Vangelo in Salute, la Parola che cura: il Buon Pastore

Vangelo in Salute, la Parola che cura: il Buon Pastore

11 Maggio 2025 Off Di Fabio De Biase

Siamo pecore che ascoltano o malati che fuggono? La voce di Cristo è terapia o diagnosi che rifiutiamo?

La IV Domenica di Pasqua, con il Vangelo di Giovanni (10,27-30), ci riporta ancora una volta all’immagine amata del Buon Pastore. Parole che molti di noi hanno ascoltato fin dall’infanzia e che ci accompagnano nelle liturgie pasquali come un ritornello di conforto: «Le mie pecore ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano».

Tuttavia, queste parole non sono un semplice quadretto di rassicurazione sentimentale. Se le prendiamo sul serio, sono un vero e proprio atto clinico: diagnosi e cura insieme. Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di un Vangelo “in salute”, capace di curare una fede stanca e un’umanità affaticata.

Gesù non si limita a guidare come un pastore qualsiasi. Quando dice che conosce le sue pecore, usa un verbo che indica una conoscenza profonda, personale, quasi chirurgica. Cristo è il medico che sa leggere dentro i cuori, che sa riconoscere senza sconti né illusioni le ferite nascoste di ciascuno. Questa sua conoscenza non schiaccia, ma libera, perché è l’unica capace di restituirci a noi stessi nella verità.

E qui comincia la prima vera sfida di questo Vangelo: vogliamo davvero essere conosciuti così a fondo? Oppure preferiamo restare nascosti, evitando che la luce della Parola metta a nudo le nostre debolezze? È un interrogativo scomodo, perché tocca la nostra tentazione più ricorrente: non solo quella di fuggire da Dio, ma anche di fuggire da noi stessi, dalle nostre malattie spirituali che non vogliamo ammettere.

Nel linguaggio della medicina si parla sempre più spesso di prevenzione e diagnosi precoce. Eppure, paradossalmente, sul piano della fede noi ritardiamo costantemente il momento di farci “visitare” da Dio. Rimandiamo l’ascolto vero della Sua voce, rimandiamo la confessione sincera, rimandiamo la resa della nostra volontà alla Sua guida. Siamo pazienti riottosi, che cambiano medico ogni volta che la diagnosi diventa troppo vera.

Ma la voce di Cristo non è solo diagnosi. È anche cura. È terapia di lungo corso. Non un rimedio miracoloso che cancella le ferite all’istante, ma una medicina che accompagna la nostra storia. «Io do loro la vita eterna» dice Gesù. Non si tratta di una promessa astratta per un tempo lontano; la vita eterna comincia già adesso, ogni volta che entriamo in relazione con Lui e ci lasciamo plasmare dalla Sua voce.

Viviamo un’epoca in cui la salute fisica è diventata quasi una religione. Siamo attenti a ciò che mangiamo, al nostro corpo, facciamo sport, controlli medici, terapie alternative. Eppure la salute spirituale — la salute dell’anima, del cuore, delle relazioni — è trascurata, come se fosse un lusso superfluo o un tema secondario. Il Vangelo ci dice invece che la salute vera è integrale: solo quando l’uomo è riconciliato con Dio e con stesso, allora anche il resto della vita trova equilibrio e armonia.

Seguire la voce di Cristo è il cammino più sano che possiamo compiere. Non è un sentiero facile, ma è sicuro. È un percorso in cui le Sue mani ci sorreggono. Quella frase — «Nessuno le strapperà dalla mia mano» — è una delle più forti di tutto il Nuovo Testamento. Ci dice che, anche quando noi vacilliamo, la Sua presa non si indebolisce. Le Sue mani, trafitte dalla croce ma potenti nella risurrezione, sono le mani del medico che non abbandona mai il paziente, anche quando la terapia si fa lunga e faticosa.

Eppure, la condizione per ricevere questa cura è una sola: l’ascolto. «Le mie pecore ascoltano la mia voce». Non basta essere battezzati, non basta appartenere alla comunità cristiana solo formalmente. Senza ascolto vero, non c’è relazione, non c’è guarigione. Ascoltare significa fermarsi, fare silenzio, aprirsi, lasciare che quella voce entri nelle nostre giornate. Invece, siamo spesso distratti. La Parola di Dio ci attraversa come un rumore di fondo, mentre diamo retta ad altre voci: quelle del mercato, della politica, della cronaca, dei social.

Siamo in balia di voci che promettono benessere ma non lo danno. Ideologie, mode, consumismi… Tutte queste voci sono surrogatidella vera voce del Pastore. E ci lasciano più soli e più ammalati di prima.

In questi giorni, proprio nei suoi primi passi come Pontefice, Papa Leone XIV ha offerto parole che ci aiutano a rileggere questo Vangelo. Nel suo primo discorso al mondo — «La pace sia con tutti voi, disarmata e disarmante» — e nella sua omelia del giorno successivo, il Santo Padre ha evocato l’immagine di una Chiesa che si avvicina con “una medicina di prossimità spirituale”. Non si tratta solo di un’immagine suggestiva, ma di un orientamento che interpella la nostra responsabilità ecclesiale e personale.

Il nuovo Pontefice ci invita a diventare uomini e donne capaci di vicinanza, di ascolto e di cura semplice, senza arroganze e senza barriere. Egli ci ricorda che la voce di Cristo si fa sentire soprattutto quando ci rendiamo strumenti di pace e di prossimità. E questa è già terapia. La Chiesa che Papa Leone XIV intravede — e che noi tutti siamo chiamati a costruire — è una comunità che non impone, ma si avvicina; che non brandisce verità come armi, ma offre verità come medicina; che non alza barriere, ma tende mani.

Ecco, allora, il significato più pieno della “Domenica di Tuttosanità”. Non una celebrazione della salute solo fisica — pur importante — ma una festa della salute integrale, che riguarda tutto l’uomo: corpo, mente, spirito, relazioni.

Il Vangelo ci chiede oggi di chiederci, con sincerità e senza paura: siamo pecore che ascoltano o malati che fuggono? Siamo disposti a lasciarci conoscere e curare, o preferiamo rimandare ancora? La voce del Pastore è chiara, la Sua mano è salda. Sta a noi decidere se fidarci e seguire.

Perché solo una fede “in salute” può diventare testimonianza credibile in un mondo sempre più malato di paura e di solitudine.