Antonello Angiolillo: “Non si nasce attori, ci si diventa”

Antonello Angiolillo: “Non si nasce attori, ci si diventa”

26 Dicembre 2022 Off Di Rita Lazazzera & Pasquale Maria Sansone

Il mondo, quello dell’Arte in particolare, ha pagato un duro prezzo sul fronte pandemico. Ce ne vuole parlare lei che questo particolare aspetto del dramma collettivo l’ha vissuto dal di dentro?

Non è stato un periodo facile. Non per la pandemia in sé ma per la gestione della stessa in alcuni ambiti. Non è importante se si cade ma come ci si rialza. Per quanto riguarda il mondo dello spettacolo dal vivo, sono state fatte scelte di sostegno per andare incontro al maggior numero di persone a discapito però dei più meritevoli. Faccio un solo esempio per tutti. Potevano accedere ai diversi ristori le persone che nell’anno 2019 avevano maturato minimo 7 giornate contributive. Ora, secondo il mio modesto parere, 7 giornate non possono identificare un professionista del settore, dove per professionista intendo una persona che fa quello per professione, cioè “ci campa”. 7 giornate nello spettacolo le può avere il medico, l’architetto, il muratore, il professore, insomma un qualsiasi amatore che campa di altro. In questo modo è stata spalmata la somma totale a disposizione mettendo in difficoltà chi non aveva altro introito. Insomma tutta la politica con una mano si bagna le labbra con la parola “meritocrazia”, perché fa figo sull’elettorato, ma poi all’atto pratico ha sempre, nell’altra mano, un fazzoletto pronto ad asciugare l’umido lasciato.

Per quella che è la sua esperienza, adesso che la situazione va migliorando e con il coronavirus che fa meno paura cosa sta succedendo nel suo mondo? Ci sono incoraggianti segnali di ripresa?

C’è un vecchio proverbio che dice: “quando punti il dito contro qualcuno ricordati che ne hai sempre tre puntati verso di te”. Per questo un po’ di mea culpa dobbiamo farla anche noi del settore. Non si può dare la colpa solo alla politica sebbene ci si sia messa d’impegno a fare male. Il teatro era in sala rianimazione già prima della pandemia. In questi due anni il teatro privato ha avuto sicuramente un duro colpo mentre quello pubblico è da sempre coperto da “papà Stato” e quindi, forse, ci ha addirittura guadagnato. Speravo che imparassimo da questo brutto periodo. Speravo in un cambiamento di rotta e di atteggiamento, in un guardarci negli occhi e dirci che era giunto il momento di rendere produttivo questo settore mettendo in campo idee e collaborazioni per un futuro migliore, per i giovani che si vogliono avvicinare a questo meraviglioso mestiere, e per il pubblico che sta sempre più disertando i teatri. Speravo che avremmo fatto vedere al mondo come ci si rialza… e invece non abbiamo imparato nulla e siamo tornati alla stessa situazione che c’era prima del Covid, se non peggio. Una occasione persa per migliorarci insomma. Il teatro è sempre più in crisi perché è in crisi il suo stesso pubblico. La gente non va più a teatro. Finché continueremo ad allettarli con i nomi di richiamo invece di presentargli spettacoli di qualità e ben scritti e finché li considereremo un bancomat da cui attingere invece che una risorsa su cui investire non faremo grandi passi avanti. Mi chiedo; sono stati dati bonus su qualsiasi cosa, dal bonus mobilità del vecchio governo a quello per chi possiede un cane del nuovo governo ma, a parte il bonus cultura che ha un raggio di azione troppo vasto nessuno ha mai pensato ad un sistema di bonus teatro per incentivare il pubblico a tornarci e quindi aiutare un settore a rinascere permettendogli di lavorare, non regalandogli soldi.

Le “luci della ribalta” esercitano, per motivi diversi chiaramente, un fascino particolare sia sugli spettatori che sui protagonisti. Quale è stata la scintilla che ha fatto scattare in lei il desiderio di “saltare il fossato” e di recitare da protagonista.

Nessuna scintilla ha mosso il desiderio. Tutto è avvenuto gradualmente e con la complicità del “caso”. Il caso e l’errore sono ciò che ha permesso al mondo di arrivare dove è ora. Ha permesso alle specie di evolversi. Noi siamo il frutto del caso e dell’errore. Mi fanno sorridere quelli che pensano che il diverso ci possa danneggiare e che la purezza della razza sia un valore aggiunto. Qui però apriremmo un capitolo che meriterebbe una lunga disamina. Tornando alla domanda, mi è sempre piaciuto suonare ballare e cantare. Ho iniziato danzando, ho frequentato l’Accademia Nazionale di Danza a Roma. In quel periodo mi alzavo molto presto al mattino per andare a lezione di danza e avevo preso l’abitudine di comperare il giornale, leggerlo a letto e poi, fatta colazione, via a lezione. Una mattina lessi sul giornale di una audizione; cercavano ruoli per il musical “A Chorus Line”. Ho sempre amato il musical, sono cresciuto a pane e film musicali; Fred Astaire e Ginger Rogers, Bing Crosby, Gene kelly, Frank Sinatra, Sammy Davis Jr, Cyd Charisse ecc ecc. Andai al provino e dopo tre giorni di intensa audizione venni scelto e iniziò la mia avventura nel mondo del musical. Da li in poi un susseguirsi di casualità e di errori mi hanno portato fin qui. È ovvio che dietro tutto questo c’è sempre stato, e c’è ancora, un costante studio e approfondimento di tutti i campi che riguardano il mio lavoro. Ancora oggi ogni mattina appena sveglio dedico almeno due ore all’allenamento fisico e vocale e una parte del pomeriggio all’allenamento mentale e culturale, soprattutto quando non lavoro. Mi piace, non ne sento la fatica anche se è molto faticoso. È una gran fortuna avere la possibilità di praticare un lavoro che ci piace e ci gratifica così come ritagliarsi sempre del tempo per fare tutto ciò che ci piace e gratifica. Che sia chiaro, tutto è stato conquistato con duro lavoro e sudore e con lunghi periodi di attesa e di vuoti che potrebbero destabilizzare chi non ha la forza di mantenere costantemente fisso in testa il punto di arrivo e il sentiero che occorre percorrere per arrivarci.

Sicuramente ci sono incontri e persone che hanno segnato le nostre vite e condizionato, positivamente o negativamente, le nostre scelte, anche professionali. Ci racconta?

Si apre un capitolo che potrebbe essere quasi infinito. Credo che tutte le persone e gli incontri condizionino le nostre vite, sotto tutti i punti di vista. Se siamo aperti all’ascolto chiunque può darci spunti di riflessione, e dobbiamo sempre ascoltarli perché poi le scelte e le decisioni restano inevitabilmente nostre. Non rinnego quasi niente di ciò che ho fatto perché anche le cose, a mio parere brutte hanno avuto una loro influenza nel farmi diventare ciò che sono oggi e, nel bene o nel male, ringrazio anche quei momenti. In quel “quasi niente” ci sono racchiuse quelle pochissime esperienze alle quali rinuncerei volentieri anche se questo volesse dire rinunciare ad un po’ di ciò che sono adesso. Se poi devo uscire da concetti filosofici e fare dei nomi, posso dire che sicuramente Pietro Garinei, Paolo Limiti, Chapman Roberts mio zio Antonio Paciocco, Johnny Dorelli, sono stati sicuramente molto importanti nel mio percorso professionale. Davvero però più ci penso e più nomi mi vengono in mente. Nomi di personaggi famosi e nomi di gente comune. Apro una piccola parentesi, Sono del periodo artistico in cui ho vissuto la televisione e il teatro perché mi è stata data la possibilità di avere come fari di riferimento mostri sacri del teatro e della televisione italiana, quelli che si chiamavano “Vip”. Se penso ai giovani di oggi sono un po’ dispiaciuto per loro. L’altra sera facendo zapping mi sono ritrovato a dare una occhiata al “grande fratello vip”, Non conoscevo quasi nessuno li dentro e così ho cercato in internet chi fossero e ho scoperto che la maggior parte di loro sono importanti per il seguito che hanno sui social e questo mi ha rattristato non poco perché ho ricordato a me stesso, prima di tutto, che Vip è l’acronimo di Very Important Person. Personalmente non trovo importante chi ha milioni di followers, o meglio non mi basta quello per definirlo tale.

La depressione è il male oscuro, in particolare legato ai ritmi di questa epoca, che coglie larghi strati della società ma che pare mieta tante vittime proprio nel mondo dell’arte. Tanti attori ed attrici hanno raccontato la loro esperienza di attraversamento di questo doloroso tunnel. Direttamente o indirettamente ha avuto contatti con questa realtà?

Si, per fortuna solo indirettamente. È un mondo troppo complesso e non mi sento di dare un giudizio a riguardo.

Sicuramente il periodo che vive l’arte non aiuta. Non c’è fermento, non c’è gorgoglio, non c’è vita e dove non c’è vita non si può pretendere che ci sia gioia e serenità. Io credo che noi stiamo attraversando, purtroppo, un nuovo Medioevo. Periodo della storia dell’uomo che è stato assolutamente interessantissimo ma di preparazione a quello che poi sarebbe stato il Rinascimento. Ecco io sento di appartenere a quel periodo che sta preparando il terreno ad un nuovo Rinascimento dove la nostra sofferenza e frustrazione troverà tutta la sua esplosione. Beato chi vivrà quel periodo.

 Ci sono personaggi o ruoli che nella sua carriera hanno avuto particolare significato?

Non vorrei apparire ripetitivo ma farei prima a dire quelli che son passati quasi inosservati perché l’influenza del ruolo viaggia a braccetto con il momento della vita in cui lo porti in scena. Lo stesso personaggio portato in scena in due età diverse avrà due influenze e significati diversi per noi. Sicuramente il primo, Paul di A Chorus Line, i 6 gatti dove mi alternavo in Cats, La Bestia, Tick/Mitzi di Priscilla, Dan il papà in Next to Normal, questo in modo particolare perché qualcosa è scattato in me in quel periodo. Con quel ruolo c’è stato un giro di boa artistico che mi porto dietro ancora oggi e che ho riversato totalmente in Dante,  La Divina Commedia opera musical, altro ruolo particolarmente significativo.

La gente guarda al successo dei personaggi amati, ma dietro quel successo si celano tanti sacrifici ed un duro lavoro.

Innanzitutto mi verrebbe da chiedere alla gente, che cosa è il successo? Ci sono personaggi dello spettacolo che sono famosi e pieni di successo ma che vivono tristemente e profondamente soli e spesso questa condizione li accompagna fino alla morte. C’è invece gente definita comune che solo alla loro morte ci rendiamo conto di quanto hanno fatto di bello e di che successo hanno raggiunto e ce ne accorgiamo perché lo leggiamo negli occhi delle persone che sono state attraversate, in silenzio, da loro. Se una cosa la vuoi fare bene devi metterci impegno e tanto lavoro. C’è tantissima fatica dietro un successo meritato. Purtroppo la società di oggi insegna che velocemente si può arrivare al successo e a grandi guadagni ma omette di dirci che senza delle solide basi e duro lavoro, tutto potrebbe durare poco e poi farci cadere repentinamente nel baratro.

Si nasce attori o si diventa?

Lo si diventa assolutamente ma è un lavoro lunghissimo che parte dal momento in cui emettiamo il primo vagito. Per il primo lungo periodo saranno la famiglia, la società, la vita che ci formeranno finché, ad un certo punto la nostra presa di coscienza ci spingerà a seguire un istinto, che tanto istinto non è, e così iniziamo a scegliere di formarci tecnicamente. Solo a quel punto lo studio ci aiuterà a tirare fuori quello che dal primo vagito abbiamo messo da parte, in un angolo, dentro noi, senza sapere a cosa servisse, fino a quando diciamo: Ah ecco a cosa serviva tutto quello che ho passato, a restituirlo un giorno a chi non ha ancora coscienza di averne bisogno.

Il suo primo grande successo che ha decretato la sua consacrazione rendendola nota al grande pubblico.

Senza dubbio la trasmissione televisiva condotta da Paolo Limiti. Non è stato il primo grande successo però mi ha decisamente reso noto al grande pubblico. È stato un periodo bellissimo e una grande scuola professionale. Quello che manca spesso oggi, lo constato sul campo, è quella che si definisce la gavetta. La gavetta è quel periodo della vita professionale dove lavori avendo sulle spalle relativamente poca responsabilità quindi puoi permetterti qualche piccolo errore, che se non si commette è meglio, ma che serve proprio alla crescita dell’artista e dell’uomo. Inoltre ti trovi a lavorare con artisti e maestranze con maggiore esperienza e dalle quali, se sei sveglio, hai solo da imparare. Il mondo oggi ha raggiunto però una frenetica velocità tale che sempre più spesso si saltano questi passaggi a beneficio di un apparente, ma in realtà dispendioso, risparmio economico da parte delle produzioni.

In famiglia o fra gli amici chi è stato a sostenere di più la sua vocazione artistica.

In famiglia mi hanno sostenuto tutti. La mia famiglia è piuttosto avvezza all’arte quindi tanto dialogo ma nessun veto. Mio padre ha sempre amato suonare e cantare tanto che in casa siamo pieni di strumenti. Mio nonno materno Rocco Paciocco è stato un pittore, scultore, musicista e poeta dialettale abruzzese. Suo figlio, mio zio Antonio Paciocco, pittore e poeta. Nella prima fase della sua vita la pittura ha riempito il suo mondo tutto, tanto che insiemi ad altri pittori e critici teatrali ha creato un nuovo movimento pittorico dal nome “Iperspazialismo”. Adesso invece è tornato alla sua grande passione giovanile che è stata la poesia ed ha già pubblicato due raccolte. Lui per me è un Artista vero.

Un personaggio che non ha mai interpretato e che magari le piacerebbe portare in scena?

 

In questa risposta sarò lapidario: Jean Valjean de’ I Miserabili per quanto riguarda il mondo del musical. Per il resto sarei felice di potermi confrontare con i classici della prosa del teatro italiano.