Lorenzo Midili, con l’IA maggiore produttività ma occhio ai burnout

Lorenzo Midili, con l’IA maggiore produttività ma occhio ai burnout

21 Dicembre 2025 Off Di Marco Magliulo & Pasquale Maria Sansone

Lorenzo Midili, avvocato internazionale, membro della Camera Penale Militare,autore del libro Metaverso Militare dal 2025 ricopre l’incarico di Vice Commissario provinciale di Viterbo per “Noi Moderati”.

Sono passati pochi anni e pure con l’entrata della IA un pò in tutti i segmenti del consorzio umano tutto è “diventato più veloce”.

Certamente.
L’accelerazione impressa dall’intelligenza artificiale, in quasi tutti i settori della vita economica, sociale e culturale, è un fenomeno oggettivo e sotto gli occhi, ormai, di tutti. In pochi anni abbiamo compresso processi che richiedevano giorni in operazioni che oggi si concludono in minuti, se non in secondi. Questo aumento di velocità ha prodotto benefici evidenti determinando una maggiore produttività, accesso democratizzato alla conoscenza, riduzione di costi e tempi in settori come la sanità, la ricerca, l’istruzione e l’amministrazione pubblica. È un progresso che, se ben governato, rappresenta una straordinaria opportunità per migliorare la qualità della vita dei cittadini e la competitività del nostro Paese. In ogni caso, come ogni trasformazione epocale, porta con sé anche diverse problematiche. L’aumento del ritmo lavorativo e informativo rischia di generare burnout, polarizzazione dell’attenzione e una sensazione diffusa di “corsa perpetua” che può erodere il tempo per la riflessione, la creatività profonda e le relazioni umane. Per questo ritengo che l’Italia abbia oggi un compito preciso, quello di accompagnare questa accelerazione con regole chiare, investimenti in formazione continua e politiche di benessere che permettano alle persone di beneficiare della velocità senza esserne travolte. Dobbiamo fare in modo che la tecnologia ci faccia guadagnare tempo di qualità, non che ce lo sottragga. Brevemente possiamo dire che sì, tutto è diventato più veloce, ed è una grande opportunità. Ma la vera sfida per chi governa è trasformare questa velocità in progresso sostenibile, inclusivo e a misura d’uomo.

Lei è giovanissimo e pure chi dovesse sintetizzare un suo curriculum scorrendo i suoi numerosi titoli di studio penserebbe di trovarsi di fronte ad un accademico navigato. Per dirla alla Alfieri: lei ha studiato studiato, fortissimamente studiato.

Vi ringrazio per il complimento, anche se forse un po’ eccessivo. Parafrasando in prima persona il grande Vittorio con un pizzico di autoironia: “Volli, e volli sempre, fortissimamente volli… arrivare in fondo a questo bellissimo percorso senza perdermi per strada.”

Non mi considero affatto un accademico navigato, ma semplicemente una persona che ha avuto la fortuna di poter studiare molto e di farlo con passione. I titoli e gli studi sono stati per me solo il mezzo, mai il fine. L’obiettivo è sempre stato uno solo, rendere la preparazione concreta e utile in un momento storico che richiede decisioni rapide, informate e responsabili.
Per questo ho scelto di tradurre gli studi in azione concreta, di portare competenza dentro le istituzioni e di metterla al servizio delle persone, delle famiglie, delle imprese e delle comunità.
La conoscenza, se resta chiusa nei libri o appesa a un muro, è sterile. Diventa valore solo quando si traduce in leggi più giuste, in politiche più efficaci, in soluzioni che migliorano davvero la vita delle persone. Cercherò di continuare a studiare con la stessa costanza di sempre perché in un mondo che corre, la serietà e la preparazione non sono un lusso, ma un dovere verso chi ci affida il futuro.

L’intelligenza artificiale è vista da alcuni come la panacea a tutti i mali. Da altri il possibile punto di partenza di una umanità che cede troppo spazio alle macchine. In questo magari influenzati da non pochi film di fantascienza che hanno trattato il tema. Lei cosa pensa in merito?

L’intelligenza artificiale rappresenta indubbiamente una delle più grandi innovazioni della storia umana, con un potenziale trasformativo che va ben oltre le narrazioni fantascientifiche. Da un lato, può essere un potente alleato nella risoluzione di problematiche mondiali, dalla lotta alle malattie alla sostenibilità ambientale, dalla ottimizzazione dei processi produttivi alla democratizzazione dell’accesso alla conoscenza. Non è una panacea assoluta, ma uno strumento che, se impiegato con saggezza, può accelerare il progresso e migliorare la qualità della vita per milioni di persone.
Dall’altro, comprendo le preoccupazioni di chi vede nell’IA un rischio di eccessiva delega alle macchine, con potenziali impatti su occupazione, privacy, etica e persino sull’essenza stessa dell’umanità. Influenzati o meno da film come “2001: Odissea nello spazio” o “Matrix”, questi timori sono legittimi e devono essere affrontati con serietà, non con dismissione. La mia posizione è chiara, l’IA non è né salvatrice né distruttrice per decreto, ma ciò che diventerà dipende dalle scelte che facciamo oggi. Credo fermamente nella necessità di una governance responsabile, quindi investire in ricerca e innovazione etica, promuovere regolamentazioni europee e nazionali che tutelino i diritti umani, garantiscano la trasparenza degli algoritmi e prevengano abusi, come già delineato nel Regolamento UE sull’IA. Dobbiamo formare le nuove generazioni, sostenere le imprese nel transito digitale e assicurare che i benefici siano distribuiti equamente, senza lasciare indietro nessuno. Cerchiamo di abbracciare l’IA come opportunità, ma con gli occhi aperti sui rischi. È nostro dovere guidare questa evoluzione affinché serva l’uomo, non lo sostituisca. Solo così trasformeremo la paura in progresso condiviso.

Lei ha conseguito nel 2025 a Barcellona un prestigioso riconoscimento conferitole dall’ Institution del Mérito Humanitario per il costante impegno in favore degli altri. La Gran Croce al Merito e Diritto Umanitario è stata nel tempo conferita a personalità di assoluto rilievo nel mondo.
Ci vuole raccontare questa sua significativa esperienza di vita?

Ricordo la cerimonia con grande felicità. Questa onorificenza, per me, non rappresenta un punto di arrivo, ma un richiamo continuo al dovere di porsi al servizio degli altri, specialmente di coloro che soffrono a causa dei conflitti, della fame, delle persecuzioni. È stata la conferma che la scelta di dedicare la propria vita alla difesa della dignità umana, anche nei contesti più difficili e dolorosi, conserva un valore che attraversa le generazioni e i confini. Ricevere la Gran Croce accanto a nomi che hanno scritto pagine luminose di impegno per l’umanità mi ha profondamente commosso e, al tempo stesso, mi ha dato nuova forza. La porterò sempre con me non come un trofeo, ma come un impegno silenzioso e quotidiano. Continuare a lavorare con umiltà, perché ogni persona, in qualunque parte del mondo, possa vivere libera dalla paura e dalla violenza. Grazie ancora per avermi permesso di rivivere questo momento così significativo. Rimane per me uno dei ricordi più preziosi della mia vita.

L’Italia ed il mondo vivono un momento di grande incertezza e confusione. Il diritto internazionale è stato abbondantemente calpestato, per non parlare del ruolo marginale assunto dall’Onu. Guardando alle guerre concretamente combattute, e francamente sono troppe, e a quelle che quotidianamente ci arrivano attraverso i media si arriva alla conclusione che il presente ed il futuro dell’umanità stanno diventando sempre più incerti. Esiste ancora una “ricetta moderata” per provare ad invertire la tendenza?

Viviamo un tempo in cui il fragore delle armi sembra coprire ogni altra voce e il futuro appare avvolto da una nebbia d’incertezza. Eppure, proprio in questa oscurità, la via moderata conserva intatta la sua luce. Una guerra non scoppia soltanto per interessi di potere o per confini contesi, bensì nasce prima di tutto dentro di noi, quando la paura dell’altro diventa più forte della fiducia, quando la differenza si trasforma in minaccia, quando proiettiamo sull’avversario le nostre ombre più profonde. È un meccanismo antico, quasi archetipico, deumanizziamo per poter colpire senza rimorso.
Il diritto internazionale, in questo caso, è o dovrebbe essere l’antidoto consapevole a questo meccanismo. Non si parla di un semplice insieme di normative, ma di un patto di civiltà che ci ricorda che anche nel conflitto esiste un limite oltre il quale l’essere umano cessa di essere tale. È la linea sottile che separa la forza dalla barbarie, la difesa dall’annientamento. Il dialogo, invece, rappresenta il ponte che ci riporta indietro da quell’abisso. Non è debolezza, è la forma più alta di coraggio, guardare l’altro negli occhi, riconoscerne la dignità e scegliere di costruire invece di distruggere. La ricetta moderata, dunque, è semplice nella sua essenza e ardua nella pratica. Tenere vivo il diritto come confine dell’umanità, coltivare il dialogo come antidoto alla paura e ricordare sempre che nessuna vittoria ottenuta calpestando l’altro è mai una vittoria vera. Non ci illudiamo che basti una firma o un tavolo di negoziato per spegnere tutti i fuochi. Ma sappiamo che, senza quel tavolo e senza quella firma, i fuochi non si spegneranno mai.

Professione, studi, politica, volontariato. Rispetto a tutti questi impegni riesce a trovare il tempo per coltivare qualche suo hobby?

Quando la domenica non è assorbita da incombenze prioritarie legate alle attività da lei citate, la riservo deliberatamente a me stesso. In quelle giornate mi piace ritrovare il piacere semplice delle cose belle, un’escursione in montagna, un breve viaggio alla scoperta di un borgo poco conosciuto o, semplicemente, un lungo pranzo con amici. Ogni tanto cedo anche alla passione per la storia e l’archeologia, una gita su un sito archeologico, un museo aperto per caso, oppure mi lascio prendere dallo sport all’aria aperta, una corsa lunga, una partita improvvisata, un giro in bicicletta tra le colline. Questi momenti, lontani da riunioni, scadenze e notifiche, sono la mia vera rigenerazione psicofisica, essenziale per tornare più presente e, soprattutto, più me stesso.