
Andrea Bindi, da piccolo sognavo di fare il pompiere
13 Settembre 2025Una poesia schietta che affonda le radici nella sofferenza dell’uomo quella di Andrea Bindi, poeta-pompiere balzato alla ribalta delle terze pagine dei giornali aretini per la diffusione repentina delle sue due prime raccolte andate più di una volta in ristampa.
Entrambi iniziano con la lettera P ma tra pompiere e poeta ne corre. Nel suo caso, invece, la forza si incontra con la tenerezza.
L’etichetta “pompiere poeta” mi fa sempre un po’ ridere ma ho imparato ad accettarla proprio nel suo sembrare un ossimoro naturale. Spiega perfettamente quello che siamo tutti, indipendentemente dal nostro lavoro, dal nostro guscio, dalla nostra “uniforme” di pompiere, di padre di uomo/donna, forte e quant’altro che portiamo ogni giorno, dentro siamo tutti sensibili. Il fatto che io non sia né più speciale né più sensibile di altri è il riscontro di pubblico. Evidentemente sono sensibili esattamente quanto me, io sono solo più veloce a raccontare le cose. Come ogni pompiere, rapido.
Se chiedessimo a dieci bambini cosa vuoi fare da grande? Non sarebbero pochi quelli che risponderebbero di voler fare il pompiere. Sarebbero sicuramente pochi quelli che vorrebbero fare il poeta. Lei come e quando ha scelto di intraprendere l’una e l’altra attività?
Questa per me è la domanda perfetta. Perché io da bambino sognavo di fare il pompiere come tanti altri, un sogno che con l’adolescenza si è nascosto dietro il sogno di poter scrivere, cosa che facevo negli anni delle scuole superiori anche con diverse soddisfazioni grazie ad una professoressa del mio istituto che aveva in qualche modo intuito e mi aiutava a coltivare questo, chiamiamolo talento (anche se io preferisco “mestiere”). Da grande ho fatto entrambe le cose. È bello realizzare i propri sogni. Lo dico sempre alle mie presentazioni, il segreto è avere dei sogni a misura di uomo. Per me ha funzionato.
A quale delle sue poesie si sente particolarmente legato e perché?
Sono legatissimo ad una poesia che è nascosta nel mio ultimo libro “Una storia vera”, uscito a Luglio e già alla sua seconda ristampa, lo sto portando in giro per tutta Italia. Non la troverete nell’indice, è molto intima.
Parla della perdita del mio amico, fratello, collega, Dario, una ferita fresca che sanguinerà sempre, ma parla anche di altro, di Alfredino Rampi… Parla di me. Di noi… È nascosta. Ma c’è.
Tra gli antichi ed i moderni poeti quale sente più nelle sue corde?
Sembra brutto dirlo io sono più un amante della narrativa rispetto alla poesia. Ne mastico migliaia di pagine. Tanto che Marco Vichi, il noto scrittore fiorentino ha definito il mio libro così: “non poesia narrativa non è narrativa poetica. Non so cosa sia ma mi piace…” Come se avessi inventato qualcosa di nuovo.
Se devo fare dei nomi preferiti sono questi: Pavese, Pasolini, Bukowski, Ungaretti, Saba, Carver, De Andrè, Bob Dylan, Bruce Springsteen, Guccini, Ivan Graziani, De Gregori, Rino Gaetano e molti altri, più con la chitarra che senza. Ad essere onesti. Quello che mi fa ridere, commuovere, a volte piangere è Francesco Nuti per me uno dei più grandi artisti italiani mai abbastanza ricordati la canzone “Sarà per te” e il film “Tutta colpa del paradiso” gli bastino alla gloria eterna. Che ancora non ha in questo paese ingrato.
Con una poesia si può spegnere un fuoco o dare inizio ad un grande incendio?
Con la poesia, se efficace, come ogni arte, si può solo accendere. A spegnere ci pensa la routine, la normalità, la stanchezza, la vita stessa… Gli artisti sono qui apposta. Per accendere continuamente. “Nasci da incendiario. Muori da pompiere…” Io vivo in bilico, direbbe Vasco.
L’attività del vigile del fuoco richiede risposte immediate anche in termini fisici. Lei come cura questo aspetto ed anche la scelta alimentare?
Io sono un tradizionalista, un tipo vintage, amante della ghisa se così si può dire. Adoro la solitudine della sala pesi prima e dopo il turno. Mi fa stare bene.
La musica giusta, il carico giusto, né troppo né poco. Vado a camminare, ma fuori.
L’invenzione del tapis roulant non la capirò mai, camminare guardando un muro non fa per me. Non seguo particolari diete ma, soprattutto in caserma, cerco la leggerezza senza rinunciare all’energia.