Vangelo in Salute: la Parola che Cura
14 Dicembre 2025La gioia non nasce dal possedere tutto, ma dal riconoscere che Dio non ha smesso di venire.
La terza domenica di Avvento si chiama “Gaudete”, “rallegratevi”. È come un raggio di luce che attraversa il tempo dell’attesa e lo colora di speranza.
Il Vangelo ci presenta ancora una volta Giovanni il Battista, ma questa volta non più libero nel deserto: è in prigione.
Lui, la voce che gridava, ora tace dietro le sbarre.
E da quella cella manda una domanda che contiene il dramma di ogni credente:
“Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettarne un altro?” (Mt 11,3).
La gioia di questa domenica non nasce da una situazione facile, ma da una Parola che entra dentro la prigione.
È la gioia che nasce anche quando non tutto va bene, ma si scopre che Dio è presente lo stesso.
Giovanni non dubita per debolezza, ma per amore della verità.
Aveva annunciato un Messia potente, che avrebbe “bruciato la pula con fuoco inestinguibile”; invece vede Gesù che guarisce, accarezza, perdona.
La realtà non coincide con le attese.
È la stessa esperienza di tanti credenti di oggi: ci si aspetta da Dio un intervento forte, risolutivo, e invece arriva la discrezione della misericordia.
La fede, allora, si ammala di delusione.
È la malattia di chi ha creduto tanto e si sente disorientato.
Di chi ha pregato e non ha visto risultati.
Di chi, pur amando Dio, non capisce i suoi silenzi.
Giovanni rappresenta tutti i credenti che, pur restando fedeli, si scoprono feriti.
La prigione del Battista è quella interiore in cui ogni uomo, prima o poi, si trova: il luogo dove la fede non coincide più con le proprie immagini di Dio.
Gesù non risponde con un discorso, ma con i fatti:
“Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano e ai poveri è annunciato il Vangelo.” (Mt 11,4-5)
Gesù non cambia la realtà, la trasforma dal di dentro.
Non abbatte le prigioni, ma riaccende la speranza.
È come se dicesse: “Giovanni, non guardare cosa non è successo; guarda ciò che sta già accadendo.”
La terapia che Gesù offre al dubbio è la memoria dei segni, la capacità di riconoscere i germogli di bene dentro la terra arida.
È la medicina contro la cecità del cuore: smettere di misurare Dio con le proprie attese e lasciarsi sorprendere dal suo modo di agire.
Gesù non risponde alla domanda di Giovanni, ma la trasforma in un’esperienza di fiducia.
E aggiunge: “Beato è colui che non si scandalizza di me.”
È come dire: “Beato chi non pretende che Dio corrisponda ai propri schemi, ma accetta di farsi guarire dalla sua libertà.”
La Domenica di Tuttosanità di oggi ci mette davanti alla sindrome del disincanto spirituale.
È la fede di chi continua a praticare, ma senza entusiasmo.
Di chi recita preghiere, ma senza più stupore.
Di chi ha fatto della fede una routine e non una relazione.
Gesù ci cura con la pedagogia della speranza: ci invita a tornare ai piccoli segni quotidiani della sua presenza.
Un perdono offerto, un dolore attraversato con dignità, una persona che ricomincia a credere: ecco i veri miracoli del Vangelo.
La guarigione spirituale non consiste nel ricevere ciò che si desidera, ma nel riconoscere che Dio continua a operare anche quando non si vede.
La gioia cristiana non nasce dal controllo, ma dalla fiducia.
È la salute del cuore che ha imparato a vedere la vita come dono, non come pretesa.
Dopo aver risposto ai discepoli del Battista, Gesù si rivolge alla folla e pronuncia una delle frasi più belle del Vangelo:
“Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Ecco, tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista.”
Gesù non rimprovera Giovanni per il dubbio: lo loda per la sua sincerità.
Perché Dio non si scandalizza delle nostre crisi, ma delle nostre finzioni.
Il dubbio, se nasce da un cuore che cerca, è già preghiera.
E anche quando vacilliamo, restiamo nel suo amore.
In questo c’è una grande lezione di “tuttosanità spirituale”: Dio non cerca credenti perfetti, ma veri.
Il cristiano non è chi non cade mai, ma chi non smette mai di cercare.
La fede non è un antidoto alla fragilità, ma la capacità di portarla dentro la relazione con Dio.
“Gaudete” — rallegratevi — non è un invito superficiale alla spensieratezza, ma un atto di fiducia.
È la gioia di chi sa che Dio non ha smesso di venire, anche se i tempi sembrano bui.
È la serenità di chi riconosce che il Regno è già in mezzo a noi, in forma di seme, in forma di carezza.
La gioia cristiana non nega il dolore, ma lo abbraccia con speranza.
È il frutto maturo di una fede guarita dalla delusione.
Quando impariamo a riconoscere Dio nei piccoli segni — nei gesti umili, nella fedeltà quotidiana, nella bontà che resiste — allora la nostra anima torna in salute.
Il Vangelo di oggi è una medicina dolce ma profonda: guarisce la fede stanca, restituisce colore all’anima, ridona fiato al cuore.
Per riflettere : la prigione non è l’ultima parola
Giovanni non uscirà più dalla sua prigione, ma la Parola di Gesù gli apre una libertà più grande: quella del cuore che si fida.
La fede non elimina le sbarre, ma le trasforma in finestre di speranza.
È questo il miracolo dell’Avvento: scoprire che Dio viene proprio nei luoghi dove non lo aspettavamo più.
Quando tutto sembra fermo, Lui agisce.
Quando tutto sembra silenzio, Lui parla.
Quando tutto sembra chiuso, Lui entra.
Ed è allora che la gioia diventa vera, perché non dipende più dalle circostanze, ma dalla certezza che Dio è con noi, e non smetterà mai di venire.



