Vangelo in Salute, la Parola che cura: “Se uno non odia suo padre …”

Vangelo in Salute, la Parola che cura: “Se uno non odia suo padre …”

7 Settembre 2025 Off Di Fabio De Biase

 

 Il Vangelo non si svende: seguire Cristo è una scelta radicale che chiede cuore libero e mani vuote.

 

Il Vangelo della XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Lc 14,25-33) è tra i più esigenti e provocatori che Gesù abbia mai pronunciato. Non è un discorso rassicurante, non è una promessa di facilità. Anzi, sembra quasi voler scoraggiare la folla che lo segue. Dice infatti: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.”

Parole dure, che non ammettono sconti. Gesù non cerca consensi facili, non inganna nessuno con promesse illusorie. Presenta il cammino del discepolato come una scelta radicale che coinvolge tutto: affetti, progetti, beni materiali, la vita stessa. Il cristianesimo non è un’aggiunta decorativa, ma un nuovo modo di vivere che richiede cuore indiviso.

La malattia che questo Vangelo mette in luce è quella delle mezze misure. Seguire Cristo “un po’ sì e un po’ no”, adattando il Vangelo alle nostre comodità, cercando di conciliare fede e compromessi, Vangelo e calcoli di convenienza. È l’anemia spirituale di chi non vuole rinunciare a nulla e finisce per non scegliere mai davvero.

Gesù, invece, è radicale: non accetta un cuore diviso. La sua parola non è contro gli affetti o i legami familiari, ma li relativizza. Dice: nessun amore umano può occupare il posto che spetta a Dio. Perché solo se Dio è al primo posto, gli altri affetti trovano equilibrio e verità. È la cura contro le dipendenze affettive, contro le idolatrie mascherate da amore, contro la tentazione di assolutizzare ciò che, pur bello, resta penultimo.

“Chi non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.” La croce non è un evento da subire passivamente, ma una scelta di amore attivo. È la disponibilità a vivere con fedeltà il Vangelo anche quando costa, anche quando significa andare controcorrente.

Quante volte pensiamo alla croce solo come a una sventura da sopportare! Gesù invece la presenta come lo strumento della sequela. Portare la croce significa assumere la logica del dono, accettare di perdere qualcosa per guadagnare la vita vera. È la terapia che guarisce dall’egoismo e dall’illusione di poter vivere senza sacrificio.

Gesù, nel Vangelo, racconta due brevi parabole: quella dell’uomo che vuole costruire una torre e quella del re che si prepara a una guerra. Entrambe hanno lo stesso messaggio: prima di iniziare, valuta se sei disposto ad andare fino in fondo. Non perché il Vangelo sia per pochi “eroi”, ma perché non può essere preso alla leggera. È troppo serio per ridurlo a un entusiasmo passeggero o a un’emozione superficiale.

Questo calcolo evangelico non è scoraggiamento, ma realismo. Gesù non vuole seguaci improvvisati, che alla prima difficoltà scappano. Vuole discepoli maturi, consapevoli, liberi. E la libertà ha un prezzo: rinunciare a possedere tutto per poter essere posseduti da Dio.

 

Ecco la medicina che questa Parola ci offre: liberarci dal superfluo che ci appesantisce. “Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.” Non si tratta solo di beni materiali, ma di tutto ciò che occupa il cuore e ci impedisce di amare in pienezza.

Viviamo in un mondo malato di accumulo: accumulo di oggetti, di sicurezze, di riconoscimenti. È un virus che contagia anche la fede, trasformando il cristianesimo in un bene di consumo tra gli altri. Il Vangelo ci cura proprio qui: ci chiede mani vuote, perché solo mani libere possono accogliere il dono di Dio.

Questa Domenica di Tuttosanità diventa allora un’occasione di check-up spirituale: quali beni, quali legami, quali paure mi stanno impedendo di seguire Cristo con cuore libero? A cosa non riesco a rinunciare, e che diventa il mio vero “dio”?

 

La Parola di oggi non parla solo ai singoli, ma anche alla Chiesa intera. Una comunità cristiana che cerca di piacere a tutti, che si accontenta di essere tollerata, che preferisce non disturbare nessuno, rischia di ammalarsi gravemente. La Chiesa è sana solo quando mette Cristo al centro, anche a costo di pagare incomprensioni e rifiuti.

Essere discepoli non è garantire il consenso, ma testimoniare la verità. Non è scendere a patti con le logiche mondane, ma portare la croce con amore. Non è costruire progetti grandiosi senza fondamento, ma scegliere ogni giorno di seguire Cristo con semplicità e radicalità.

 

Per riflettere 

Il Vangelo di questa domenica è un farmaco potente: cura le nostre mezze misure e ci restituisce il coraggio della radicalità. Non per spaventarci, ma per liberarci. Perché solo chi ha il coraggio di perdere qualcosa scopre la gioia di trovare tutto. Solo chi porta la croce con amore scopre che essa non è peso di morte, ma albero di vita.

E allora la domanda rimane aperta, forte, urgente: sono disposto a lasciare cadere ciò che mi appesantisce, a relativizzare ciò che mi lega, a portare con amore la croce che mi viene affidata? O preferisco un cristianesimo leggero, senza rinunce, senza sacrifici, senza Vangelo vero?

Gesù oggi non ci illude. Ci mette davanti la verità: seguirlo costa. Ma è l’unico costo che vale la pena pagare, perché apre alla gioia piena di una vita guarita, libera e salvata.