Vangelo in Salute, la Parola che cura: … ignorare i bisogni degli altri

Vangelo in Salute, la Parola che cura: … ignorare i bisogni degli altri

28 Settembre 2025 Off Di Fabio De Biase

Non è l’abbondanza a condannare, ma l’indifferenza che ci rende ciechi davanti alla carne ferita del povero.

Il Vangelo di questa XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Lc 16,19-31) è un pugno nello stomaco. Gesù non racconta una parabola rassicurante, ma una scena drammatica che contrappone due mondi: da un lato un uomo ricco, vestito di porpora e di bisso, che ogni giorno banchetta lautamente; dall’altro un povero, di nome Lazzaro, coperto di piaghe, che giace alla sua porta desideroso delle briciole che cadono dalla tavola.

La morte arriva per entrambi, e le sorti si ribaltano: Lazzaro è accolto nel seno di Abramo, il ricco precipita nell’abisso della sofferenza. È una parabola che non lascia spazio a interpretazioni comode. Non si tratta di demonizzare i beni materiali, ma di smascherare la malattia che uccide: l’indifferenza.

Il Vangelo non dice che il ricco abbia commesso crimini o violenze. Non ci sono parole di arroganza o gesti di cattiveria. La sua condanna nasce da una malattia più subdola e diffusa: l’incapacità di vedere. Alla sua porta c’era un povero concreto, con un nome, con delle ferite, con un bisogno. Ma il ricco non lo vede, o peggio, lo ignora.

La vera colpa è vivere chiusi nel proprio benessere, come se l’altro non esistesse. È la cecità spirituale che anestetizza la coscienza, che trasforma il cuore in pietra. È la malattia dell’indifferenza che oggi colpisce anche noi: quante volte preferiamo non vedere, non sapere, non lasciarci disturbare?

Il Vangelo è medicina che cura questa cecità. Gesù ci ricorda che il povero non è un optional della fede, ma il luogo concreto in cui si gioca la nostra salvezza. Non è possibile amare Dio senza amare il povero che ci sta davanti.

La terapia che ci offre è semplice e radicale: aprire gli occhi, riconoscere, lasciarsi toccare. Il ricco non è condannato perché ha goduto della vita, ma perché ha vissuto come se Lazzaro non fosse mai esistito. La guarigione comincia quando impariamo a vedere i “Lazzaro” che abitano le nostre strade: gli invisibili, gli scartati, i migranti, i malati soli, i poveri dimenticati.

La parabola descrive, dopo la morte, un abisso invalicabile tra il ricco e Lazzaro. Ma quell’abisso non nasce dopo: esisteva già prima, scavato giorno dopo giorno dall’indifferenza. È il fossato che si crea quando i ricchi e i poveri vivono in mondi paralleli, senza mai incontrarsi.

La Parola ci dice che questo abisso non è volontà di Dio, ma conseguenza delle nostre scelte. Ogni volta che chiudiamo gli occhi davanti al dolore, allarghiamo la distanza. Ogni volta che condividiamo, che ci facciamo prossimi, che spezziamo il pane, costruiamo ponti.

Il Vangelo ci mostra anche un altro aspetto della malattia spirituale: la sordità alla Parola di Dio. Nella parabola, il ricco chiede che Abramo mandi Lazzaro ad avvisare i suoi fratelli. Ma Abramo risponde: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro.” E alla replica insistente: “Se qualcuno dai morti andrà da loro, si convertiranno”, Abramo ribadisce: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi.”

È una denuncia forte: abbiamo già la Parola che ci indica la via, ma non l’ascoltiamo. Siamo malati di sordità spirituale, sempre in attesa di segni straordinari, e incapaci di lasciarci convertire dall’ordinario Vangelo che ogni domenica ci viene annunciato.

La Domenica di Tuttosanità è allora un invito a fare un esame di coscienza: la Parola di Dio è davvero la medicina che plasmo la mia vita, o rimane una voce lontana che non incide nelle scelte quotidiane?

La parabola interpella anche la Chiesa. Siamo chiamati a essere “ospedale da campo”, come spesso si ripete, ma questo significa toccare le ferite reali, non predicare a distanza. Una Chiesa che non sta dalla parte dei poveri rischia di tradire il Vangelo.

Il ricco banchettava ogni giorno, mentre Lazzaro moriva di fame. Non accada che anche le nostre comunità diventino luoghi di autoreferenzialità, pieni di iniziative per sé stesse ma incapaci di aprirsi ai bisogni dei più deboli. La Chiesa è sana quando sa condividere, quando non ha paura di sporcarsi le mani, quando non costruisce muri ma ponti.

Per riflettere

Il Vangelo di oggi non è solo ammonizione, ma speranza. Ci dice che è ancora possibile guarire dalla cecità e dall’indifferenza. Ci invita a vedere il Lazzaro alla nostra porta, a non rimandare, a non delegare. Perché il tempo della conversione è ora.

Non possiamo aspettare segni straordinari: la Parola è già tra noi, Cristo è risorto, i poveri ci parlano. La cura è semplice: aprire gli occhi, tendere la mano, condividere il pane.

La domanda che rimane è provocatoria e personale: chi è il Lazzaro che io sto ignorando? Quale abisso sto scavando con la mia indifferenza? Voglio davvero guarire dalla cecità, o preferisco rimanere chiuso nei miei banchetti?

Il Vangelo oggi è medicina amara, ma necessaria. Ci ricorda che la salvezza passa attraverso lo sguardo che riconosce, il cuore che si apre, la mano che dona. Solo così la vita diventa sana, e la nostra comunità una vera casa di tuttisanità.