario – spiega il professor Giovanni Di Perri, professore ordinario di Malattie Infettive all’Università di Torino – si è passati da terapie che avevano un’aspettativa di efficacia al di sotto del 50% con numerose controindicazioni ed effetti collaterali, con tempi che oscillavano tra i 6 e i 12 mesi, a una situazione in cui possiamo gestire il soggetto trattato in 8-12 settimane, in cui possiamo togliere il virus definitivamente dall’organismo umano. Ciò permette non solo di far venir meno la malattia epatica, ma di apportare anche un beneficio più ampio. Questa è infatti una malattia multi-sistemica, con conseguenze su diversi organi, con impatto, ad esempio, sul sistema cardiovascolare e sull’omeostasi glicemica, stante il confermato rapporto di associazione fra infezione cronica da HCV e diabete. Intervenire in modo netto permette dunque di curare più di una malattia e di prevenirne altre, con beneficio sia sul singolo soggetto che sull’intera comunità. Eliminare un’infezione da una popolazione è un obiettivo ambizioso, ma abbiamo uno strumento terapeutico che lo rende raggiungibile. Ci sono già esempi virtuosi (Australia, Irlanda, Olanda) di come l’uso sistematico della terapia anti-HCV stia portando a un impoverimento del serbatoio delle nuove infezioni. Per quanto concerne la recente interruzione dovuta alla pandemia, dobbiamo sottolineare anche l’opportunità nata da questa crisi: la necessità di test per individuare il Sars-Cov-2 permette di andare anche a sondare la prevalenza di HCV in categorie di popolazione che per noi sarebbero state difficilmente raggiungibili: RSA, scuole, corpi militari, tutti contesti della nostra società che ci possono dare una visuale inedita”.

 

Pietro Lampertico

Da recenti studi internazionali emergono importanti conferme per i trattamenti con G/P. Il primo aspetto riguarda la durata di 8 settimane del trattamento dei pazienti con cirrosi compensata HCV-correlata attestata dallo studio registrativo Expedition-8. “Per poter confermare l’efficacia dello studio Expedition-8 è stato condotto uno studio retrospettivo su circa 200 pazienti con cirrosi compensata appartenenti a coorti diverse (europee, americane e globali) – afferma il professor Pietro Lampertico, professore ordinario di Gastroenterologia, Università di Milano – per la prima volta al mondo, questo studio retrospettivo di pratica clinica, appena pubblicato, ha confermato i dati di eccellente sicurezza e tollerabilità di un regime terapeutico di sole 8 settimane nei pazienti mai trattati con cirrosi compensata HCV-correlata. La forza di questi dati è tale che le recenti linee guida europee consigliano 8 settimane di terapia con G/P nei pazienti naive con cirrosi compensata”.

Un secondo studio internazionale ha invece certificato l’efficacia di questo trattamento anche nei pazienti fragili. “Questa ricerca ha coinvolto circa duemila pazienti trattati con G/P, di cui un quota significativa rientrava nelle popolazioni cosiddette fragili: pazienti con patologie psichiatriche, soggetti con abuso di alcol o farmaci, soggetti disoccupati o con basso tasso di scolarità – spiega il professor Lampertico – lo studio ha dimostrato un’eccellente risposta virologica completa non solo nel gruppo nel suo complesso, ma anche nei diversi sottogruppi di soggetti fragili. Abbiamo anche combinato queste situazioni di fragilità e l’efficacia è rimasta in oltre il 98% dei casi. La risposta virologica è risultata indipendente dal numero di farmaci presi”.

 

Giuliano Rizzardini

Tra le diverse strategie varate in questi ultimi anni, spicca il Progetto di informazione, prevenzione e screening denominato “Red Carpet”, basato sugli screening al SerD dell’Asst Fatebenefratelli Sacco nell’ambito del Dipartimento di Salute Mentale e varato a luglio 2019. Questa iniziativa è stata concepita in collaborazione tra i Servizi territoriali di diagnosi e cura delle dipendenze e l’UOC Malattie infettive 1 afferenti alla ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano. “Sussiste un’oggettiva difficoltà nell’identificazione dei soggetti HCV positivi – sottolinea il porfessor Giuliano Rizzardini, direttore di Dipartimento Malattie Infettive, Ospedale Luigi Sacco – dobbiamo dunque fare uno sforzo su quelle popolazioni speciali come i tossicodipendenti, tra cui prevalenza in termini di positività all’HCV si stima intorno a valori di circa l’80%. L’obiettivo primario del Progetto Red Carpet è quello di diagnosticare, informare e indirizzare i soggetti con problemi di tossicodipendenza, afferenti ai Servizi territoriali della nostra struttura verso una corretta gestione della patologia, orientandoli in un percorso clinico adeguato e di qualità che eviti inutili dispersioni di tempo e riduca il rischio di contagio in questa popolazione ad alto rischio e ad alta prevalenza. Il Progetto prevede che i soggetti con problemi di tossicodipendenza vengano sottoposti a screening mediante l’utilizzo di test rapidi salivari e, successivamente, di test XPERT HCV Fingerstick, saggio in vitro basato sulla reazione a catena della polimerasi in tempo reale dopo retrotrascrizione (RT-PCR). Questo test permette il rilevamento e la quantificazione dell’RNA del virus dell’epatite C in sangue intero umano venoso e capillare prelevato mediante puntura del dito con aggiunta di EDTA e fornisce i risultati in soli 58 minuti. I soggetti risultati positivi vengono inviati agli ambulatori della UOC Malattie infettive 1 e indirizzati su un percorso facilitato (Red Carpet) per il completamento dell’iter diagnostico (genotipizzazione, fibroscan, ecografia…) e il successivo trattamento con DAAs. I pazienti più difficili vengono invece avviati al trattamento DOT presso il SERD di appartenenza”.

 

Pierluigi Toniutto

“Al fine di perseguire l’obiettivo di far emergere il sommerso, è fondamentale il coinvolgimento del MMG come parte attiva di un network più ampio coordinato dalla sanità regionale che comprenda i laboratori, i SerD e gli specialisti dei centri prescrittori dei DAA – evidenzia il professor Pierluigi Toniutto, direttore dell’Unità di Epatologia e Trapianto di fegato presso l’Università di Udine – in Friuli Venezia Giulia, la sanità regionale si è dimostrata molto sensibile a questo tema ed è stata propositiva con l’avvio di un percorso di identificazione dei pazienti con malattia epatica e, tra questi, di coloro con infezione da HCV. Il percorso ha previsto la stesura di un PDTA regionale indirizzato ai MMG, sulla gestione dei pazienti con alterazione dei test di funzione epatica che è stato decretato nell’ottobre 2019. A questo seguirà un ulteriore documento specifico che avrà l’obiettivo di fornire gli strumenti per l’identificazione e l’invio al trattamento dei pazienti con infezione da HCV non ancora nota. In questo progetto il MMG diventa il protagonista clinico del processo, poiché è colui che conosce i propri pazienti e che meglio di altri è in grado di identificare coloro che possono avere dei fattori di rischio per avere l’infezione da HCV, compresi coloro che presentano una alterazione dei test di funzione epatica. Il progetto ha l’ulteriore obiettivo di creare dei percorsi semplificati di diagnosi laboratoristica dell’infezione e di invio del paziente allo specialista per la terapia antivirale, al fine di minimizzare le tappe per giungere alla guarigione della infezione da HCV”.