“Buonanotte Europa”
12 Gennaio 2024A mezzanotte ascoltavo una delle prime trasmissioni radiofoniche che parlava di un Europa riconciliata da un secolo di guerre: “Buona notte Europa” una frase ripetuta in più idiomi.
“Good night Europe”
Mi addormentavo dopo aver viaggiato sulle onde radio per strade sconosciute tra bellezze e tesori di città straniere, di luci e gente dai capelli biondi e l’incarnato pallido o dai colori che rispecchiavano il sole e il mare mediterraneo. Mettevo in bell’ordine nel cassetto dei sogni, un ideale di appartenenza perché avremmo parlato la stessa lingua l’Esperanto e adoperato la stessa moneta. Avremmo seguito la stessa bandiera: un cerchio di 12 stelle dorate in un cielo blu che rappresentava l’ideale di unità, solidarietà e armonia dei padri fondatori. Avremmo cantato sulle note di Ludwig von Beethoven l’inno alla gioia di Friedrich Schiller. Un quadro completo per esorcizzare la tenebra e disegnare i colori dell’arcobaleno.
Poi venne il processo della globalizzazione. Avemmo la certezza di un mondo senza frontiere e stringendoci per mano abbracciammo in un girotondo le cime innevate dell’Everest, la miriade di isole del Pacifico dove risiede il sole in una eterna giovinezza mentre tra le stelle si embricavano in una grande danza un numero impressionante di navicelle e abitatori dello spazio.
Senza più segreti, il mondo rivelò per intero il libro della storia perché non c’erano capitoli all’indice. Di alcuni popoli conoscemmo la scienza, la ricchezza, il benessere ma anche la decadenza morale, le ruberie, l’accaparramento. Di altri lo sfruttamento, la disperazione, la fame, la guerra. Il totem della produttività, del danaro, del profitto avevano stressato l’uomo, la dignità del lavoro e il diritto al decoro. Charly Chaplin nel film “Tempi moderni” divenne l’archetipo dell’uomo che sarebbe venuto: uomo-macchina, macchina-uomo. Diogene rinnovato nella sua attualità, confinato nella sua botte sarà nell’eternità alla ricerca dell’uomo. Il filosofo con la lampada accesa anche di giorno illumina la speranza, la rivelazione dell’essenzialità della vita. Un’ illusione del suo radicale cinismo.
La realtà racconta un uomo diverso, emigrante su carrette del mare, abbrutito nel labirinto del caporalato, tra i fumi avvelenati della terra dei fuochi, in un clima estremo e rovente che scioglie e violenta il fascino, la grande bellezza del pianeta trasformandolo in eventi estremi e fatti pandemici.
In un dipinto di Arnold Böcklin la morte per peste è raffigurata come un animale immondo con ali di pipistrello. Colpisce con la scure indistintamente tutti quelli che incontra sul suo itinerario perché è uno scheletro senza cuore di carne.