Vangelo in Salute: la Parola che Cura

Vangelo in Salute: la Parola che Cura

21 Dicembre 2025 Off Di Fabio De Biase

Quando i sogni diventano obbedienza: guarire la fede dal bisogno di capire tutto.

Il Vangelo di questa IV Domenica di Avvento (Mt 1,18-24) ci conduce nel cuore silenzioso del mistero: la nascita di Gesù vista attraverso gli occhi di Giuseppe.

È un brano discreto, intimo, fatto di sogni e decisioni, di silenzi e obbedienze.

Non ci sono angeli che cantano né folla che acclama.

Solo un uomo che si trova davanti a un bivio, come tanti di noi: fidarsi o tirarsi indietro.

Giuseppe non parla mai nel Vangelo, ma agisce.

E in quell’azione silenziosa — fatta di discernimento, accoglienza e fiducia — si gioca uno dei passaggi più importanti della storia della salvezza.

La sua è una fede che non grida, ma costruisce.

Una fede che non pretende di capire tutto, ma si lascia condurre.

“Maria, sua sposa, rimase incinta per opera dello Spirito Santo.”

Questa frase, oggi, ci suona familiare. Ma per Giuseppe fu un terremoto.

Tutto ciò che aveva progettato andava in frantumi.

Eppure non reagisce con rabbia, ma con giustizia: “Giuseppe, uomo giusto, non voleva accusarla pubblicamente, decise di ripudiarla in segreto.”

Quella di Giuseppe è la crisi di un uomo giusto che non capisce, ma ama.

Non c’è rabbia in lui, ma disorientamento.

E in questa sua confusione c’è la nostra.

Viviamo in un tempo che ha paura del mistero.

Tutto dev’essere spiegabile, quantificabile, sotto controllo.

Anche la fede rischia di ammalarsi di razionalismo spirituale: vogliamo capire prima di fidarci, calcolare prima di amare, programmare prima di obbedire.

Il Vangelo di oggi cura proprio questa malattia del controllo.

Ci insegna che Dio non sempre si capisce, ma sempre si può accogliere.

Che la fede non è un’equazione, ma un abbandono.

E che spesso la grazia entra nella vita quando smettiamo di volerla gestire.

Giuseppe si trova nella notte della sua vita.

È lì che Dio gli parla: non in pieno giorno, ma in sogno.

Il sogno, nella Bibbia, è il luogo in cui la mente si arrende e il cuore diventa docile.

È il linguaggio di Dio per chi accetta di non avere più il controllo.

“Non temere di prendere con te Maria, tua sposa,” dice l’angelo.

È la frase più liberante del Vangelo: “Non temere.”

Non temere di fidarti, non temere del nuovo, non temere del mistero.

La terapia del sogno è lasciare che Dio parli al cuore, non solo alla ragione.

È imparare l’ascolto silenzioso, la disponibilità dell’anima, la fiducia che trasforma la paura in accoglienza.

Giuseppe si sveglia, e “fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore”.

Non discute, non procrastina, non pretende segni aggiuntivi: obbedisce nell’amore.

La fede sana non è quella che capisce tutto, ma quella che, anche nel buio, continua a fidarsi.

Viviamo in un mondo assordato da parole, notizie, commenti, interpretazioni.

Anche nella Chiesa, a volte, parliamo troppo e ascoltiamo poco.

Giuseppe ci insegna la terapia del silenzio attivo: quel silenzio che non è assenza di pensiero, ma spazio di discernimento.

In questa Domenica di Tuttosanità, il Vangelo ci invita a guarire dalla febbre del dire e del capire subito, per riscoprire la salute spirituale dell’ascolto.

Dio parla a chi non riempie di rumore il cuore.

Parla nei sogni, nei tempi lenti, nei gesti semplici.

Parla nel quotidiano, se gli lasciamo spazio.

Giuseppe non chiede garanzie.

Sceglie la fiducia, e in quel “sì” silenzioso diventa custode della più grande storia d’amore.

È l’icona di una fede che sa accogliere il mistero senza fuggire, che sa restare in piedi anche quando tutto cambia.

La fede sana è quella che trasforma la paura in custodia, l’incomprensione in tenerezza, la prova in possibilità di amore.

Il mistero dell’Incarnazione si realizza nel momento esatto in cui un uomo accetta di non capire.

Dio entra nella storia attraverso una fiducia, non attraverso un calcolo.

È una logica disarmante: la salvezza comincia quando un cuore umano smette di opporre resistenza.

Giuseppe ci insegna che la volontà di Dio non si capisce a tavolino, ma si scopre vivendo, accogliendo, rischiando.

E che la fede autentica è sempre un atto di coraggio.

Il suo “sì” silenzioso è la più alta forma di parola evangelica: è l’amen dell’uomo giusto che si fida più della voce di Dio che delle proprie paure.

E proprio per questo, diventa guaritore di fiducia, padre di un figlio che non ha generato, custode di un mistero che non possiede.

Per riflettere : la fede che guarisce dal bisogno di capire

Alla vigilia del Natale, il Vangelo ci consegna un modello di salute spirituale che è anche un programma di vita: fidarsi di Dio senza doverlo capire subito.

Giuseppe non è un eroe, ma un uomo guarito dal timore di sbagliare.

È il santo dell’accoglienza, il patrono del discernimento, il custode del silenzio fecondo.

La sua storia ci insegna che la fede matura non ha bisogno di spiegazioni, ma di presenza.

Che Dio non pretende chiarezza, ma disponibilità.

E che spesso la luce arriva solo dopo aver detto “sì” nel buio.

In un mondo che ha paura di non capire, Giuseppe ci insegna la fiducia che libera, la docilità che costruisce, la serenità di chi sa che Dio guida la storia anche quando non si vede la direzione.

E così la IV Domenica di Avvento diventa una grande lezione di Tuttosanità spirituale: la guarigione del cuore che smette di controllare per imparare ad accogliere.

È la salute dell’anima che dice:

“Non ho capito tutto, ma ho creduto. E questo mi basta.”